In ferie per parlare con i professori

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In ferie per parlare con i professori

Messaggiodi edscuola » 16 ottobre 2009, 9:19

da Corriere della Sera

Scuola e famiglie

In ferie per parlare con i professori

I genitori si lamentano: basta colloqui solo al mattino. Divisi i presidi

MILANO — La prof di mate­matica riceve il lunedì alle 11. Il collega di storia dell’arte il martedì alle 9. Il mercoledì so­no fissati i colloqui di italiano e storia, il giovedì di latino, il venerdì di filosofia (previo ap­puntamento). L’incastro è dia­bolico, peggio di un sudoku. Affrontato di malavoglia — e il più delle volte non risolto — dalle coppie di genitori che lavorano: «Serve una settima­na di ferie per parlare con i do­centi ».

Nelle grandi città le fa­miglie iniziano a riunirsi in co­mitati, chiedono flessibilità. Alla scuola: incontri serali con i docenti. E al mondo del lavo­ro: permessi garantiti per se­guire i figli. Gli orari degli insegnanti e gli orari dei genitori. Due real­tà incompatibili, da sempre. Esigenze diverse che diventa­no sempre più conflittuali, dal­le elementari alle superiori. La questione vista dalla parte dei docenti: è giusto, dopo una mattinata trascorsa a tenere a bada venticinque ragazzini scatenati, tornare a casa, cor­reggere i compiti e rientrare a scuola perché il papà di Rossi non ha tempo? E il tutto per 1.300 euro al mese? Vista dalla parte delle famiglie: perché saltare un giorno di lavoro — e perderne uno di vacanze — per trascorrere un quarto d’ora con un prof che neanche ricorda il volto dei suoi alun­ni? Ferri corti. Anche se qual­che istituto un tentativo di conciliazione lo sta facendo. Liceo scientifico Vittorio Ve­neto, Milano. Due volte all’an­no i professori si riuniscono a scuola dalle 16 alle 20 per ac­cogliere chi la mattina non si è mai presentato. Stessa cosa al classico Berchet, altro noto liceo milanese.

Il preside, In­nocente Pessina, sospira: «Mi piacerebbe fare di più, esten­dere l’iniziativa. I genitori han­no ragione, l’ora di ricevimen­to non è nient’altro che l’ora buca del prof tra una lezione e l’altra, non c’è coordinamen­to. Purtroppo le esigenze delle famiglie non vengono suffi­cientemente considerate». Mi­chele D’Elia, a capo del Vitto­rio Veneto, è d’accordo: «Quando ero dirigente in Brianza il problema non c’era. Ma a Milano sì, la città ha rit­mi diversi. Dobbiamo tenerne conto». Maria Letizia Terrino­ni, responsabile del liceo Tas­so di Roma: «Cerchiamo di raggruppare i docenti della stessa classe in un’unica matti­nata ». La scuola che si avvicina al­le famiglie. Piano piano. Ma­ria Rita Munizzi, presidente nazionale del Moige, il Movi­mento italiano genitori, chie­de un ulteriore passo in avan­ti: «È urgente, e lo sottolineia­mo da tempo, che le istituzio­ni risolvano la mancanza di una norma che preveda la pos­sibilità del genitore di godere di permessi orari, retribuiti o no, per concretizzare il pro­prio diritto-dovere di seguire i figli e il loro andamento sco­lastico ». Tempi e orari. Con un altro affondo del Moige: «Se un fi­glio con più di otto anni si am­mala, non sono previsti conge­di parentali. È assurdo: oggi madri e padri arrancano nella gestione del quotidiano, figu­riamoci in casi di malattia».

L’appello delle famiglie: ri­vedere il sistema dei colloqui con i professori. Ma il fronte non è compatto. Per nulla. Giorgio Rembado, dell’Anp, l’associazione dei presidi, mi­nimizza: «La questione si è sempre risolta con una torna­ta pomeridiana di incontri, senza problemi». Rosario Sala­mone, preside del liceo Vi­sconti di Roma, ha già speri­mentato questa soluzione: «Un’esperienza terribile: sem­brava un suk mediorientale, fi­le lunghissime e l’incontro che si esauriva nella lettura dei voti». No, così non va: «Chi mette i figli al mondo de­ve dimostrare una maggiore responsabilità. E saper rinun­ciare anche a una mattinata di lavoro». Difesa dei professori: «Non sono un supermercato aperto 24 ore al giorno». Carlo Pedret­ti, preside del liceo classico Pa­rini di Milano, è ancora più duro: «Ci chiedono per quale motivo non organizziamo col­loqui serali. Semplice: perché l’insegnante è stanco di dover riempire quei vuoti educativi che negli ultimi anni si sono creati nelle famiglie italiane». E poi c’è un’altra questione: «Se i docenti fossero pagati e considerati in modo diverso, allora potrebbero erogare ser­vizi diversi».

Annachiara Sacchi
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