da Il Sole 24 ORE
Scuola multimediale, addio vecchi libri di testo
di Massimo Bucchi*
«Nel mondo ci saranno al massimo una dozzina di persone in grado di capire la mia teoria». Pare che fu questo il commento divertito di Albert Einstein quando, nel novembre 1919, la conferma sperimentale della teoria generale della relatività fu annunciata in prima pagina da quotidiani come il Times e il New York Times. Era un commento emblematico di una concezione tradizionale della comunicazione come "divulgazione" scientifica. Divenuta sempre più complessa, specializzata e distante dal senso comune, la scienza aveva bisogno di una mediazione per poter essere apprezzata dal grande pubblico.
In questa linea si collocavano le numerose lezioni pubbliche di straordinario successo tenute da scienziati come Michael Faraday – memorabile quella natalizia dedicata alla «Storia chimica di una candela», che incantò anche Charles Dickens; e una ricca produzione libraria, spesso focalizzata sulle donne come pubblico paradigmatico, «simbolo di ignoranza, buona volontà, curiosità», come nel celebre Newtonianesimo per le dame di Francesco Algarotti. Era una concezione pedagogica e un po' paternalistica. Come in una sorta di "imbuto", la conoscenza scientifica viaggiava dagli addetti ai lavori sino alla gente comune. Lungo il percorso, man mano che l'imbuto si restringeva, perdeva in dettagli e sfumature. Così, il manuale universitario – e ancor più il libro scolastico – presentava lo "stato dell'arte" di una disciplina in forma storicizzata, spoglia di quel carattere di provvisorietà e incertezza che è tipico del dibattito specialistico.
Soprattutto negli ultimi decenni, tuttavia, questo schema di trasmissione è stato messo in discussione da una serie di trasformazioni. In primo luogo, la "testa" dell'imbuto si è ampliata e frammentata. Alla comunità scientifica in senso stretto si è affiancata una pluralità di soggetti – dalle imprese in settori ad alta tecnologia, alle organizzazioni ambientaliste, alle associazioni di pazienti e di cittadini – che si propongono come fonti ed erogatori di risultati e contenuti scientifici. Ma soprattutto è stata completamente messa in discussione la linearità del percorso comunicativo. L'esposizione didattica e pubblica non è più, come nella visione di Kuhn, una mera pagina statica e sedimentata, scritta dai vincitori nella lotta per l'affermazione di un nuovo paradigma scientifico. È rimasto celebre il caso dell'anemia falciforme, una malattia ereditaria che colpiva negli Stati Uniti soprattutto pazienti di colore. Per vent'anni esclusa dai libri di testo in medicina, vi entrò solo in seguito a una serie di documentari televisivi che mobilitarono ampi settori dell'opinione pubblica.
Lo stesso dibattito americano sul disegno intelligente, seppur profondamente diverso, si è innescato a partire da una discussione sull'insegnamento scolastico. In quell'occasione il biologo Richard Dawkins giudicò l'insegnamento del disegno intelligente «perfettamente lecito in un corso di storia, ma non in uno di scienze». Sempre più spesso, oggi, pubblico e studenti sono esposti al dibattito scientifico nel suo "farsi", ad accese polemiche tra esperti, a risultati ed affermazioni non ancora stabilizzati. Pochi mesi fa, mentre i fisici di tutto il mondo si arrovellavano a verificarne i calcoli, la stampa e i blog ovunque discutevano della "teoria unificante delle leggi dell'Universo" proposta dal fisico indipendente (e sino ad allora sconosciuto) Garrett Lisi. La questione in gioco non è solo l'aggiornamento, ma più in generale lo statuto della conoscenza..
Come dovrebbe comportarsi un docente di fisica nei confronti della teoria delle stringhe nel momento in cui l'autorevole fisico Lee Smolin la descrive pubblicamente come «una congettura non dimostrata»?
Gli strumenti della comunicazione in rete naturalmente accentuano questa tendenza: già nel 2001, i responsabili del database professionale Medline avevano constatato con un certo stupore che il 30% dei propri accessi era costituito da non specialisti, pazienti e loro familiari, rappresentanti delle loro associazioni. Cercando materiale per una relazione, oggi uno studente può imbattersi in blog di ricercatori o in animate discussioni sui forum delle riviste specialistiche; numerosi filmati di Scivee – lo "YouTube della scienza" – si prestano simultaneamente a ispirare repliche e verifiche di esperimenti tra colleghi e a dimostrazioni didattiche da parte degli stessi protagonisti della ricerca. Perfino i musei della scienza, luogo per eccellenza della scienza "fossilizzata", sono divenuti sempre più frequentemente teatro di temi e questioni attuali e controverse.
In questo quadro, il libro di testo nella sua versione tradizionale rischia di restare fortemente spiazzato. La sua funzione di mediazione e stabilizzazione viene messa in discussione da un modello in cui i diversi livelli di comunicazione (specialistica, didattica, pubblica) si intrecciano continuamente in modo non lineare. Una delle sfide centrali è quella di individuare nuove forme di didattica che rinuncino alla pretesa di porsi come "impacchettatori" di sapere, ma accettino i rischi e le opportunità di offrirsi come strumento per quella navigazione a vista nella "scienza in azione" a cui appare ormai destinato ogni studente e cittadino.
Ma che in definitiva rende ancora più rilevanti, per lo stesso mondo scientifico, processi comunicativi e pedagogici che gli erano tradizionalmente estranei o meramente accessori. Come ha sostenuto recentemente il fisico Lévy-Leblond – auspicando una formazione dei futuri ricercatori anche sul piano della didattica e contemporaneamente esperienze in laboratori e luoghi di ricerca per i futuri insegnanti di scienze – non si può produrre un sapere senza condividerlo, né trasmettere il sapere senza partecipare alla sua produzione.
*Programma Scienza, Tecnologia e Società, Università di Trento