da l'Espresso
Religione, l'ora di finirla
di Michele Sasso
In Italia ci sono più di 16 mila docenti scelti arbitrariamente dalle Curie e che insegnano solo dottrina cattolica, ma che vengono pagati da tutti i contribuenti. Non sarebbe tempo che la politica se ne occupasse?
La frase a inizio dell'anno scolastico del ministro dell'Istruzione Francesco Profumo ha sollevato un vespaio: «Credo che il Paese sia cambiato, nelle scuole ci sono studenti che vengono da culture, confessioni e paesi diversi. Bisogna rivedere l'ora di religione». Apriti cielo: tifosi pro e contro l'insegnamento cattolico nelle scuole si sono scatenati, commentando un cambiamento di fatto della società italiana. Dietro all'ora facoltativa si nascondono, però, anomalie e storture che vengono da lontano e si sono consolidate nel tempo: privilegi, corsie preferenziali per il contratto a tempo indeterminato e scatti di anzianità migliori per chi sceglie la religione cattolica. Una carriera tutta in discesa, a partire dal reclutamento: mentre migliaia di aspiranti insegnanti di ruolo hanno una trafila da precari che dura anni, per quelli con la Bibbia in mano c'è una scorciatoia che sa di beffa.
A partire dalla loro nomina: è la Curia locale che organizza i corsi per l'insegnamento, li sceglie anche in base alla condotta morale coerente con l'insegnamento (impossibile per i divorziati e i conviventi senza il matrimonio) e decide in quali scuole mandarli. Queste regole valgono per tutti i 16.426 insegnanti che lavorano nelle scuole del Paese. Perché oltre all'assunzione, in base a concorsi e titoli, occorre l'insindacabile giudizio della Curia locale, che fornisce e toglie il "placet" in base alla sua dottrina e a criteri discrezionali. In altri termini i docenti di religione sottostanno agli ordini della gerarchia cattolica ma vengono pagati dallo Stato italiano.
«La stortura è il grande potere della Curia nella definizione della graduatorie - dice Mimmo Pantaleo del sindacato scuola della Cgil -. Di fatto l'Italia delega ad uno stato estero l'insegnamento e il reclutamento. Bisognerebbe rivedere il concordato». E' infatti nel 1929 che si introduce l'obbligo della "fede in aula" anche nelle scuole medie e superiori, quale «fondamento e coronamento dell'istruzione pubblica». Anche se l'articolo del concordato è in palese conflitto con la laicità della Repubblica Italiana, è solo nel 1984 che si decide di togliere l'obbligatorietà dell'insegnamento. Anche per gli anni a seguire non cambia il criterio di selezione e per molti docenti l'opportunità della vita è arrivata nel 2003: in quell'anno l'allora ministro dell'Istruzione Letizia Moratti decide, con il primo concorso "riservato" della storia repubblicana, di assumere definitivamente 15.383 mila professori.
Il problema principale resta il "placet" delle autorità ecclesiastiche. Per partecipare al concorso, oltre ad avere insegnato per almeno quattro anni consecutivi nell'ultimo decennio (in una scuola statale o paritaria), occorreva la certificazione di idoneità rilasciata dall'ordinario diocesano. E in quasi tutte le Regioni i concorsi hanno avuto un numero di partecipanti di poco superiore ai posti disponibili. Con delle palesi storture: in Emilia Romagna, Liguria, Marche, Molise, Umbria, Veneto e Lombardia per l'elementare e la materna i posti a disposizione hanno superato gli idonei. Il concorso che tutti sognano: più posti che candidati. Tutt'altra musica per per le centinaia di migliaia di docenti precari, alcuni iscritti da decenni nelle graduatorie permanenti.
Ma non é l'unico occhio di riguardo del Governo Berlusconi per la Santa Sede: due mesi prima di passare la mano a Prodi, il consiglio dei ministri stabilì che gli incrementi stipendiali di cui avevano goduto i precari di religione prima di entrare di ruolo venivano conservati anche una volta stabilizzati.
Così quello che per i prof di religione era un handicap (il precariato a tempo indeterminato stabilito dal Concordato Stato-Chiesa) si trasformò in un vantaggio. Perché fin dal 1980 erano stati concessi scatti di stipendio maggiori, considerando la loro condizione di "precari sine die", pagati dallo Stato italiano ma senza poter godere dei meccanismi riguardanti i colleghi di ruolo. Una volta di ruolo il privilegio rispetto agli insegnanti di altre materie é però rimasto. Due pesi e due misure ancora oggi in vigore: lo scorso luglio una sentenza della Corte di Appello di Perugia ha stabilito che gli scatti biennali spettano solo ai docenti precari di religione. Un meccanismo retributivo che consiste in aumenti del 2,5 per cento dello stipendio dopo 24 mesi.