da Il Giornale
La vera umiliazione è non punire i bulli
di Redazione
Se adeguatamente e a ragione inflitte, le sanzioni, perché di sanzioni si tratta!, ed anche le frustrazioni, servono eccome agli adolescenti. Si cresce, infatti, sperimentando, nell’infanzia e nell’adolescenza, oltre al sostegno dei punti di riferimento affettivi ed educativi; oltre alle gioie, alle piacevolezze, ai vantaggi che la vita può offrire e offre, anzitutto a ragazzi «privilegiati» dalla possibilità di crescere in famiglie che hanno i mezzi per accudirli ed istruirli, anche e soprattutto affrontando frustrazioni, conflitti, perdite ed accettando, quando si sbaglia, di riconoscere e pagare i propri errori. Per questo, condivido in pieno, l’indicazione del ministro della Pubblica istruzione Gelmini di far lavorare i quattro ragazzi che hanno distrutto la scuola elementare Sibilla Aleramo di Roma, per risarcire tutti i danni da loro arrecati, coinvolgendoli in iniziative che aumentino il loro senso di appartenenza alla scuola.
La condivido, soprattutto, se tale operazione verrà condotta con percorsi adeguati e mirati all’ottenimento di un sincero, sostanziale loro mutamento: una loro autentica rivoluzione della coscienza e del cuore. Non mi piace, infatti, la parola umiliazione utilizzata ad esempio dall’assessore romano Laura Marsilio per indicare le sanzioni che i quattro ragazzini dovrebbero subire per i danni arrecati. Né credo che tali sanzioni a nulla servirebbero se non ad aumentare la loro rabbia e il distacco dalla scuola.
Umiliante è, semmai, l’atto di aver devastato, magari per poter poi mandare in onda le proprie gesta su YouTube, un luogo di comune incontro che a tutti appartiene. Umiliante è, poi, averlo fatto senza altro apparente motivo che l’atto vandalico tout court, un misto di noia, violenza, irresponsabilità, illegalità. Sono i quattro ragazzi non ne prendessero veramente coscienza, umiliante sarebbe, certamente, in seguito, proprio la loro vita. Sarà, dunque, anzitutto importante far comprendere loro la gravità degli atti commessi coinvolgendoli, attraverso la mediazione di un’adeguata attività psicopedagogica, affinché emergano le motivazioni profonde che gli hanno spinti, individualmente e collettivamente, a commetterli. Bisognerà, insomma, prendersi attenta cura della salute mentale dei loro precoci atteggiamenti vandalici, coinvolgendo anche le famiglie.
Sarà poi necessario che essi, in prima persona, «lavorino» per riparare quei danni: o direttamente, prestando la loro opera nella scuola danneggiata o rendendosi utili in luoghi dove si assistono persone che hanno bisogno dell’attenzione e del sostegno altrui. Poiché essi possano comprendere che facile è distruggere, abbattere, negare mentre è difficile e richiede tempo costruire, prendersi cura, tutelare, rispettare le persone e le cose. Anche il contributo economico, al ripristino dei danni causati dai ragazzi, da parte delle loro famiglie, sarebbe un atto di estrema partecipazione e dignità.
Infine, i quattro ragazzi stessi potrebbero rendersi protagonisti positivi, presso altri ragazzi, di quel che si deve affrontare per porre rimedio ad un atto vandalico. Così, le umiliazioni e i cattivi esempi, dai quali potrebbe essere scaturita la loro rabbia distruttiva, troverebbero, forse, il giusto canale per esprimersi. Poiché, se è vero che può suscitare rabbia e umiliazione l’essere colti in fragrante a compiere atti vandalici ed essere, per questo motivo, penalizzati, è altrettanto vero che soltanto il recupero veramente agito, in prima persona, dei propri errori, rende, poi, liberi e dignitosi. Dostoevskij, docet!