ORDINE DEL GIORNO DEL CONSIGLIO NAZIONALE ANDIS SUL D.L. 137
Il Consiglio Nazionale dell’ANDIS, riunito presso l’Hotel “Succi” di Anzio dal 1^ al 3 ottobre 2008, ha preso in esame i provvedimenti di cui al D.L. n. 137 del 1 settembre 2008 già oggetto di una valutazione dell’Ufficio di Presidenza che viene nel suo complesso ampiamente condivisa.
L’ANDIS non intende porsi, nei confronti delle misure di contenimento della spesa, in maniera pregiudiziale, ponendosi a difesa della struttura della scuola così come è. Non c’è infatti dubbio che essa abbia bisogno di profonde innovazioni per renderla più efficiente e più equa e che esse non possano non fare i conti con l’esigenza di riduzione della spesa pubblica, tanto più urgente nel gravissimo quadro di crisi che caratterizza lo scenario internazionale. E’ perciò fondamentale intervenire in maniera incisiva e strutturale sugli sprechi e sulle inefficienze che impediscono al sistema formativo di contribuire in maniera efficace allo sviluppo civile ed economico del paese. Né possiamo dimenticare che, all’interno di un generalizzato potenziamento del terziario (talvolta parassitario) anche la scuola è stata spesso individuata negli ultimi decenni come ammortizzatore sociale, come luogo di contenimento del conflitto e come punto di redistribuzione del reddito.
Le misure adottate però, sia per la forma assunta – una decretazione d’urgenza priva di ogni discussione reale e in autolesionistico disprezzo per vent’anni di esperienza reale – sia per il messaggio che le ha giustificate sulla grande stampa – il ritorno puro e semplice al passato come ricetta per risolvere le grandi questioni educative dell’oggi – appaiono sbagliate e pericolose.
In primo luogo, l’intervento sulla scuola primaria – che nel piano programmatico viene indicata esplicitamente come la priorità, sulla cui base dovrebbero essere calcolati i risparmi negli altri ordini di scuola - non può avvenire sulla base della considerazione secondo cui l’organizzazione modulare sia stata unicamente dettata da ragioni occupazionali. In realtà, l’introduzione del “team” di insegnanti e l’incremento generalizzato del tempo scuola, discendevano in modo diretto dall’entrata in vigore dei Programmi per la scuola elementare del 1985 ispirati, sul piano pedagogico e didattico, dalla necessità di offrire stimoli e opportunità adeguati ai “nuovi saperi” che si profilavano con prepotenza alla fine del secolo, e dunque tutt’altro che indifferenti agli esiti di apprendimento.
Da dirigenti scolastici non possiamo, per questo complesso di ragioni, non rilevare che la pluralità delle docenze appare ormai come un modello insostituibile: nuovi saperi, interdisciplinarità, didattica laboratoriale, corresponsabilità del progetto educativo e della sua realizzazione, sono condizioni irrinunciabili del rapporto formativo nella scuola primaria.
Certo, l’ANDIS non ignora che l’esperienza dei moduli appare quanto mai variegata: ad esperienze di indubbio valore didattico e di ottimale o quasi utilizzazione del personale, si affiancano modelli organizzativi che obiettivamente rendono problematico il rapporto formativo fra team docente e alunni, mentre il modulo viene realizzato su un orario settimanale ridotto al solo mattino su cinque giorni.
Su questo aspetto si dovrebbe appuntare, con decisione e con il richiamo forte alla responsabilità dei dirigenti scolastici, un intervento capace di coniugare l’obiettivo del risparmio di spesa a quello della qualità del servizio. Anche sul fronte della razionalizzazione della rete scolastica il Direttivo di questa associazione ha espresso con forza – e lo conferma – il giudizio secondo cui al rifiuto dei tagli percentuali spalmati in maniera indifferenziata va accompagnato un intervento rigoroso e tempestivo sulle deroghe non giustificate.
Su questo piano, appare invece condivisibile la prospettiva di generalizzare gli istituti comprensivi, intesi non solo come modello organizzativo, ma anche come contenitore di un progetto di curricolo continuo. Questa è anche la condizione per affrontare correttamente il problema della scuola secondaria di primo grado, che secondo rilevazioni internazionali rappresenta l’anello più debole del sistema italiano.
Per quanto riguarda la scuola secondaria di secondo grado, è ormai evidente che a partire dal 1^ settembre 2009 andranno ad ordinamento gli indirizzi dell’istruzione tecnica previsti dalla legge 53, mentre rimane ancora indefinito il rapporto con la legge 40 e quindi il futuro degli istituti professionali e del loro rapporto con le Regioni. Contestualmente si procederà con la riduzione del monte-ore e l’accorpamento delle classi di concorso. Si tratta di questioni in campo già da tempo, che possono incidere su sprechi reali e modificare la prassi didattica. Occorre però che gli interventi vengano fondati su un bilancio condiviso dei risultati dell’elevamento del biennio di obbligo di istruzione e sulla necessaria riformulazione dei piani di studio in termini di competenze così come definiti dall’Unione Europea.
Lavorare su questo terreno implica una revisione profonda di una struttura che rimane ancora sostanzialmente gentiliana e dovrebbe investire anche il settore dei licei, dei quali invece nulla si dice e che devono il loro successo formativo – quando c’è – ad una pesante selezione in entrata sulla cui natura di censo parlano con evidenza i dati statistici. Ciò vuol dire fare esattamente il contrario di quello che sta avvenendo per la scuola primaria: non tornare al passato ma puntare alla costruzione di ambienti di apprendimento capaci di ricomporre mano e mente, cognizione e metacognizione. Non una scuola per consumatori passivi ma per produttori e cittadini consapevoli.
Anche da questo punto di vista la scuola è un bene troppo prezioso per il Paese per farne oggetto di soluzioni frettolose, dettate prevalentemente dalle urgenze dell’agenda politica. Il suo futuro deve essere deciso in modo partecipato, con attenzione e ponderazione estreme, rivolte certamente in primo luogo alle forze sociali ma anche a chi, come la dirigenza scolastica, per la sua collocazione professionale, può fornire indicazioni preziose.
Per questo l’ANDIS
1. chiede
a) che sia riaperta in maniera ampia e distesa la discussione parlamentare sul decreto-legge, non solo a partire da una più serena attenzione per le problematiche didattiche ed educative, ma anche dall’attenzione per altri e evidenti fronti di sprechi, tra i quali quelli collegati all’utilizzo delle risorse di provenienza europea (PON e POR).
b) che i regolamenti di esecuzione siano comunque elaborati attraverso la consultazione preventiva della scuola reale e che siano accompagnati dalla definizione dei livelli essenziali di prestazione – ove previsto con il contributo della Conferenza Unificata Stato-Regioni – e con l’individuazione di costi standard su cui basare i finanziamenti alle scuole autonome
c) che ogni provvedimento quindi rispetti l’autonomia organizzativa delle istituzioni scolastiche dei cui risultati sono responsabili i dirigenti scolastici. In particolare, è essenziale non una difesa generica del tempo pieno, ma del tempo-scuola necessario per garantire la qualità della didattica laboratoriale e del team docente a responsabilità condivisa. E’ perciò almeno necessario che lo stato, una volta definiti i criteri per l’assegnazione delle risorse finanziarie e di organico in rapporto a indicatori definiti (tempo scuola, numero complessivo degli studenti, sedi di erogazione del servizio) non entri nel merito dei modelli organizzativi, che vanno messi in relazione con le domande e le risorse del territorio. Questa è la logica corretta, definita limpidamente dall’art. 1 del DPR 275, in cui il POF si sviluppa nel quadro dell’offerta formativa territoriale integrando risorse, evitando duplicazioni o supplenze improprie.
d) Per quanto riguarda la valutazione, se pure si intende tornare alla valutazione “numerica” rispetto al giudizio globale è indispensabile che essa costituisca l’espressione di quella valutazione formativa che è tuttora norma espressa dalla legge 517, e che sia ancorata al livello di acquisizione delle competenze e non essere espressa attraverso l’opacità dei voti decimali. La gradualità prevista dallo schema di regolamento d’attuazione lascia spazi in questa direzione.
e) che ai dirigenti scolastici vengano forniti gli strumenti e i poteri necessari e da tempo richiesti per esercitare la loro responsabilità, che è sì amministrativa ma anche di esercizio effettivo della leadership educativa
2. Impegna i propri aderenti e la categoria professionale tutta alla difesa degli spazi costituzionalmente garantiti di autonomia didattica e organizzativa finalizzandola allo sviluppo innovativo di una scuola in cui il riconoscimento del merito non sia contrapposto alla garanzia delle pari opportunità.
3. Riafferma, in questa logica, la disponibilità per una necessaria e tempestiva interlocuzione con il Parlamento e il Governo sui temi presenti nel ddl governativo e su altri ad essi connessi, tra cui particolarmente rilevanti quelli della prima formazione e della formazione in servizio e delle forme di raccordo tra scuola e territorio. Questo costituirebbe un terreno assai più fecondo di confronto di quanto non lo siano le misure finanziarie e in ogni caso ne dovrebbero costituire il presupposto
Nei prossimi mesi pertanto sia l’attività dei gruppi di lavoro della scuola primaria e secondaria, sia delle strutture periferiche sarà rivolto all’elaborazione,alla discussione, al confronto con l’utenza sui temi di questo documento.
Anzio, 3 ottobre 2008
(approvato all’unanimità)