da Unità
Neolaureati e insegnamento
Giuno Luzzatto
Nessun nuovo laureato potrà divenire insegnante? Giustamente, Michele Ciliberto (l’Unità del 12 luglio) parla di "fine dello stupore" nel rilevare la sostanziale debolezza delle reazioni a quanto il Decreto finanziario prevede ai danni dell’Università. Aggiungo che vi è addirittura silenzio in merito a quanto rischia di accadere a danno dei giovani che si sono posti la prospettiva di un futuro lavoro quali insegnanti.
Il Governo precedente aveva bloccato le "graduatorie" in cui si trovano gli attuali abilitati all’insegnamento, quasi tutti con anni di supplenze alle spalle; queste avrebbero dovuto progressivamente esaurirsi, e il ripristino di un sistema concorsuale, aperto ai nuovi abilitati, avrebbe costituito lo strumento per un reclutamento di giovani. È noto, infatti, che l’età avanzata degli insegnanti italiani, sia al momento dell’ingresso in ruolo sia come anzianità media, realizza il meno invidiabile tra i record europei.
Il nuovo Governo vuole ora ridurre drasticamente l’organico dei docenti; le prossime assunzioni saranno molte meno di quelle prevedibili sulla base dei pensionamenti. La Ministra Gelmini, in numerose dichiarazioni, ha ritenuto di trarne la seguente conseguenza: poiché rallenta l’assorbimento delle "graduatorie", non occorre che vengano preparati nuovi insegnanti. Per la fascia secondaria (inferiore -scuola media- e superiore) lo strumento attraverso il quale avviene tale preparazione sono le Scuole universitarie di Specializzazione SSIS; la Ministra non firma perciò il Decreto che costituisce l’ultimo passaggio burocratico necessario per attivare tali Scuole nel prossimo autunno.
Tecnicamente, si tratta di un atto dovuto. Da un lato, infatti, le Università, sulla base di provvedimenti ministeriali, hanno già compiuto tutti i passaggi precedenti, impegnando anche risorse; d’altro lato molti dei recenti laureati hanno costruito il loro piano di studi proprio con gli insegnamenti che, sempre sulla base di formali Decreti, sono prescritti ai fini della presentazione al concorso di accesso alle SSIS. Per coprirsi giuridicamente, il Ministero ha tentato allora di inserire nel Decreto finanziario un emendamento che sancisce tale mancata attivazione; giovedì scorso, la Presidenza delle Commissioni della Camera che esaminano il Decreto ha però dichiarato inammissibile l’emendamento. Non si può pertanto prevedere, al momento, quale sarà la conclusione della vicenda.
Essa è comunque drammaticamente indicativa della fase politico-sociale nella quale ci troviamo.
La maggioranza proclama, a parole, di volere una pubblica amministrazione basata sul merito anziché sull’anzianità ma opera, di fatto, per escludere intere generazioni di nuovi laureati dalla possibilità di competere, in pubblici concorsi, per far valere la propria preparazione; anzi, vuole addirittura -per chiudere il discorso già in partenza- che a tale preparazione non si dia corso. L’opposizione dedica alla questione una attenzione insufficiente, come spesso accade quando gli interessi in gioco non sono quelli di categorie consolidate bensì quelli generali o quelli di gruppi ancora "virtuali": in questo caso, i giovani che vorrebbero iniziare il percorso per divenire insegnanti. Quanto a questi ultimi, l’assenza di una protesta diffusa e organizzata è sconcertante: i concorrenti all’accesso erano ogni anno oltre ventimila, gli accolti più della metà, ma gli attuali neo-laureati che al momento trovano le porte chiuse tacciono.
Tacciono anche i loro professori, e al proposito voglio tornare -con riferimento all’intervento di Ciliberto citato all’inizio- alla problematica universitaria complessiva. Lo scoraggiamento della parte più impegnata, scientificamente e politicamente, del mondo accademico ha molte cause: tra queste, inutile negarlo, una forte delusione per quanto il precedente Governo ha fatto (o non fatto) nel suo biennio di vita, nonché la percezione di una scarsa attenzione, quando non di una diffidenza, da parte della pubblica opinione. Vi è chi se la prende con lo scandalismo dei media, e proclama che i casi dei nepotismi e della predominanza di interessi professionali personali rispetto ai doveri universitari sono minoritari; probabilmente è vero, ma al riguardo dovremmo fare una durissima autocritica.
Uso questo plurale per parlare di quella parte del corpo docente che è impegnata, che fa ricerca spesso degna di riconoscimenti internazionali, che sta dando l’anima per trasformare "a misura di studente" una didattica che fino a pochi anni fa espelleva i due terzi degli iscritti: ebbene, che cosa abbiamo fatto per far emergere la differenza tra le due Università, quella di chi lavora al fine di far crescere l’istituzione e quella di chi lavora altrove, utilizzando l’istituzione ai fini propri, o non lavora affatto? Se non si isolano le mele marce della cesta, il contatto con esse può far marcire la cesta intera; e se anche ciò non accade, chi le vede sospetta che siano marce anche quelle buone.
È oggettivamente sicuro che nella "società della conoscenza" il definanziamento di università e ricerca comporterà per il Paese un sempre maggiore declino. Ma il definanziamento continuerà se non saremo capaci di convincere il Paese stesso che nelle strutture preposte a tali settori vi è non solo qualità, ma anche etica professionale.