da Tecnica della Scuola
Quanto peso ha il giudizio di ammissione agli esami?
di Pasquale Almirante
L'attuale formula degli esami di Stato con un voto unico dice poco sulle competenze specifiche dei ragazzi, mentre l'ammissione, avallata dal consiglio di classe con la sufficienza in tutte le materie, renderebbe inutile l'esame.
Al di là dell'aspetto colorito degli esami di Stato, come il riscoperto rigore per l'ammissione, le lusinghe degli scritti con la caccia al tema, il bilancino sui voti, l’inutilità delle tesine con il percorso interdisciplinare, un autentico dibattito sul loro contenuto specifico non è stato apertamente e con serio rigore avviato, tranne fra le camere degli esperti che, siccome sono tali, ne viene colto pochissimo dall’esterno. Si possono infatti apportare tutte le argomentazioni pro o contro l’attuale formula di giudizio, ma il contenuto non cambia: gli esami di fine quinquennio di istruzione superiore così come sono oggi, e pure ieri, certificano poco sulle reali capacità dei ragazzi.
Già l'ammissione agli esami è di per sé un mistero, perché da un lato occorre avere almeno la sufficienza in tutte le materie, e quindi già si avverte in pratica una legittima e attesa promozione certificata dal consiglio di classe, ma dall'altro la commissione, a suo giudizio e sulla base del risultato delle prove, può pure bocciare, come è avvenuto l'anno scorso e come avverrà anche quest'anno.
Allora sorge un dubbio: è credibile il giudizio del consiglio di classe o è ritenuto quantomeno dubbio e inaffidabile? Se si guardar bene infatti si evidenza, su questo singolo aspetto, una macroscopica contraddizione che non rende onore né giustizia alla valutazione espressa dai docenti e che potrebbe essere sufficiente per mettere in discussione l'intero meccanismo.
Ma c’è un’altra considerazione che vorremmo porre, nel contesto, al libero dibattito: come si fa a non ammettere dopo cinque anni di scuola? Che lavoro ha fatto e che impegni ha preso il consiglio di classe su quel singolo studente nell’intero arco di studi? Come ha fatto, in altri termini, a portarlo fino al quinto se poi è costretto a fermarlo alle soglie ultime del diploma? Non è forse una sconfitta della scuola nel suo insieme?
Ma andiamo oltre: non è stato spiegato che significato possa avere un voto unico con cui si dà un giudizio finale al candidato, non solo sulle sei materie delle prove, ma anche sulle altre già studiate e non presenti agli esami. La Confindustria reclama personale preparato, il Miur lancia la nuova istruzione tecnica con questo scopo apparente, ma agli effetti pratici un voto unico cosa racconta sulle reali competenze di un neo geometra o di un neo liceale? Se si mettono tutte queste riflessioni insieme si capisce come l’attuale formula d’esame abbia bisogno di essere superata, benché le modalità siano state da tempo annunciate, ma non pare ci sia la volontà giusta per applicarle.
Intanto al quinto anno apparirebbe impensabile bloccare un giovane, sia prima degli esami sia dopo. Nei primi quattro anni c’è tutto il tempo e le occasioni per farlo, ma al quinto appare quantomeno singolare, tant’è che la riforma delle superiori prevede due bienni (1°-2° e 3°-4°) e un monoennio (5° anno).
E al quinto anno, ci azzardiamo a pensare, che l’esame finale vada fatto, non sulle sole materie scelte dal ministero, ma su tutte quelle previste dal piano di studi e verificate da una commissione tutta esterna a tale scopo nominata, mentre su ogni singola disciplina dovrebbe essere espresso un giudizio (o anche il voto numerico) dettagliato che testimoni le reali competenze e le capacità del candidato. Il diploma così diventa un certificato delle competenze e con quella certificazione si cerca lavoro o si entra all’Università. Si possono avere, per paradosso, su dieci materie del corso di studi, anche nove insufficienze, ma in un’unica si può eccellere e che può essere proprio quella che interessa a una particolare azienda o a una specializzazione particolare per l'Università.
La scuola crediamo dovrebbe avere l’obbligo di definire nel dettaglio i livelli di conoscenza, di competenza e pure di comportamento al quinto anno, mentre spetterà al ragazzo scegliere cosa fare: ripetere ancora, se i giudizi sono del tutto insufficienti, o tentare l’avventura altrove. L'esame finale dovrebbe in altre parole certificare solamente le competenze raggiunte e i livelli di preparazione complessiva, ma mai respingere, e la commissione esterna dovrebbe avere proprio questo ruolo, dopo avere studiato certamente il curriculum scolastico del candidato.
In molte parti d’Europa fra l’altro il sistema è esattamente questo, come la mission della istruzione è quella di educare innanzitutto alla cittadinanza. Impelagarsi ancora su tesine copiate, clonate o rifatte; rispolverare bilancini farmaceutici fra i membri della commissione per dosare un solo voto che non scontenti o che punisca o riscatti appare non solo anacronistico, ma anche umiliante per chi si ci arrovella. Ogni singolo docente, a conclusione degli esami di Stato, si deve assume le proprie personali responsabilità, con scienza e coscienza, senza compromessi col collega e senza i difensori interni che tentano sempre di parare i colpi.