da Corriere della Sera
Scuola Si torna a parlare del grembiule, in declino dagli anni Sessanta
«Meno griffe e più decoro» E il ministro dice sì alla divisa
La Gelmini: dà il senso dell’appartenenza. Ma è polemica
ROMA — Addio ciabatte & bermuda, maglietta che scopre l’ombelico, mutande ad elastico alto che debordano dai jeans griffati a vita bassa. A scuola come al college. Tutti in uniforme, tutti uguali: la ragazza che sfoggia le migliori marche e il ragazzo con i jeans taroccati. E’ l’ultima crociata del ministro dell’Istruzione della Cdl, Maria Stella Gelmini, per affermare l’egualitarismo tra i banchi e fermare la frana del decoro nell’abbigliamento. Tutto nasce dalla una proposta lanciata da Gabriella Giammarco (Pdl), una delle più giovani parlamentari italiane: perché non far indossare di nuovo il grembiule ai bambini? Perché no, risponde il ministro, non solo per un fatto di decoro ma anche per una ragione sociale. Non è molto educativo che i ragazzi siano costretti fin dalla giovanissima età ad una continua sfida all’ultima griffe tra i banchi di scuola. Ma la Gelmini va oltre l’italico grembiulino sparito da medie e licei senza bisogno di circolari nei primi anni 60, ancora in uso solo in qualche scuola dell’infanzia.
E da ministro rispettoso dell’autonomia degli istituti ricorre allo strumento della «moral suasion » per promuovere il decoro a scuola e lo spirito di appartenenza anche attraverso il vestiario, come si usa in Europa. «I problemi dell’istruzione oggi sono altri - dice la Gelmini - ma credo che tutte le iniziative che i singoli istituti prenderanno nella propria autonomia per promuovere la dignità e i valori della scuola, compreso l’orgoglio di appartenere al proprio istituto, anche attraverso l’adozione di regole sull’abbigliamento o di una divisa, siano iniziative utili».
Non si sbilancia Angela Nava, presidente del Cgd, l’associazione che raccoglie le famiglie di sinistra. Sa che i genitori difenderanno comunque la libertà dei figli. «Non si può normare l’abbigliamento dal centro - dice -. Però si possono dare forti indicazioni e per quanto mi riguarda credo che rispetto alle ciabatte e bermuda in classe una camicia ed un jeans decoroso possano diventare una sorta di divisa ideale». «Per fare questo - continua - c’è un’opportunità: il patto di corresponsabilità tra famiglie e scuola introdotto da Fioroni. Se tutti sono d’accordo anche l’abbigliamento può contribuire a creare una nuova cultura della scuola». «Il senso di appartenenza alla scuola lo si ottiene soprattutto attraverso la condivisione di obiettivi educativi, senza imitare modelli anglosassoni - osserva Giorgio Rembado, presidente dell’associazione nazionale dei presidi - tuttavia se le scuole lo ritengono opportuno sono libere di scegliere anche uno stile di abbigliamento, una divisa, sebbene questo sia estraneo al nostro mondo». Anna Oliverio Ferraris, docente di Psicologia dello sviluppo all'università «La Sapienza » di Roma, è favorevole: «essendo una sorta di divisa, riesce a strutturare i bambini come alunni. Li fa sentir parte di una comunità importante. È questo è fondamentale per loro, che devono sentirsi parte di un qualcosa all'interno del quale riconoscersi».
Giulio Benedetti