da Corriere
Troppe libertà ai nuovi Franti
Gian Antonio Stella
Ricordate Franti, lo scolaro incorreggibile del Cuore di Edmondo De Amicis? Anche lui accendeva petardi, come quei teppisti padovani che in un video su YouTube, tra risate e bestemmie, hanno crudelmente fatto scoppiare un topolino. Una idiozia così gratuita e feroce da scatenare sui blog una selva di commenti pesantissimi. Il maestro deamicisiano, allo scoppio del petardo urlò: «Franti! fuori di scuola! - Egli rispose: - Non son io! - Ma rideva. Il maestro ripeté: - Va' fuori! - Non mi muovo, - rispose. Allora il maestro perdette i lumi, gli si lanciò addosso, lo afferrò per le braccia, lo strappò dal banco». Lo facesse adesso, chissà, i genitori lo denuncerebbero. E lui dovrebbe trascinarsi per i tribunali a spiegare che il Franti «non teme nulla, ride in faccia al maestro, ruba quando può, nega con una faccia invetriata, è sempre in lite con qualcheduno...» E magari un pm chiederebbe anche per lui due mesi di carcere come quello che incriminò l'insegnante palermitana che per punire un prepotente che aveva umiliato un compagno gli aveva fatto scrivere 100 volte: «Sono un deficiente». Cosa che il bulletto aveva fatto ignorando per cento volte la «i». «Deficente » e somaro.
Dura la vita, a correggere i «Franti». Oggi più di ieri. Anche se non è vero che un tempo i maestri e i professori avessero vita più facile avendo mani libere nelle punizioni. Lo dimostrano i preziosi documenti in mano a Egidio Guidolin, un antiquario bassanese che ha raccolto una ricchissima collezione di materiale (dai banchi ai calamai, dai quaderni ai pennini) per una mostra sulla scuola. Certo, il «Regolamento scuole elementari del Comune di Bassano» del 1906 stabiliva regole rigide: «È obbligo degli alunni portare rispetto e prestare obbedienza ai maestri, ai superiori e a chiunque presiede alla sorveglianza delle scuole; di serbare buon contegno e di mostrarsi bene educati non solo nella scuola, ma anche negli atrii, nei cortili e per le vie». Ma già da mezzo secolo, dimostra il volume «Della Educazione», di Raffaello Lambruschini, del 1863, si considerava il «dolore corporale» inflitto allo scolaro, quali le bacchettate sulle dita, «un barbaro uso esecrato oramai con un generale anatema».
Una cosa sì, è però cambiata col tempo. Si è via via eroso, nonostante l'impegno e la preparazione di tanti insegnanti straordinari, il sentimento di rispetto verso chi è in cattedra. Colpa della società, che non collabora con la scuola. Dei genitori, che ai figli talvolta perdonano l'imperdonabile. Dei ragazzi, che spesso non si rendono conto di quanto un percorso scolastico troppo facile spalanchi loro davanti una vita dura. Ma colpa anche, diciamolo, di troppi docenti. Che rifiutando per se stessi ogni valutazione professionale sono poi meno credibili quando valutano gli altri. Sapete quanti fascicoli disciplinari sono aperti sui professori delle superiori davanti al Consiglio della Pubblica Istruzione? Sette. Su oltre 300 mila docenti. Ma la cosa più stupefacente è un'altra. Sapete cosa hanno risposto a Giuseppe Fioroni quando ha chiesto un po' di statistiche sui docenti censurati, spostati o licenziati per assenteismo, incapacità o reati vari? «Scusi, ministro, sono dati che non abbiamo mai avuto... Non sapremmo neanche dove andarli a prendere».