Ruolo e funzione docente nella società della conoscenza
In un’epoca di grandi trasformazioni sociali ed economiche il futuro dei sistemi scolastici e formativi è oggetto di discussione in quasi tutti i paesi europei. Inoltre la creazione del mercato unico pone il problema di un raccordo tra le politiche scolastiche dei diversi paesi: la libera circolazione dei lavoratori richiede non solo la confrontabilità dei titoli di studio, ma anche percorsi formativi che siano in grado di fornire gli strumenti culturali e le competenze necessarie per essere “cittadini europei”.
Il tema della qualità del sistema scolastico diventa così una priorità cui è, ovviamente, legato quello della professionalità dei lavoratori della scuola: la formazione dei docenti, la valutazione del loro lavoro, le figure professionali richieste, il rapporto tra autonomia professionale e collegialità sono alcuni degli argomenti presenti da molti anni nel dibattito italiano sul futuro della scuola.
Anche da parte dell’Andis sono state effettuate una serie di riflessioni in proposito, attraverso studi e approfondimenti, seminari di studio, che hanno permesso il confronto con esperti.
Nei documenti prodotti l’Associazione ha più volte analizzato un “indice” di voci da definire nello stato giuridico dei docenti che vengono qui riprese:
il profilo inteso come identità professionale, costituito da un mix di conoscenze disciplinari e di competenze didattiche e pedagogiche, ma anche da un complesso di strumenti e di tecniche che costituiscono gli attrezzi di un mestiere specifico che può essere insegnato come ogni altro mestiere.
La crescita vertiginosa delle interazioni con l’ambiente comporta per gli insegnanti non solo un aumento quantitativo di competenze e responsabilità, ma anche un mutamento qualitativo riconducibile sostanzialmente al restringimento dell’area delle routine e all’allargamento di quella della progettazione.
La necessità di leggere domande e progettare risposte colloca l’insegnamento nell’ambito delle attività di ricerca, compito previsto nel regolamento dell’autonomia.
E’ necessaria oggi la costruzione di una cultura professionale fondata sulla ri-costruzione del senso di questo lavoro.
Essere “idonei” all’insegnamento, nella società attuale, significa possedere la capacità di mettere in situazione le conoscenze, riflettere sulle esperienze, studiare gli esiti.
il reclutamento dei docenti
L’Italia si è posta molto tardi, rispetto agli altri paesi sviluppati, il problema di una adeguata formazione alla professione docente come alternativa al concorso o ad altre forme di selezione. L’impostazione della formazione iniziale, prevista dalle norme italiane, ha dimostrato lati positivi e negativi, ma l’aspetto più critico riguarda il mancato rapporto della formazione iniziale con il reclutamento vero e proprio, cioè l’assunzione nei ruoli: il destino sembra essere ancora la graduatoria permanente.
Rimane irrisolto il nodo, specie per i docenti della scuola secondaria, della relazione tra formazione professionale e formazione accademica.
Non è chiaro se, dopo il triennio di formazione integralmente disciplinare, ai fini dell’ottenimento del titolo di “laurea magistrale”, il “biennio di specializzazione” abbia come priorità quella di costruire l’insegnante professionista visto che, anche a tale periodo, si assegnano preminentemente finalità di apprendimento disciplinare.
E’ essenziale una forte collaborazione tra Università e sistema scolastico, mentre, a tutt’oggi, il tirocinio conta pochissimo e si svolge senza nessun rapporto tra scuola e Università.
formazione in servizio è una delle questioni basilari ed è collegata con la formazione iniziale. Non può essere intesa solo come partecipazione al piano di formazione deliberato dal collegio dei docenti, ma dovrebbe essere una dimensione strutturale di una professionalità alta con un riconoscimento retributivo legato alla funzione docente e non alla mera quantificazione del “tempo” trascorso in formazione.
L’aggiornamento deve partire dai bisogni, dalla pratica quotidiana e ad essi ritornare.
Sarebbe necessario intraprendere percorsi di verifica della “ricaduta” della formazione, che può essere una ricaduta didattica immediata e/o un arricchimento culturale e professionale che dà valore aggiunto alla qualità della scuola.
La formazione continua dei docenti è la base imprescindibile per l’erogazione di un servizio pubblico di qualità.
valutazione è una delle questioni più spinose, ma è il passaggio inevitabile per la realizzazione di carriere professionali: solo attraverso la valutazione in quanto attribuzione di valore, è possibile l’apprezzamento differenziato delle qualità professionali degli operatori e la loro conseguente valorizzazione.
Poiché ogni valutazione contiene sempre aspetti di discrezionalità non sarà mai oggettiva in assoluto, ma la ricerca di trasparenza nella valutazione degli operatori significa controllare il più possibile gli aspetti di discrezionalità, renderla comprensibile e comunicabile, in modo che la sua funzione sia produttiva e favorisca il cambiamento.
Individuare cosa valutare implica distinguere la valutazione di sistema dalla valutazione degli operatori.
La prima ha il compito di valutare l’efficienza e l’efficacia del sistema scolastico attraverso indicatori e standard e la qualità dell’organizzazione didattica e amministrativa.
La seconda deve porsi l’obiettivo prioritario di individuare e certificare le competenze e le capacità professionali e di far emergere le esperienze di qualità, nonché i bisogni professionali ai quali dare risposte attraverso percorsi di formazione continua.
Il problema che riguarda la carriera e la valutazione degli insegnanti italiani risale ai lontani anni cinquanta con il riconoscimento del merito professionale che portava il nome di “concorso per merito distinto”.
Abolito, insieme alle note di qualifica, dallo stato giuridico del 1974 (D.P.R. 41 del 31-5-1974) è tornato alla ribalta in concomitanza del cosiddetto “concorsone”. La massiccia mobilitazione degli insegnanti, sostenuta e strumentalizzata prima da qualche sindacato minoritario e poi demagogicamente da tutti, portò all’eliminazione tout court della valutazione di merito e l’accettazione assiometrica che tutti gli insegnanti possiedono lo stesso grado di professionalità purché abbiano la stessa anzianità di servizio.
A partire dagli anni ottanta ogni contratto del comparto scuola ha riproposto l’impegno, senza mai assolverlo, di dare vita ad una carriera docente.
In quello firmato il 24 luglio 2003, all’art. 22, si recitava “….. le parti stabiliscono di costituire, entro 30 giorni dalla firma definitiva del presente CCNL, una commissione di studio tra ARAN, MIUR e OO.SS., firmatarie del presente CCNL, che, entro il 31-12-2003, elabori le soluzioni possibili definendone i costi tendenziali, per istituire già nel prossimo biennio contrattuale, qualora sussistano le relative risorse, meccanismi di carriera professionale per i docenti”.
Non se ne è fatto assolutamente nulla!
Anche l’ipotesi di accordo contrattuale firmato il 7-10-2007 da ARAN e sindacati del comparto scuola, non contiene nessun riconoscimento del merito, né alcuna ipotesi di carriera per i docenti.
Questo è un contratto che ha una funzione conservativa.
Eppure il “Quaderno bianco”, presentato da poco, afferma che è giunto il momento di pensare ad alcuni problemi importanti legati alla professionalità docente. Non basta operare periodicamente “aggiustamenti retribuitivi”: occorre, invece, l’assunzione contestuale dei parametri europei relativi agli organici, ai carichi di lavoro, alla valutazione, ai livelli salariali e all’articolazione delle funzioni.
Anche in questo contratto le parti si impegnano a ricercare in sede contrattuale “forme, modalità, procedure e valorizzazione professionale e di carriera degli insegnanti”.
A questo punto è necessario ribadire, come già l’Andis ha più volte fatto nei suoi documenti, che questi elementi appartengono allo stato giuridico dei docenti e quindi in grandissima parte devono essere disciplinati da una legge dello Stato, come sancisce la Costituzione all’art. 97, comma 1, ai cui principi si ispira il D. Lgs. 164/2001 sull’organizzazione e sul rapporto di lavoro con le pubbliche amministrazioni.
La scuola è una struttura pubblica, chiamata ad esercitare compiti pubblici ed è singolare che gli accordi sulla sua organizzazione vengano fatti con soggetti a struttura categoriale.
Il nuovo contratto amplifica i poteri delle RSU a scapito dell’autonomia professionale, espressione collegiale. La funzione del dirigente scolastico si prefigura più sospinta sul versante burocratico e sempre meno verso la funzione fondamentale di leadership educativa.
Nella cosiddetta società civile dovrebbero essere in primis le associazioni dei genitori e degli studenti, ma anche le associazioni delle categorie professionali e le stesse confederazioni sindacali ad essere interessate ad una scuola di qualità che formi personalità aperte e critiche e che fornisca ai giovani un buon equipaggiamento di base per una cittadinanza attiva e per affrontare il mondo del lavoro.
(approvato all’unanimità)
Pinerolo, 8 novembre 2007