Quali competenze per quale scuola?1
Il pensiero OPPI
Le contraddizioni della riforma
La riforma dell’Università e della Scuola secondaria di secondo grado (30 dicembre 2010,
Legge n. 240/10) ha posto modifiche sostanziali a tutto il sistema scolastico italiano, e lo ha fatto
più in coerenza con le «Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la
competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria» (Legge n.
133/08, art. 64) che con il lento processo di innovazione avviato sul territorio nazionale dal
19792.
Tutto questo in un contesto europeo che, a partire da Lisbona (marzo 2000), ha prodotto
significativi documenti, dalla Raccomandazione del Parlamento Europeo e del Consiglio del 18
dicembre 2006 («Le competenze chiave per l’apprendimento permanente») a quella relativa al
Quadro europeo delle qualifiche del 23 aprile 2008, che andrebbero valutati con attenzione. È in
gioco la visione complessiva della funzione della Scuola nel mondo moderno, che a nostro
avviso non dovrebbe appiattirsi su di un’immagine utilitaristica del sapere e del capitale umano,
né tanto meno obbedire a esigenze di tagli indiscriminati per il pareggio del bilancio3. È infatti
evidente la contraddizione che insidia lo spirito riformatore: da un lato si dichiara di voler dare
impulso al capitale umano come leva dello sviluppo socioeconomico, dall’altro si considera la
scuola più una voce di spesa che un investimento per la collettività.
Stando alle indicazioni che pervengono dal quadro normativo, il sistema scolastico italiano
andrebbe totalmente ripensato:
• nella didattica, per la co-costruzione di competenze disciplinari e trasversali (con il
rilievo richiesto per le competenze di cittadinanza, con l’abbandono del concetto di
«condotta», e l’introduzione del nuovo paradigma del «comportamento»4) e la loro
valutazione e certificazione;
• nell’organizzazione, secondo un’idea di professionisti della formazione che guardano
ben oltre il mandato disciplinare e sanno lavorare in rete.
Ma come è possibile ripensare e riprogettare la Scuola italiana se non si salvaguarda e si
rilancia una visione alta del suo ruolo, il più possibile lontana da una rappresentazione
strumentale e subalterna alle politiche economiche del momento? L’OPPI ha perciò chiesto ai
suoi soci e collaboratori (insegnanti e dirigenti della Scuola di ogni parte d’Italia): a che
condizioni e con quali strumenti è possibile accettare la sfida di un rinnovamento?
Dal confronto associativo è nato questo documento che offriamo agli insegnanti italiani (e a
tutti quelli che credono in un futuro migliore della Scuola italiana) come proposta di un percorso
possibile da costruire insieme.
1 Il Documento è stato elaborato durante il Seminario che si è tenuto a Vico Equense nei giorni 25, 26 e 27 luglio
2011. Si rimanda alla nota bibliografica p.7 per una più ampia notizia sul processo di redazione.
2 Cfr. allegati 1 e 2 per le tappe del percorso di riforma della scuola, ormai più che trentennale.
3 Cfr. allegato 3: L’Europa e l’attenzione ai processi di formazione.
4 Cfr. allegato 2: Dopo la legge n. 198 e, in particolare, al riferimento conclusivo al DPR n. 122 del 22 giugno
2009 (Regolamento per la valutazione degli alunni).
Le condizioni di un rilancio
Ritrovare il senso della Scuola, oltre la crisi attuale, è possibile, avendo chiarezza dei
vincoli normativi e degli spazi discrezionali con cui dare vita a un progetto formativo fondato
sulla libertà e sulla responsabilità delle comunità e degli individui. Abbiamo per questo uno
strumento da riscoprire e rivitalizzare: l’autonomia scolastica regolata dal DPR n. 275 del 1999.
Articolo per articolo c’è tutto quanto un dirigente scolastico e un Collegio docenti possano
desiderare: «autonomia didattica e organizzativa, di ricerca, di sperimentazione e sviluppo»
(capo II). E vi si parla anche di competenze5.
Nel corso degli anni però, con la diminuzione graduale delle risorse finanziarie che
sostenevano il POF (Piano dell’Offerta Formativa) e il piano di aggiornamento da esso previsto,
l’autonomia scolastica si è rivelata sempre più una scatola vuota decorata da belle etichette. Lo
sforzo delle scuole di riempirla di contenuti è stato ed è tuttora lodevole, ma spesso si scontra
con la realtà di un corpo docente sempre meno disposto ai cambiamenti perché non incentivato
sul piano economico, né sostenuto dalla percezione del riconoscimento sociale del proprio ruolo.
Nonostante tutto, siamo persuasi che la didattica rivolta alle competenze rappresenti una
reale occasione di rinnovamento, che passa proprio attraverso la valorizzazione delle risorse
interne della Scuola italiana. Ma a una condizione imprescindibile: la non subalternità della
formazione rispetto alle richieste della produttività. Vogliamo una scuola come luogo di
formazione di intelligenze libere, capaci di pensare criticamente e di «sentire» i cambiamenti
storici e sociali, e rifiutiamo l’idea di una scuola puramente strumentale ed efficientista,
preoccupata più delle spese da sostenere che non della qualità del capitale umano e del
benessere delle persone che forma.
Lo scopo della formazione è infatti quello di attivare relazioni e strategie per stimolare,
alimentare, consolidare la responsabilità e la libertà del soggetto e fornirgli così gli strumenti
intellettuali di base che gli consentono di rispondere alle sempre mutevoli «esigenze del contesto
culturale, sociale ed economico della realtà locale»6 e, più in generale, alle più diverse
sollecitazioni che provengono dal mondo della cultura, dell’economia, della politica e che non
possono essere pregiudizialmente respinte7. L’efficacia che l’Europa ci chiede, ad esempio, non
è contraria alla libertà e l’obiettivo di formare un cittadino capace di risolvere problemi e
adattarsi a situazioni nuove, certamente funzionale alle esigenze della società in tutte le sue
articolazioni, è strettamente connesso con la scuola del pensiero critico.
Se, come crediamo, gli insegnanti possono accettare la sfida della didattica per competenze
come un’opportunità è perché pensiamo alla persona competente come a una persona riflessiva e
creativa, aperta al nuovo e all’imprevisto, capace di confrontarsi con gli altri, protagonista
consapevole del proprio percorso di apprendimento professionale e del proprio progetto di vita.
5 Cfr. allegato 4: Autonomia scolastica e competenze
6 DPR 8 marzo 1999, n. 275, art. 3, comma 2, Piano dell’offerta formativa. Si tratta della nota formulazione che,
con poche varianti, ritorna ripetutamente nel decreto: art. 6 Autonomia di ricerca, sperimentazione e sviluppo; art.
8 comma 4; Definizione dei curricoli, art. 9 comma 1Ampliamento dell’offerta formativa. Il riferimento ai diversi
contesti è già presente nell’art. 1, comma 2, Natura e scopi dell’autonomia delle istituzioni scolastiche.
7 Alcune indicazioni possiamo valutarle utili e preziose, se le riconosciamo coerenti, secondo quanto recitano gli
art. 1,2 del DPR 275/99: «con l’esigenza di migliorare l’efficacia del processo d’insegnamento e di
apprendimento», coerenti «con le finalità e gli obiettivi generali del sistema di istruzione» e, soprattutto, con lo
«sviluppo della persona umana» che è lo scopo cui mira ogni intervento di educazione, formazione e istruzione.
Domande che generano domande
Chiediamoci allora come una didattica orientata alle competenze possa essere occasione di un
rinnovamento della Scuola coerente con la qualità della sua missione educativa, di mediazione
culturale e di orientamento.
Come cambia la relazione insegnamento-apprendimento se si pensa a una didattica per
competenze? Come cambia l’organizzazione della Scuola? E il modo di pensare l’orientamento?
Come accogliere le indicazioni provenienti dall’Europa tenendo conto anche della
complessità e problematicità della questione italiana?
Come evitare le semplificazioni che tendono a creare una didattica surrettizia, capace
magari di raggiungere standard di competenza, ma non di creare capacità?
E quale visione antropologica sta dietro il concetto di competenza? Quale idea di cittadino e
di cittadinanza?
E infine: come si esprime il nostro modo di pensare la didattica per competenze? Quali
conseguenze ha l’assunto che le competenze sono un prodotto storico, cambiano nel tempo e
vanno definite in rapporto ai contesti?
Sono le domande che ci siamo posti di fronte al tema delle competenze nella Scuola. Come
sempre, le domande generano altre domande che rivelano la complessità del problema,
l’approccio del gruppo che lo affronta e, soprattutto, attivano un percorso di ricerca. Ciascuna
comunità deve porre le proprie domande e avviare un percorso di ricerca: ecco perché il
contributo che OPPI offre oggi agli insegnanti si articola nella esplicitazione dei «presupposti» e
nella loro «contestualizzazione» per avviare una ricerca su metodi, approcci, strumenti
professionali che li accompagnino nel fare scuola in una autentica cornice di senso.
Il compito di una Scuola della responsabilità e del progetto
Da sempre, e ancor più in questo momento storico caratterizzato dallo smarrimento dei
singoli, dalla perdita dei punti di riferimento per le giovani generazioni, dalla difficile credibilità
delle istituzioni, dalla paralisi del sogno per quanti si affaccino sul futuro, la scuola è chiamata a
elaborare un progetto educativo alto e a porsi come luogo della mediazione culturale e valoriale.
È chiamata inoltre ad assumere responsabilmente il proprio mandato, circoscrivendo il proprio
ruolo istituzionale e sociale in dialogo con il contesto in cui opera, e a porre in essere azioni in
cui si eserciti non solo la «libertà da», ma anche la «libertà di» senza lasciarsi strumentalizzare
dalle mode. In sintesi, è suo il compito di riappropriarsi del ruolo di garante della democrazia
educativa e dell’orientamento individuale e collettivo.
Per svolgere il proprio compito, è prioritario che gli insegnanti si assumano la
responsabilità di essere se stessi attingendo alla propria esperienza (personale e sociale), ai
propri valori e a ciò che ritengono essere la propria funzione storica, in un rapporto creativo con
la normativa vigente che consenta loro di verificare quali siano gli ambiti di discrezionalità
(collegiali e individuali) per ricoprirli flessibilmente, esercitando riflessività e autovalutazione.
Riflessività e autovalutazione sono infatti pratiche professionali indispensabili per riconoscere
che scelte intenzionali e motivate implicano una precisa assunzione di responsabilità.
Le competenze per rinnovare la relazione educativa
Nella nostra ottica formativa, la relazione insegnamento-apprendimento finalizzata alla cocostruzione
di competenze, si svolge in un processo «olistico», coevolutivo e orientativo,
inclusivo di complessità, di creatività e di occasioni per lavorare in gruppo, confrontando le
prospettive di ciascuno.
A queste condizioni, impegnarsi in una didattica per competenze può significare aiutare gli
insegnanti a passare da una impostazione centrata sulla trasmissione a una didattica attiva che
riconosce la centralità di chi apprende e valorizza la figura dell’insegnante come adulto
significativo: un professionista, un accompagnatore autorevole più che un modello, capace di
mobilitare, attraverso il gruppo, i talenti degli studenti e di condurli attraverso esperienze
significative, che suscitino interesse e facciano scoprire il piacere dell’apprendimento.
Educare alla gestione dell’incertezza, intesa in senso positivo come spazio da costruire, cioè
aperto e non predeterminato, è elemento centrale per formare i giovani alla nuova coscienza
globale, dove non poco ruolo hanno la fantasia, il coraggio e l’autodisciplina. Fare leva su
queste qualità intrinseche, in una relazione educativa autentica, porta con buona probabilità a
superare le ordinarie crisi di attenzione, di motivazione, di impegno nello sforzo
dell’apprendere, che sempre più interessano giovani di ogni tipo; e ancor più è efficace come
antidoto contro le crisi più acute.
Il ruolo delle discipline
Centrale in questo spazio di riflessione è l’analisi disciplinare, che permette ai docenti di
proporre obiettivi e compiti «di senso» sui nodi essenziali e irrinunciabili della disciplina che
promuovono competenze in situazioni in cui il nuovo e l’inatteso sono accolti, gestiti e
valorizzati.
Non è più sufficiente riferirsi alla concezione che evidenziava nell’analisi disciplinare sia
gli aspetti concettuali e proposizionali (sapere che cosa) sia quelli procedurali (sapere come), ma
occorre correlare questi aspetti con gli aspetti propri del contesto culturale, che corrispondono,
in un momento storico dato, alle visioni del mondo prevalenti, ai paradigmi in ambito
scientifico, alle emozioni, ai valori, alle immagini e alle rappresentazioni sociali (sapere
perché)8.
Sarà possibile interrogarsi sulla valenza che hanno le discipline a proposito di promozione
di competenze, sulla potenzialità del valutare per formare e sulla necessità di condurre i ragazzi
all’autovalutazione, se si accetta che non ci può essere competenza senza consapevolezza,
metacognizione e capacità di orientarsi.
Mettersi d’accordo su cosa è una competenza
Ci sono molte descrizioni di competenza9, ma certamente la consapevolezza ne è
elemento distintivo: è l’operazione che permette di osservare se stessi mentre si lavora, valutare
l’efficacia del proprio procedere, riconoscere le difficoltà in cui ci si imbatte e individuare le
strade più adatte al proprio modo di apprendere per colmare i deficit che si scoprono e dotarsi di
nuove risorse, in sintesi per acquisire o agire in situazioni nuove, non conosciute10.
Le competenze sono inoltre il risultato di una costruzione originale di ciascuno, influenzata
dalle esperienze, da personali stili di apprendere e rapportarsi alla realtà, da emozioni e affetti.
Quali metodi, situazioni e compiti per esercitare le competenze a scuola?
La didattica delle competenze è stata di volta in volta assimilata all’insegnamento per
moduli, per progetti, per problemi, o al più recente apprendistato cognitivo; tutte formule, che
illuminano solo una parte, senza rendere ragione della complessità dello stare in classe. Infatti,
quando vengono agite si ibridano e diventano altro.
Piuttosto, lo spazio-tempo dello stare a scuola dovrebbe essere laboratorio costante,
laboratorio cognitivo e metacognitivo, che facilita e sottolinea i meccanismi della co-costruzione
di competenza del singolo nel gruppo. Ciò che chiamiamo «co-costruzione» rappresenta quel
processo dialogico nel quale la creazione di significati non è individuale, ma avviene in
interazione con l’altro e all’interno di un contesto necessario allo sviluppo di conoscenza.
Agire in contesto per noi significa avere «sulla punta delle dita»: contenuti, metodi,
strategie, sensibilità empatiche, psicologiche e metacognitive, capacità di osservazione continua
e ascolto, di contrattazione, interesse. In breve, modi diversi e adattabili, per reagire agli stimoli
di una classe senza mai perdere la capacità di condurre, orientare, dare direzioni. E anche così,
siamo convinti che l’insegnamento non sia mai predittivo dell’apprendimento, che in ultima
analisi deriva dal soggetto, nella misura in cui lo consideriamo costruttore attivo e responsabile
della propria visione del mondo11.
8 Cfr. AA.VV. Pensare e formare: epistemologie a confronto – OPPIDOCUMENTI n. 68 e
allegato 5: Competenze e discipline.
9 VEZZOLI M., «Definire le competenze? Cominciamo da 23! Una raccolta di definizioni», in Oppinformazioni on
line (<http>), nella rubrica «Progettare per competenze».
10 CHESI M.L. «Competenza è...», in Scuolainsieme, n. 3 del febbraio-marzo 2001, nel dossier «La didattica
modulare».
11 MATURANA H. R., VARELA F. J., Autopoiesi e cognizione, Marsilio, Venezia 1985.
Valutare e certificare le competenze
A Scuola, si sa, vengono richieste e valutate le prestazioni più che le competenze. È arrivato
il momento di domandarci: quanto una performance può essere rivelativa di una competence? A
quali prestazioni corrisponde una competenza? È davvero possibile valutare una competenza
attraverso una prestazione, per quanto di qualità?
Il fatto è che la competenza aderisce e sta dentro il soggetto come qualcosa che ne fa parte e
non tollera una composizione analitica di abilità elementari discrete — cioè che si possano
distinguere ed enumerare — ma si presenta come una unità «molare», denotata da globalità e
apertura. Rispetto a una didattica per obiettivi, che si basa su una direzione dell’azione didattica
uguale per tutti, su uno scopo comune, la didattica per competenze richiederebbe una prospettiva
completamente individualizzata: soprattutto perché, a differenza dell’obiettivo, la competenza
inerisce al soggetto con una intimità che fa del «saper-fare» una espressione manifesta del
«saper-essere». Piuttosto che «avere» una competenza, competenti si «è»12. E il problema
diventa come osservare, valutare, certificare il saper essere di ciascuno dei nostri allievi.
12 DAMIANO E., «Il sapere della Competenza - indagine sulla pertinenza scolastica di una categoria didattica
emergente», contributo al convegno SIPED 2008, ora in Oppinformazioni on line
(<http>), nella rubrica «Progettare per competenze».
Competenze di base e valorizzazione del merito
La scuola di qualità, basata su una relazione significativa tra insegnamento e
apprendimento, ovvero tra insegnanti e studenti, non può evitare di porsi, nella società della
conoscenza, il problema di come valorizzare gli sforzi dei giovani e di come riconoscere e
promuovere la professionalità degli insegnanti. Il merito non è solo la risultante di un talento
(che rappresenta il potenziale di ciascuno e non deve essere confuso con il privilegio o la «dote
naturale»), ma anche di un impegno e una mobilitazione di risorse attorno al risultato.
Sviluppare l’attenzione al merito significa portare i soggetti ad andare oltre i propri limiti e gli
impedimenti sociali e far maturare il potenziale di ciascuno; ciò implica valutare con regole
trasparenti e condivise.
Il riconoscimento dei meriti, ovvero la valorizzazione delle eccellenze e degli sforzi individuali,
la cosiddetta «cura dei talenti», non deve però intaccare il dovere primario della Scuola di
fornire a tutti la competenze di base, necessarie per esercitare consapevolmente i diritti e i doveri
di cittadinanza. Ci chiediamo perciò: è possibile fare investimenti sul merito in termini di
incentivi sia alla persona sia al gruppo di lavoro, promuovendo i principi ad esso sottesi
(impegno, correttezza, autonomia, continuità, problem solving) senza entrare in contraddizione
con i valori fondamentali di una Scuola che promuove democrazia e dignità della persona
attraverso la solidarietà, la cooperazione attiva, l’universalismo dei diritti? Ci pare una direzione
di indagine degna della massima attenzione.
Una occasione da non perdere
Di fronte alla ineluttabilità dei cambiamenti, l’OPPI:
• mantiene una attenzione vigile e non perde l’occasione di ridiscutere e approfondire i
temi che la caratterizzano: epistemologia e didattica costruttivista, epistemologia e
analisi disciplinare, gruppo e comunicazione, tecnologie a sostegno del lavoro dei
gruppi, della ricerca e della didattica;
• offre agli operatori della scuola situazioni di formazione utili a prevenire e ad arginare
forme di confusione e smarrimento;
• sollecita ciascun Istituto scolastico ad assumersi la responsabilità di essere se stesso,
valorizzando gli spazi di discrezionalità che l’autonomia concede percorrendo strade e
modalità di ricerca coerenti con la propria storia e la propria identità.
Il pensiero dell’OPPI è che le scuole debbano vivere questo cambiamento come un’opportunità
per ripensare l’esperienza di insegnamento-apprendimento. Questo può avvenire a condizione
che gli insegnanti non si pongano passivamente rispetto alla richiesta ministeriale,
considerandola un mero adempimento burocratico, né si chiudano dentro pratiche ossessive per
dare risposta alle raccomandazioni europee.
Opportuno invece sarà alzare lo sguardo dal proprio contesto di lavoro verso il futuro che
aspetta i ragazzi di oggi, destinati a vivere nell’era della globalizzazione in cui saranno
indispensabili i sette saperi di Morin, essenziali per dotarsi della «competenza evolutiva,
necessaria alla sopravvivenza della specie umana a fronte dei pericoli che corre il nostro sistema
planetario, per orientarsi nel futuro e per affrontare la complessità e il cambiamento»13.
13 MORIN E., I sette saperi necessari all’educazione del futuro, Cortina, Milano 2001.
Nota bibiografica
Il presente documento, affidato alla redazione del Comitato scientifico OPPI, prende le
mosse dalle indicazioni dei gruppi di lavoro al Seminario nazionale OPPI di Albino del marzo
2011 e dalla successiva rielaborazione in rete sulla Piattaforma di lavoro dell’Associazione
(<oppi>), e deve la sua forma attuale alla revisione attuata su impulso del Seminario di Vico
Equense (25, 26 e 27 luglio 2011).
Il percorso associativo sulle competenze è in realtà più lungo e articolato. Riportiamo di
seguito l’elenco dei principali lavori che rappresentano la naturale premessa alla costruzione del
presente documento e alla redazione dell’offerta formativa OPPI sulle competenze.
ZACCHERINI STEFANIA MARANGONI (a cura di), «Pensare e formare. Epistemologie a
confronto», OPPIdocumenti, n. 68, Milano 1995.
ZACCHERINI STEFANIA MARANGONI (a cura di), «Il pensiero dov’è», Atti del Convegno
con Humberto Maturana, OPPIdocumenti, n. 75-76, Milano 1997.
CHESI MARIA LUISA, «Competenza è...», in Scuolainsieme, n. 3, febbraio-marzo 2001, nel
dossier «La didattica modulare - Per valorizzare le capacità e valutare le competenze».
VEZZOLI MARIA, «Definire le competenze? Cominciamo da 23! Una raccolta di definizioni»,
in Oppinformazioni on line (<http>), nella rubrica «Progettare per
competenze».
COLOMBO M. L., CHESI M. L., ZUCCA A., VEZZOLI M., «Quattro percorsi disciplinari per
competenze», in Scuolainsieme, n. 3, febbraio-marzo 2002, nel dossier «La didattica modulare -
Per valorizzare le capacità e valutare le competenze».
VEZZOLI MARIA , «La storia delle competenze in OPPI: lavori e ricerche», in
OPPInformazioni 100, (luglio-dicembre) 2006, pp. 15-23.
CARLETTI ANNA, «L’analisi disciplinare per la progettazione didattica», in CARLETTI A. -
VARANI V. (a cura di), Ambienti di apprendimento e nuove tecnologie. Nuove applicazioni
della didattica costruttivistica nella scuola, Erickson, Trento 2007, pp. 62-81.
DAMIANO ELIO, «Il sapere della Competenza - Indagine sulla pertinenza scolastica di una
categoria didattica emergente», contributo al convegno della SIPED (Societa Italiana di
Pedagogia), tenutosi a Monte Sant’Angelo (FG) il 4 giugno del 2008, Oppinformazioni on line
(<http>), nella rubrica «Progettare per competenze». Il testo della
Relazione è confluito in DAMIANO E., La competenza. Discussione sopra una categoria
didattica emergente, «Pedagogia PIÙ didattica», vol. 1, Erickson, 2009 Trento.
CATTANEO PIERO, «Competenze e certificazione. Didattica per competenze. Verso uno
standard europeo», in Scuolainsieme, giugno 2006.
Allegato 1 - Un processo trentennale
La riforma dell’Università e della Scuola secondaria di secondo grado (30 dicembre 2010,
Legge n. 240/10) ha chiuso un periodo di riforme della scuola italiana iniziato più di trent’anni
fa. La Scuola secondaria di primo grado nel 1979 (Legge n. 348/1977) e la Scuola primaria nel
1990 (Legge n. 148/1990), erano già state coinvolte in un processo di riforma riguardante
soprattutto i curricoli; ma dal primo settembre 2009 hanno dovuto affrontare, in applicazione del
decreto legge n. 137/2008, nuovi e importanti cambiamenti come il ritorno al maestro unico, la
valutazione del profitto e del comportamento espresso in decimi, la certificazione delle
competenze.
Il primo settembre 2009 sarebbe dovuta partire anche la riforma della Scuola secondaria di
secondo grado, ma problemi di organizzazione e difficoltà nella predisposizione degli organici
ne hanno comportato lo slittamento di un anno.
La legge n. 169/2008 ha convertito il decreto legge n. 137 ed è stata, per la Scuola italiana,
uno degli ultimi atti legislativi dell’iter iniziato con il decreto legge n. 112 del 25 giugno 2008,
convertito in Legge n. 133 il 6 agosto 2008. Leggendo l’intestazione: «Conversione in legge,
con modificazioni, del decreto legge 25 giugno 2008, n. 112, recante disposizioni urgenti per lo
sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza
pubblica e la perequazione tributaria», risulta difficile pensare alla Scuola. Infatti nessun
riferimento a essa vi compare. Soltanto all’articolo 64 viene citata come Pubblica
Amministrazione che dovrà adottare dei tagli sul personale docente e ATA «ai fini di una
migliore qualificazione dei servizi scolastici e di una piena valorizzazione professionale del
personale docente».
Va ricordata la vicenda di leggi varate e abrogate negli ultimi anni da differenti governi che
ha caratterizzato la fase più recente del lungo e travagliato percorso di riforma:
* Legge n. 30 varata dal governo D’Alema, con ministro dell’Istruzione Giovanni
Berlinguer, il 10 febbraio 2000;
* Legge n. 53 varata dal governo Berlusconi, con ministro dell’Istruzione Letizia Moratti,
che il 28 marzo 2003 ha abrogato le legge n. 30;
* Legge di Iniziativa Popolare presentata, con 100.000 firme il 4 agosto 2006 durante il
governo Prodi. La proposta di legge chiedeva «l’immediata e totale abrogazione della Legge 53
e di tutti i decreti attuativi a essa collegati e delineava con chiarezza e senza ambiguità quali
debbano essere gli assi portanti per una “buona scuola” ispirata ai principi sanciti dalla
Costituzione». Durante i due anni del governo Prodi, 17 maggio 2006 - 8 maggio 2008, la
riforma Moratti non è stata formalmente abrogata, ma se ne è di fatto bloccata l’applicazione a
causa di forti dissidi tra chi voleva la sua cancellazione e chi, invece, una revisione complessiva.
Allegato 2 - Dopo la Legge n. 169/08
Altri atti emanati per la Scuola secondaria di secondo grado, dopo la legge n. 169/08:
* il DPR n. 81 del 20 marzo 2009, «Norme per la riorganizzazione della rete scolastica e il
razionale ed efficace utilizzo delle risorse umane della scuola, ai sensi dell’articolo 64, comma
4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto
2008, n. 133»;
* il DPR n. 89 del 20 marzo 2009, «Revisione dell’assetto ordinamentale, organizzativo e
didattico della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione ai sensi dell’articolo 64,
comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6
agosto 2008, n. 133»;
* il Regolamento approvato dal Consiglio dei Ministri del 12 giugno 2009 recante norme
generali concernenti la ridefinizione dell’assetto organizzativo didattico dei Centri d’Istruzione
per gli adulti e corsi serali;
* il DPR n. 119 del 22 giugno 2009, «Regolamento recante disposizioni per la definizione
dei criteri e dei parametri per la determinazione della consistenza complessiva degli organici del
personale amministrativo tecnico ed ausiliario»;
* i 3 Regolamenti del 15 marzo 2010, uno per ciascuno degli ordinamenti: licei, istituti
tecnici e istituti professionali. Per i licei sono state emanate anche le Indicazioni nazionali sugli
obiettivi specifici di apprendimento; mentre per gli istituti tecnici e professionali sono state
divulgate le Linee guida.
Un altro importante documento è il DPR n. 122 del 22 giugno 2009, noto anche come
Regolamento per la valutazione degli alunni, nel quale viene introdotta la valutazione del
comportamento e non più della condotta. Anche se per molti, anche tra i docenti, è
semplicemente un cambio di termini sinonimi, a un’attenta analisi del DPR, si evince una
differenza sostanziale. Infatti, già nella legge 169/2008 agli articoli 1, 2, 3 viene messa in
relazione l’acquisizione di conoscenze e competenze relative a «Cittadinanza e Costituzione»
con la valutazione del comportamento degli alunni. Il DPR 122, inoltre, dopo aver richiamato la
Raccomandazione del Parlamento e del Consiglio europeo del 18 dicembre 2006 — dove
vengono elencate le «competenze chiave di cittadinanza» che devono possedere i cittadini
europei —, all’articolo 8 comma 2, fa riferimento al decreto n. 139/2007 per la certificazione
delle competenze.
Allegato 3 - L’Europa e l’attenzione ai processi di formazione
Cosa richiede alla Scuola oggi l’Europa?
Il legame tra istruzione e processi di sviluppo, le relazioni tra capitale umano, sviluppo
economico e benessere personale e sociale, muovono dal nesso che esiste fra le competenze di
base (con le opportunità di apprendimento più ampie acquisite nel percorso scolastico) e le
condizioni economiche e sociali degli individui e dei territori; questo impone ai sistemi di
istruzione e formazione un ripensamento della propria azione e una attenzione all’efficacia della
stessa.
La riflessione avviata a livello internazionale ormai da alcuni decenni ha avuto come effetto
una maggiore attenzione ai processi di formazione degli individui, non più determinati da una
trasmissione di conoscenze da una generazione all’altra – «sversamento» indifferenziato di
quanto è stato utile in un dato momento storico – bensì alimentati dallo sviluppo dell’autonomia
dei singoli, dall’orientamento della persona, dalla responsabilità e dal pensiero critico esercitati
nel confronto con gli altri e nella condivisione: tutti elementi inscindibilmente legati al fare
competente.
Ci si deve quindi domandare se oggi la nostra Scuola migliore sia già in grado di praticare
una didattica che curi la promozione di competenze, di usare perciò le discipline e le materie di
insegnamento come strumenti mettendo al centro l’apprendimento dell’alunno pensato come
soggetto in crescita e, perciò stesso, bisognoso di occasioni di orientamento per conoscersi,
sperimentare la propria autoefficacia e conquistare una corretta autostima. È questa idea di
istruzione/educazione la premessa per poter orientare la propria didattica alla promozione di
competenze e non solo alla conquista di conoscenze e abilità.
Le competenze chiave per l’apprendimento permanente
Nella Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio del 18 dicembre 2006
(Gazzetta ufficiale dell’Unione europea del 30 dicembre 2006, L. 394/10-18) sono contenute le
«Le competenze chiave per l’apprendimento permanente». Le competenze sono definite in
questa sede alla stregua di una combinazione di conoscenze, abilità e attitudini appropriate al
contesto.
Le competenze chiave, quelle di cui tutti hanno bisogno per la realizzazione e lo sviluppo
personali, la cittadinanza attiva, l’inclusione sociale e l’occupazione, sono cosi individuate:
1. comunicazione nella madrelingua,
2. comunicazione nelle lingue straniere,
3. competenza matematica e competenze di base in scienza e tecnologia,
4. competenza digitale,
5. imparare a imparare,
6. competenze sociali e civiche,
7. spirito di iniziativa e imprenditorialità,
8. consapevolezza ed espressione culturale.
Riteniamo utile risalire alle «life skills education in schools» del documento pubblicato
dall’OMS nel 1993, dal momento che i principi in esso contenuti, sviluppati nel dibattito
europeo degli anni ’90, sono confluiti nei documenti dell’Unione europea e nelle norme di molti
Paesi sia europei che extraeuropei*.
* Si rimanda a Piero Cattaneo, Life Skills, «Voci della scuola», Tecnodid, 2007 Napoli.
Il «nucleo fondamentale» del Documento OMS è costituito dalle skills for life:
– capacità di leggere dentro se stessi (autocoscienza),
– capacità di riconoscere le proprie emozioni e quelle degli altri (gestione delle emozioni),
– capacità di governare le tensioni (gestione dello stress),
– capacità di analizzare e valutare le situazioni (senso critico),
– capacità di prendere decisioni (Decision making),
– capacità di risolvere problemi (Problem solving),
– capacità di affrontare in modo flessibile ogni genere di situazione (creatività),
– capacità di esprimersi (comunicazione efficace),
– capacità di comprendere gli altri (empatia),
– capacità di interagire e relazionarsi con gli altri in modo positivo (Skill per le relazioni
interpersonali).
Ci sembra infine di grande interesse l’indagine sui principi guida delle politiche formative
europee e la riflessione su come esse si intrecciano con le competenze di cittadinanza. Al
Seminario nazionale OPPI tenutosi a Vico nel luglio 2011, Maddalena Colombo li ha così
presentati:
* equità/uguaglianza,
* merito (= sforzo + talento, ma non dote o privilegio) (fiducia accordata, credito),
* autonomia/rispetto,
* efficienza/efficacia/qualità/,
* innovazione/creativita**.
Allegato 4 - Autonomia scolastica e competenze
Nel Decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n. 275, con cui viene emanato il
regolamento sull’autonomia delle istituzioni scolastiche, là dove si dice che «l’autonomia [...] si
sostanzia nella progettazione e nella realizzazione di interventi di educazione, formazione e
istruzione mirati allo sviluppo della persona umana», si evidenzia già, insieme all’azione
dell’istruire, quella del formare e dell’educare, cioè del promuovere competenze e, più nello
specifico, competenze di cittadinanza, affinché ciascuno possa esprimere pienamente le proprie
potenzialità e porsi responsabilmente nella società. Di competenze si parla ancora agli articoli 8,
10, 13 del medesimo DPR 275/99:
– art. 8: gli obiettivi specifici di apprendimento relativi alle competenze degli alunni;
– art. 10: sono adottati i nuovi modelli per le certificazioni, le quali, indicano le conoscenze,
le competenze, le capacità acquisite e i crediti formativi riconoscibili;
– art. 13: riorganizzando i propri percorsi didattici secondo modalità fondate su obiettivi
formativi e competenze.
Il nuovo obbligo di istruzione (DM n. 139 del 22 agosto 2007), la Raccomandazione del
Parlamento e del Consiglio Europeo (23 aprile 2008) — che declinano i risultati di
apprendimento in conoscenze, abilità e competenze — e, infine, l’uscita nel 2010 del modello di
certificazione alla conclusione dell’obbligo, sono i passaggi cardine del cambiamento in atto. Un
cambiamento che viene da lontano, ma viene vissuto come una svolta sostanziale che prefigura
una scuola nuova, dal momento che la richiesta non è solo quella di lavorare per le competenze,
ma di valutarle e addirittura di certificarle.
** Rimandiamo a Maddalena Colombo, Riforme scolastiche e politiche europee dell’apprendimento, in
OPPInformazioni 110, (luglio-dicembre) 2011. Si veda anche EU COMMISSION, «Conclusioni del Consiglio sul
ruolo dell’istruzione e della formazione nell’attuazione della strategia Europa 2020», in Gazzetta Ufficiale
dell’Unione europea del 4 marzo 2011 (DOC 2011/C 70/01).
Allegato 5 - Competenze e discipline
Centrale in questo spazio di ricerca e riflessione sarà l’interrogarsi sulla valenza che hanno
le discipline a proposito di promozione di competenze, sulla potenzialità del valutare per
formare, sulla necessità di condurre i ragazzi alla autovalutazione, se si accetta che non ci può
essere competenza senza consapevolezza, metacognizione e capacità di orientarsi.
Solo un consapevole riconoscimento dei nodi irrinunciabili della disciplina può inoltre
permettere a ciascun docente di accogliere, gestire e valorizzare il nuovo e l’inatteso. Tale
flessibilità del docente è quella che gli permette poi, a sua volta, di educare i propri studenti ad
affrontare nuove situazioni e nuovi contesti.
L’analisi disciplinare può aiutare a ricucire lo iato che pone oggi troppo spesso la disciplina
lontano dagli interessi degli studenti in quanto sapere statico e distante dalla realtà vissuta.
Occorre perciò:
• ricondurre la disciplina alla sua natura di modello interpretativo della realtà costruito da
un particolare punto di vista e attraverso il confronto delle osservazioni di una
molteplicità di soggetti, che ha storicamente raggiunto un certo grado di condivisione,
esposta al continuo cambiamento e accrescimento, alla contaminazione con altri ambiti.
Un approccio che pone in primo piano l’attività del soggetto che interpreta e agisce;
• recuperare i «nuclei fondanti», i concetti ricorrenti che «tessono» la disciplina, che hanno
valore strutturante e generativo di conoscenze, che permettono di riconoscere il già
incontrato e prefigurare il senso di un nuovo contesto/ contenuto;
• partire da quei processi di categorizzazione che fanno da matrice generativa dei livelli
più avanzati e che solitamente restano impliciti e si danno per scontati. Riscoprire quegli
itinerari che hanno portato gli studiosi dei diversi ambiti a generare i concetti costitutivi
dei diversi saperi, nell’ordine genetico e nella disposizione gerarchica rovesciata: dai più
originari e radicali, su fino a quelli più specialistici;
• tener conto delle pratiche informali del sapere e del saper fare;
• cercare un equilibrio e una complementarietà tra le discipline procedurali (matematica,
lingua, scienze e tecnologia) e i loro aspetti più operativi, come la logica e l’aritmetica, la
pragmatica e la linguistica, storiografia, la cartografia. Senza dimenticare le discipline
sistematiche come la storia e la geografia (è già successo con la riduzione oraria alle
superiori), la letteratura eccetera, perché la mente non può lavorare in modo efficace,
creativo, aperto e critico se ha poche conoscenze con cui costruire.
È importante procedere a una attenta analisi della composita natura delle competenze
disciplinari anche per arrivare, attraverso questa strada, a ricomporre un quadro di sintesi che
valorizzi gli aspetti trasversali delle competenze stesse, in una visione dinamica ed evolutiva del
sapere.
OPPI – Organizzazione per la Preparazione Professionale degli Insegnanti
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