Il McDiploma non dà crediti in 7 università inglesi

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Il McDiploma non dà crediti in 7 università inglesi

Messaggiodi edscuola » 30 marzo 2008, 10:20

da LASTAMPA.it

Il McDiploma non dà crediti in 7 università inglesi

DAVIDE GHIRARDI

Quale sarebbe la vostra reazione se vi dicessero che i vostri figli o nipoti frequentano una scuola che esprime valori come l’omologazione, la povertà culturale, la codificazione di una sola metodologia didattica senza investire sulla valorizzazione delle differenti potenzialità di ogni studente? Probabilmente vi affrettereste a ritirare i vostri ragazzi da quell’istituto.

Questo tipo di valutazione, forse, l’hanno fatta anche sette tra le più prestigiose università inglesi, che qualche settimana fa hanno annunciato che non terranno in considerazione i crediti formativi dati dal McDiploma, il nuovo titolo di studio rilasciato dalla più nota multinazionale dei fast food e accreditato dalla Qualifications and Curriculum Authority inglese. Si tratta di un riconoscimento voluto dal governo presieduto da Gordon Brown con l’obiettivo di superare la divisione tra la formazione aziendale e le qualifiche nazionali riconosciute dallo Stato e per aumentare il numero dei diplomati e degli iscritti all’università.

Se però pensiamo che negli anni passati proprio i dizionari inglesi avevano introdotto come neologismo il termine McJob per definire un lavoro «poco stimolante, con scarse prospettive e sottopagato», è comprensibile la reazione negativa del mondo accademico britannico e di molti mezzi di informazione a partire dalla Bbc.

Ma cosa faranno gli studenti della McScuola? Frequenteranno lezioni su come si apre e si gestisce un ristorante, con elementi di economia aziendale e di organizzazione delle risorse umane.

Forse, però, manca l’idea di una scuola che prepari i ragazzi a considerare il sistema cibo nella sua complessità. Ed è molto improbabile che le lezioni utilizzino un approccio interdisciplinare alla gastronomia, elemento invece fondamentale per fare in modo che i giovani che intendono prepararsi a lavorare nel mondo dell’alimentazione possano adottare e - perché no? - promuovere con i loro avventori dei piatti che provengono da una agricoltura sostenibile e valorizzano le economie locali. Da queste basi ci piacerebbe partisse la riforma degli Istituti Alberghieri, tanto auspicata quanto necessaria, augurandoci che i nostri parlamentari non si lascino influenzare dalle sirene dei loro colleghi d’Oltremanica.
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