APEF: Esami di Stato

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APEF: Esami di Stato

Messaggiodi edscuola » 31 luglio 2009, 8:13

CONSIDERAZIONI MARGINALI (e non) SUGLI ESAMI DI STATO
- UNA PROPOSTA -

Gli esami di Stato sono finiti e i giornali sono alla ricerca delle percentuali di promossi e bocciati. Il ministro si autocelebra come garante della “severità” degli studi e le vacanze incombono per tutti meno che per gli studenti della maturità, i quali, se vogliono iscriversi all’università debbono finalmente studiare (!) chimica, fisica, matematica e altro per superare i test d’ingresso: test rigidi, inflessibili, che dogmaticamente separano i fortunati dagli sfortunati, la causa dei quali non può essere perorata da nessun commissario interno. I test di medicina sono un compendio di corruzione dei baroni universitari? Nessuno può contestarli se non i magistrati se ne hanno le prove. I test di fisica, matematica, chimica…sono cattedrali di astrattismo, inficiati di errori e frettolosamente preparati la “notte prima degli esami”? Ma nessuno può negarne il rigido carattere selettivo.

Prima conclusione

Gli Esami di Stato (Maturità), conclusi dopo cinque anni di scuola d’istruzione superiore, con crediti scolastici e formativi, sono stati in verità una simulata. Essere stati giudicati eccellenti (100 o 100 e lode) da una commissione istituzionale mista di insegnanti interni ed esterni delle superiori non garantisce nessun percorso privilegiato, nessun bonus per l’iscrizione all’università e, cosa ancora più perturbante, il giudizio dato dai docenti viene totalmente annullato.
Qualcuno dovrà spiegare a questi giovani perché la società li sottopone ad una simulata di ritualità per l’ingresso nella maturità, di cui non si accorgono nemmeno i fotografi.
E altri dovranno chiedersi perché un test d’ingresso è più oggettivo di un itinerario scolastico quinquennale? I Test di norma misurano l’abnorme, sono orientativi, ma non danno la certezza sulla reale preparazione di un allievo, che si manifesta solo nel rapporto con gli altri esseri umani (se devo tenere una conferenza sulla crisi economica, parlare in inglese dinanzi ad un gruppo di turisti, manifesto dinanzi a tutti le mie competenze o le mie lacune…)

Seconda conclusione

Se la finale delle scuole superiori si riduce ad una simulata istituzionale, che non ha nessuna certificazione giuridica di competenze valide, va fatta una riflessione profonda sui percorsi di apprendimento e i processi di valutazione.

Come è nostra abitudine, non ci piace solo obiettare, ma fare delle proposte su cui speriamo si apra un dibattito tra i politici, nelle scuole tra i docenti, sui giornali, nella società. Noi crediamo che la povertà di informazioni sulla scuola nasconda un carenza di un progetto per il futuro delle nuove generazioni.

Alcuni punti che hanno bisogno di essere ripensati profondamente

a) La scansione dell’anno scolastico in interrogazioni analitiche, voti, scrutini aumenta vistosamente e in modo paradossale il lavoro burocratico, l’attenzione al formalismo giuridico per non incorrere in ricorsi, ma non coglie il nucleo della acquisizione delle competenze culturali che è l’obiettivo principale dell’apprendimento. Le interrogazioni parcellizzate rimembrano processi minuziosi, piccole esaltazioni sadiche, solipsimi pedagogici e, soprattutto, costringono il ragazzo a scelte parsimoniose, assenze strategiche con conseguenti vuoti di studio del percorso difficili da recuperare.
Se ci rifacciamo alla letteratura della psicologia della gestalt o alle recenti scoperte della neuropsicologia (Bruner, Gardner), possiamo affermare che il nostro modo di comprendere il mondo procede sin dall’infanzia per forme globali (gestalt significative, continue, totalizzanti): la conclusione significante del processo, la sintesi chiarificatrice dei particolari.
Ogni percorso di insegnamento-apprendimento deve essere esplorato fino alla fine e il contesto di valutazione deve essere trasparente e pubblico e non affidato unicamente al docente di classe della disciplina. I docenti esamineranno insieme gli allievi alla fine di moduli significativi, si confronteranno sui livelli, si eserciteranno alla sana emulazione, acquisiranno con il lavoro di gruppo la cultura della democrazia del giudizio valutativo, che non si acquisisce per incanto agli esami di Stato.

b) Perché ciò si realizzi, è necessario stabilire i famosi LEP (livelli essenziali di prestazione). I livelli di prestazione non sono indicazioni astratte e generiche, ma la sintesi delle cose essenziali che in un disciplina si devono assolutamente possedere per introdursi nei percorsi successivi.
Sono livelli scientifici, insiti nelle strutture stesse della disciplina e vanno stabiliti, rettificati, monitorati dagli esperti delle stesse discipline, che li registrano continuamente a seconda delle nuove scoperte del sapere. Ogni acquisizione di una struttura conoscitiva va esplicitata non da un voto ma da una certificazione del livello di quella particolare disciplina.
Questo lavoro di ricerca è stato realizzato nello studio della lingue dai privati (British, Counsil…), ma lo Stato è da anni assente in questa ricerca abbandonando le scuole all’anarchia dell’autonomia, terreno fertile sia per la creatività dei singoli ma anche per le bizzarrie di molti.
Con la realizzazione del federalismo scolastico la questione diventerà di rilevanza decisiva, perché il riferimento a livelli condivisi di competenze nazionali, arricchirà le originalità regionali. L’assenza di livelli nazionali fomenterà le anarchie scolastiche giustificatrici di povertà culturale scavando solchi differenziali incolmabili tra nord e sud (da stime recenti negli ultimi dieci anni il ritardo culturale è aumentato di 10 punti!)

c) Se i livelli e le certificazioni di competenze vengono ben modulati, la conseguenza più logica sarà inevitabilmente la abolizione della bocciatura.
Il rifiuto, come si ripete nella psicologia clinica, la frustrazione-interesse, è quello che fa ripetere il corso quando non si sono raggiunti i livelli minimi necessari alla gradualità del progredire disciplinare, ma non l’intero corso di studi.
Se i livelli non sono congeniali al tipo di scelta del ragazzo, si orienterà verso altri orizzonti culturali, secondo il principio gardneriano che la chiave di ingresso nella cultura, la nostra intelligenza in atto, è condizionata da un’impronta antropologica. Ci sono intelligenze cognitive e pragmatiche, artistiche e relazionali, matematiche e musicali.
Il compito dei professionisti della conoscenza – è bene ricordarlo! - è la lotta alla dispersione, l’orientamento, la passione per il recupero di giovani esseri umani destinati spesso senza la scuola ad orizzonti esistenziali accidentati.
Il rifiuto (o frustrazione-interesse) si manifesta nel coinvolgimento passionale del docente che esige delle risposte dopo essere certo di aver dato, e non getta mai la spugna nella lotta per l’accrescimento culturale degli svantaggiati. Pretende dall’allievo solo regole e trasparenza nel rapporto: la frequenza e l’impegno quotidiano (normalmente dopo un certo numero di assenze un corso non dovrebbe essere valido…) come condizione esistenziale di risposta istituzionale ed esercizio quotidiano di cittadinanza attiva.

d) I curricula devono essere ridisegnati secondo il principio della responsabilità individuale, con la possibilità di organizzare secondo gradualità ed evoluzione un piano di studio che guidi il ragazzo verso la scoperta dell’identità professionale (il famoso portfolio!): ogni corso finisce con una certificazione di competenze riconosciute per l’ingresso all’università e nel mondo del lavoro. Paradossalmente oggi si può terminare un liceo scientifico con risultati disastrosi nelle discipline scientifiche e tranquillamente iscriversi a ingegneria o altro di simile. Cinque anni di scuola superiore sono stati per il mondo universitario un goliardico passatempo … per l’incompetenza!
Il fatto più grave – lo ripetiamo ormai da lungo tempo! – è che la scuola italiana è curvata ideologicamente sul principio freudiano del “Disagio della Civiltà”, giovane naturaliter malvagio, incontrollabile, moralmente incardinato sull’istinto di morte, traduzione filosofica della religiosa convinzione che ogni uomo nasce nel peccato originale.
La scuola diventa allora un cammino di “sublimazione” e la scolarizzazione ha come obiettivo la creazione di un SuperIo sociale rigido, struttura programmi, tempi e misure, obbliga, interroga, promuove o boccia: senza questo compito culturale di forte formazione reattiva contro l’aggressività umana la vita stessa dell’umanità sarebbe - secondo il freudismo - in pericolo.
Il principio della responsabilità individuale ha invece come presupposto il rifiuto dell’origine genetica o religiosa della perversione umana e la capacità di assumersi il compito della progettazione del futuro, perché la scuola è attesa e speranza del cambiamento, il luogo dove si pratica l’arte della trasformazione: dei docenti che riattualizzano la libertà d’insegnamento nel rapporto con i giovani, degli allievi che si cimentano nello scegliere, ampliare, registrare i loro progetti di studio secondo un equilibrato rapporto tra discipline fondamentali ed evoluzione individuale.

e) Se non fosse un sogno utopico, vorremmo delineare un panorama per gli esami di Stato totalmente diverso: esami finali su ogni disciplina conclusivi del corso con produzioni culturali certificate (di lingue, di scrittura creativa, di teatro, di tirocini lavorativi…): a febbraio terminano i primi corsi e si arriva a giugno con le discipline caratterizzanti del percorso. Con il portfolio ultimato, dove sono registrate le certificazioni di competenze e gli indicatori di orientamento, si celebra poi il rito della maturità con un lavoro organizzato di tesi o compito reale preparato dal ragazzo, discusso o recitato, costruito nel tempo con l’aiuto di un docente tutor e realizzato secondo tempi personalizzati (sessioni di giugno, settembre, febbraio).
La fine della retorica, improvvisate tesine, colloqui frettolosi e un ribaltamento radicale: una maturità pragmatica di orientamento, un progetto con cui il ragazzo si costruisce l’ingresso nel mondo del lavoro o nell’empireo universitario senza passare attraverso i test d’ingresso.
Noi auspichiamo la fine della simulazione della maturità, ma anche la fine dell’adolescenza prolungata per i giovani, la certezza che un diploma o una laurea universitaria siano certificazioni di competenze reali, ma anche ingressi riconosciuti nel mondo del lavoro, dove ognuno ha il diritto di realizzare la propria identità professionale e umana.

A cura di Nicola Comberiati
(Vicepresidente APEF)
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