Scuola: il Federalismo elimina le Graduatorie
Preoccupanti le soluzioni della Fondazione Agnelli a favore dello smantellamento delle graduatorie in favore di un’amministrazione periferica, non solidale, incapace di rispettare quelle poche regole condivise. Le soluzioni proposte sono superficiali, poco approfondite e certamente non contribuiscono a risolvere la grave questione meridionale esistente.
Come non basta chiudere lo stabilimento di Termini e riconvertire gli operai per salvare la Fiat, pur in presenza di una contrazione della domanda di produzione, così non basta chiudere le Graduatorie e invitare i docenti a fare le guide turistiche per risolvere il problema del precariato.
Esiste un gap tra Nord e Sud in termini di opportunità/risorse, servizi/strutture, efficienza della pubblica amministrazione/legalità, produttività/assistenza che è inconfutabile, eppure si arriva sempre alla miracolosa soluzione del federalismo, capace di risolvere in un solo colpo la colpevole latitanza dello Stato. Ma di chi è la colpa se il Sud continua ad essere un collettore di voti e di tessere sindacali, senza alcun margine di rinascita sociale, industriale, culturale? Certamente non dei silenti servitori dello Stato che, da poveri docenti o personale Ata, per missione vogliono lavorare anche nelle scuole situate in quartieri ad alta densità mafiosa, abbandonati dalle Istituzioni o in paesi poco raggiungibili; riottosi insegnanti precari che chiedono giustizia nella selezione del personale contro un Ministero che disattende sistematicamente le pronunce della magistratura, sostituendosi al legislatore, persino, nell’imposizione della rappresentanza sindacale.
Si vogliono abolire le graduatorie e lasciare libere le Regioni di gestire il settore dell’Istruzione per migliorare i rapporti PISA? Ma con che fondi e perché mai, poi, se si vuole abolire il valore legale del titolo di studio e distribuire la pecunia pro capite di studente, che, quindi, non sarà più bocciato (altro che cinque in condotta). Tanto vale, forse, abolire la Scuola pubblica e andare a rivisitare il diritto costituzionalmente garantito all’istruzione così da non illudere chi ancora vuole festeggiare il 150° anno dell’Unità d’Italia e credere nella rinascita valoriale di una nazione civilizzatrice. Speriamo, almeno, che si possa consentire un’ultima volta a tutti gli extra-italiani meridionali di trasferirsi nella repubblica mitica del Nord per lasciare spazio nel Sud ai centri di accoglienza permanenti per gli immigrati, prima di rimettere i dazi. Visto che ci siamo, eliminiamo anche i diritti politici e sindacali, i più recenti principi costituzionali insieme a queste graduatorie permanenti che creano soltanto problemi alla Scuola, insieme ai quei precari che si ostinano a voler insegnare qualcosa. Già qualcosa, perché il diritto e l’economia, ad esempio, sono scomparsi dalle scuole, non più utili ad una finanza creativa e all’arbitrio dell’amministrazione; non sono più saperi, ma materie che possono essere più o meno retribuite in base all’utilità del governante di turno.
Perché allora lo Stato non rinuncia chiaramente alla cultura, alla sua identità, alla sua stessa esistenza? E’ chiaro, infatti, che queste facili soluzioni ci portano lontano dall’idea di una scuola migliore, di una giustizia sociale, di un’economia solidale.
3 marzo 2010