da LASTAMPA.it
Cassazione, prof. non può licenziarsi se l'alunno è "difficile"
Ragazzo aveva chiuso a chiave la classe e preso docenti a calci
ROMA
Non può essere considerato motivo di dimissioni dal proprio incarico quello di un insegnante che abbandona la propria classe perché in essa sono presenti studenti troppo difficili che non permettono il normale svolgimento delle lezioni: a stabilirlo è stata la Corte di Cassazione che con la sentenza n. 1988/2008 ha rigettato il ricorso di un docente della scuola media SS. Annunziata di Firenze.
I fatti risalgono al 1999, quando il docente si era dimesso dal servizio perché in disaccordo con la propria scuola, ritenuta troppo tollerante rispetto all’atteggiamento (anche violento) di un suo alunno iscritto in prima media: la mancanza di regole del ragazzo era ritenuta invece normale dalla psicologa e dagli altri docenti perché l’alunno fino a cinque anni era vissuto in una favela brasiliana, in condizioni ambientali di disagio e di abbandono.
Il consiglio di classe era convinto che l’alunno avesse bisogno di un periodo di inserimento nella nuova classe; ma in un solo mese e mezzo, tra la metà di settembre e il 1 novembre (quando il docente ha deciso di licenziarsi), l’alunno si era reso protagonista di episodi davvero deplorevoli. In meno di un mese e mezzo aveva chiuso a chiave la classe e gettato dalla finestra la chiave, preso a calci e insultato un altro professore, gettato un barattolo di vernice contro una cassettiera dell’aula di applicazioni tecniche.
La psicologa ha però sempre convinto il consiglio di classe dell’alunno a mantenere il ragazzo nel gruppo-classe sopportando determinati atteggiamenti reputandoli di ambientamento: la linea “soft” non è stata però accettata dal docente intransigente che avrebbe preferito l’assegnazione di una altro docente, una psico-pedagoga, con la quale potersi anche allontanare per svolgere attività didattica alternativa.
Il docente dopo essersi licenziato si era rivolto al Tribunale di Firenze per condannare l’istituto scolastico al pagamento dell’indennità sostitutiva di preavviso, oltre alla rivalutazione monetaria ed agli interessi legali.
Il Tribunale accoglieva la domanda, condannando la scuola al pagamento di quasi 3 mila euro, ma in secondo appello la Corte d’appello di Firenze, pur prendendo atto degli episodi gravi, riteneva che le dimissioni del docente fossero prive di giusta causa ribaltando la sentenza di primo grado e condannando il docente a pagare le spese del doppio grado di giudizio.
Ora la Suprema Corte ha confermato il secondo giudizio rigettando il ricorso del docente: la Cassazione ammette che quella «classe di prima media ove confluivano 25-30 alunni di 10-11 anni con alle spalle percorsi scolastici nella scuola “elementare” assai disomogenei, fosse davvero un “coacervo” di pulsioni pre-adolescenziali che certamente metteva a dura prova, da un punto di vista disciplinare prima ancora che pedagogico, il corpo insegnante».
«A questi “problemi fisiologici” - spiega sempre la Corte - si aggiungevano, poi, quelli ulteriori che i “casi di alunni difficili”. Il “caso” del giovane, peraltro venne comunque discusso in collegio dei docenti, con l’intervento di una psicologa, che invitò i docenti “a porsi come obiettivo per il ragazzo di riuscire a tenerlo in classe il più possibile in modo corretto, altrimenti allontanarlo per educano al rispetto delle regole”, escludendo l’opportunità prospettata dal C. e da altro docente, di inserimento di una psico-pedagoga, potendo, a suo giudizio, una nuova figura educativa, disorientare ulteriormente il ragazzo».
Nella sentenza di terzo grado, si sostiene quindi che «la Corte fiorentina ha coerentemente ritenuto che l’istituto scolastico abbia gestito il “caso difficile” dell’alunno M.E. in termini di flessibile ragionevolezza e con risultati complessivamente apprezzabili».
Nella decisione della Cassazione deve aver pesato non poco anche il fatto che l’alunno “difficile” nel corso dei mesi ha mostrato sensibili miglioramenti, soprattutto dal punto di vista comportamentale, confermando quindi come la linea della tolleranza «avesse dato buoni frutti, andando la condotta del giovane gradualmente migliorando, tanto che, a fine anno, la sua perdurante “vivacità” non era dissimile da quella di altri compagni di classe».