Scuola, il maxi-concorso non basta

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Scuola, il maxi-concorso non basta

Messaggiodi edscuola » 8 ottobre 2012, 8:42

da Il Sole 24 Ore

Scuola, il maxi-concorso non basta
Alessandro Figà Talamanca

Ha senso mettere a concorso oltre 11mila cattedre quando ci sono centomila insegnanti precari inseriti in graduatorie che dovrebbero, prima o poi, assicurarne l'assunzione in ruolo? Non avrebbe più senso bandire concorsi solo per le discipline per le quali risultano esaurite le graduatorie, come propongono i sindacati?
Una prima risposta a queste obiezioni è che i concorsi sono previsti dalla legge e dalla Costituzione. Il fatto che le norme siano state disattese nell'ultimo decennio non giustifica che si continui ad ignorarle.
Tuttavia non è questo l'argomento principale a favore dei concorsi, ma piuttosto è che l'alternativa ai concorsi non può essere che il proseguimento sulla strada delle "graduatorie" che dovrebbero essere allora estese anche ai futuri abilitati. È vero che, le attuali graduatorie sono "ad esaurimento", ma in presenza dei nuovi abilitati che usciranno presto dal Tirocinio Formativo Attivo (Tfa) e in assenza di concorsi non sarà possibile negare ai nuovi almeno il diritto di occupare gli ultimi posti delle graduatorie. Si avrebbe quindi a titolo permanente un sistema in cui i posti scoperti in organico sarebbero ricoperti, da chi è più avanti nelle graduatorie, ha cioè un punteggio più alto. Il punteggio, a sua volta, sarebbe, come oggi, determinato dagli anni, i mesi o le settimane di insegnamento in una scuola statale o "paritaria". Per entrare nei ruoli il laureato (quinquennale) dovrà fare un altro anno di formazione specifica attraverso il Tfa e poi andare a caccia di supplenze, magari solo di qualche settimana, per acquisire "punti" e scalare le graduatorie. Per rendersi conto di quanto sia assurdo squesto sistema basta ascoltare le voci diffuse secondo le quali esistono oggi scuole paritarie (specialmente nel mezzogiorno) che non pagano nemmeno i docenti assunti per supplenze, dal momento che molti laureati sono disposti a lavorare gratis pur di acquisire "punti".
Se accettiamo il sistema delle graduatorie dovremo quindi accettare che un neolaureato che voglia fare l'insegnante metta in conto, per entrare nei ruoli, un sesto anno di studi universitari e poi diversi anni di supplenze, forse nemmeno pagate, per scalare la sua "graduatoria". Questo sistema sembra studiato per allontanare i migliori laureati dalla professione di insegnante. Solo chi proprio non ha altre possibilità di trovare lavoro accetterebbe queste condizioni di accesso alla professione.
Possiamo ricordare che un tempo l'insegnamento era la professione immediatamente disponibile, attraverso un concorso, ai migliori laureati, e che proprio per questo la maggioranza dei professori universitari di lettere avevano iniziato la loro carriera di studioso come professori di liceo.
Ritorneremo quindi ai "bei tempi" con l'attuale concorso? Direi proprio di no. Il concorso è un'importante inversione di tendenza, ma risolve ben pochi problemi. Prima di tutto, essendo riservato agli "abilitati", non "ringiovanisce" di molto i ruoli di docenti. I concorrenti più giovani avranno più di trent'anni, perché da oltre cinque anni sono chiuse le scuole che conferivano l'abilitazione, in attesa che si aprissero le nuove (TFA). Inoltre la metà dei posti di organico disponibili saranno assegnati seguendo le graduatorie. Forse, alcuni degli ultimi in graduatoria potranno essere immediatamente assunti, ma il concorso, prevedendo, come elemento centrale della selezione, una prova didattica, premierà anche chi ha saputo trarre profitto dall'esperienza acquisita come "docente precario".
Un vero cambiamento interverrà se il concorso non rimarrà un caso isolato. Questo dipenderà da molti fattori e prima di tutto dal ministro che sarà in carica dopo le elezioni. Ma certamente un fattore che peserà negativamente è la difficoltà di gestire un concorso nazionale.
Forse è venuto il momento di riflettere sulla possibilità di affidare il reclutamento direttamente alle scuole, con concorsi gestiti su base locale. Naturalmente questo sarà possibile solo se le attuali scuole per la formazione dei docenti (Tfa) riusciranno a essere molto selettive. In sostanza il numero massimo di allievi ammessi ai Tfa dovrebbe essere commisurato al numero dei posti di organico scoperti, con una piccolissima eccedenza che tenga conto delle scuole paritarie. Infine, se si vuole veramente che i migliori laureati siano ancora attratti dall'insegnamento, bisognerebbe prevedere borse di studio per la frequenza del Tfa.
Da ultimo, parlando del reclutamento degli insegnanti non si può non denunciare la pratica, imposta al Miur dal ministero dell'Economia, di ricoprire circa centomila (su settecentomila) cattedre con docenti precari, non già perché i posti potrebbero scomparire, e i relativi docenti non essere più necessari, ma soltanto per risparmiare lo stipendio dei docenti dei mesi estivi e gli aumenti di stipendio previsti per i docenti di ruolo. Si tratta del modo più stupido di tagliare le spese, perché incide sulla possibilità di reclutare personale qualificato.
Ci sono certamente modi più intelligenti di risparmiare molto di più, a esempio aumentando i limiti alle dimensioni di una classe, o, meglio ancora, riformando gli studi in modo che, come in molti paesi con i quali ci confrontiamo, gli anni di scuola prima dell'università siano dodici anziché tredici. Quest'ultima proposta era stata avanzata dal ministro Berlinguer, prevedendo sette anni complessivi di scuola integrata tra elementari e medie, seguiti, come ora, da ulteriori cinque anni di istruzione secondaria.
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