da Repubblica
Eugenio dall'inizio della scuola aspetta la maestra che non c'è
TERESA MONESTIROLI
«Quando arriva la mia maestra?» chiede Eugenio ogni mattina, o quasi, alla sua mamma. Eugenio ha nove anni, frequenta la quarta elementare nella scuola Tito Speri di via Porpora e soffre di una forma leggera di autismo. Da quando è in prima è seguito da un´insegnante di sostegno per sedici ore la settimana, ma quest´anno non è ancora arrivata. Da più di un mese la segreteria della scuola la sta cercando, senza risultati. «Non è il solo - racconta Giulia, la madre - . Ci sono cinque posti di sostegno e sono ancora tutti scoperti».
In mancanza di un aiuto Eugenio cerca di cavarsela da solo. Seguendo un programma di seconda elementare anche se il resto della classe fa le cose di quarta. Ha imparato a leggere in seconda, a scrivere in terza. Ha un programma personalizzato e le maestre fanno i salti mortali per stargli dietro, soprattutto ora che a richiedere loro ancora più impegno in classe sono arrivati due bambini stranieri che non parlano una parola di italiano. «Per fortuna i compagni lo aiutano volentieri e le maestre sono bravissime. Ma lui sa di aver bisogno di una mano in più. Ora le insegnanti mi dicono che sta perdendo tutto quello che aveva imparato l´anno scorso - continua Giulia - . Non capisco perché un bambino disabile non possa avere la stessa maestra dalla prima alla quinta, come tutti. Proprio loro che sono più fragili e più bisognosi vivono nell´incertezza, sempre in attesa dell´insegnante precaria. E ogni anno devono ricominciare da capo con una persona nuova».
In tre anni, Eugenio ha conosciuto quattro maestre di sostegno: due in prima, una in seconda, una in terza. E ora si prepara a incontrare la quinta, sempre che arrivi prima della fine dell´anno. «Sa quando mi è montata la rabbia? - dice Giulia - . Quando siamo andati al Piccolo Teatro con la scuola per la premiazione di un concorso legato all´Expo. Abbiamo incontrato assessori comunali e il direttore scolastico regionale. Hanno detto tutti tante parole, ma mentre parlavano mi sono chiesta "perché Milano non investe più per aiutare chi ne ha più bisogno?" E soprattutto: "Cosa ci faccio qui?". Io sono un genitore e la mattina dovrei essere al lavoro, oppure a casa, non in gita con la classe di mio figlio. Le maestre mi avevano pregato di accompagnarle perché bisognava prendere il metrò e Eugenio ha paura del rumore forte. Bisogna tenerlo stretto, abbracciato. Loro, dovendo curare altri 25 bambini, non ce la fanno». Se ci fosse stata l´insegnante di sostegno, Giulia l´altra mattina sarebbe stata in ufficio, come le altre mamme lavoratrici. «Lo faccio volentieri, ma non trovo giusto che la scuola debba fare affidamento su di me perché manca personale. È allucinante realizzare che viviamo in una società che non accetta le persone diverse, che non se ne occupa come dovrebbe, che trova i soldi per un sacco di cose, come fare bella la città per gli ispettori dell´Expo, ma non per pagare un educatore che segua i bambini più sfortunati che invece finiscono nelle mani dei precari, magari anche bravissimi, ma che ogni anno cambiano». Sempre che arrivino, altrimenti vale la vecchia regola del fai da te.