di edscuola » 9 novembre 2010, 8:39
DISEGNO DI LEGGE
d’iniziativa dei Senatori Giambrone, Belisario, Caforio, Carlino, Di Nardo, Lannutti, Pardi, Pedica
Norme per l'istituzione di un'area contrattuale specifica per il comparto della scuola nonché del Consiglio superiore della docenza, e altre disposizioni in materia di organizzazione scolastica
Onorevoli Colleghi! - La presente proposta di legge, già presentata in questa legislatura dal Deputato Zazzera nell'altro ramo del parlammento, nasce da un'attenta analisi della situazione della scuola pubblica italiana, delle dinamiche intercorrenti tra i diversi attori della stessa e, in particolar modo, dello statuto e della natura professionale dell'attività docente che, nell'attuale situazione normativa, risulta particolarmente penalizzata, deprezzata e di conseguenza con sempre più scarso riconoscimento sociale.
Nella prima fase del nostro Stato unitario, sono stati adottati, dai governi, cinque stati giuridici degli insegnanti e tutti, tranne quello del 1906, sono sempre stati collegati a processi più generali di riforma della scuola; hanno, in un certo qual senso, portato con sé un'idea di scuola, una filosofia del processo d'insegnamento e di apprendimento.
Nel passato più recente, invece, è stato favorito un lento ma progressivo processo di burocratizzazione della professione docente, caratterizzato da sempre più frequenti imposizioni amministrative e gerarchiche. Tutto ciò è frutto di indebite invasioni di campo, anche da parte delle organizzazioni sindacali tradizionali che hanno debordato persino sulla formazione iniziale e in itinere (come nel caso del contratto del '95, «a punti» legati all'aggiornamento), nonché di una costante latitanza degli organi legislativi e di una sorta di subordinazione delle stesse associazioni professionali nei confronti dei sindacati.
In questi ultimi vent'anni il Parlamento ha approvato, infatti, una serie di leggi che hanno inciso profondamente sulla condizione degli insegnanti, considerandoli, però, essenzialmente «indistinti dipendenti pubblici», alla stregua di tutti gli altri impiegati dello Stato:
la legge 29 marzo 1983, n. 93, nota come legge quadro sul pubblico impiego, a seguito della quale i docenti furono inseriti nel 6o e 7o livello impiegatizio e la funzione docente perse ogni specificità e si recise definitivamente il legame con la docenza universitaria;
la legge delega 23 ottobre 1992, n. 421, sul pubblico impiego che ha dato il via alla privatizzazione del rapporto di lavoro, distinguendo fra ciò che rimaneva riserva di legge e ciò che diventava materia di contrattazione. Il rapporto di lavoro della docenza universitaria non veniva invece privatizzato;
la sua diretta emanazione: il decreto legislativo n. 29 del 1993;
la legge 15 marzo 1997, n. 59, con cui è stata istituita l'autonomia scolastica e si è attribuita la dirigenza ai capi d'istituto, separando la loro contrattazione dal restante personale della scuola. Nell'università persiste invece, giustamente, la qualifica di preside di facoltà, quale primus inter pares.
S'impone un'inversione di marcia per abbandonare la concezione burocratica dell'identità docente che porta a: stipendi modesti, poca preparazione dei docenti, assenza di valutazione del merito individuale, scarsa stima da parte di famiglie e studenti. La strada da seguire è quella che porta all'esaltazione della professione: conoscenza verificata e in continuo aggiornamento della materia insegnata, stipendio parificato alle fasce superiori europee, riconquistata dignità di funzione agli occhi di famiglie e studenti.
Sorge la necessità di un profondo ripensamento in termini culturali e organizzativi di tutto il comparto scuola e, in particolare, del modo di intendere l'esercizio della funzione docente.
La società del terzo millennio ha necessità di «professionisti della conoscenza» (knowledge workers) che facciano riferimento ai loro enti di rappresentanza e non alla burocrazia ministeriale.
La professione docente è segnata da tre elementi: alta specificità del ruolo istruttivo ed educativo, autonomia e autoreferenzialità rispetto a valutazione e selezione dei professionisti che non vengono giudicati da altri enti, etica e deontologia elaborate fra gli operatori del settore.
Il mondo della scuola possiede una particolarità rispetto al resto del mondo del lavoro. In esso si insegna e si apprende e non si tratta neanche di mera trasmissione del sapere, bensì si sviluppa e ricrea il sapere stesso, almeno per quanto attiene alle strategie dell'istruzione, dell'educazione e della formazione.
Nella scuola non si costruiscono manufatti industriali, né si svolgono mansioni di tipo burocratico. Lo specifico prevalente è quello della funzione docente, che non è funzione d'impresa, né di tipo impiegatizio: proprio per questo l'assetto normativo e contrattuale attuale è assolutamente inadeguato.
La Costituzione della Repubblica definisce scuola e università quali «istituzioni» (e la cosa non ha solo un rilievo terminologico, perché stabilisce una linea di demarcazione rispetto ai «servizi»), ma esse hanno due assetti contrattuali differenti: dell'università è stato creato un ibrido, dove i docenti hanno un contratto di natura pubblica e le altre figure lavorative un contratto privatizzato; nella scuola, invece, esiste solo la privatizzazione del rapporto di lavoro: la scuola, quindi, è stata trasformata in un «servizio» e i docenti in impiegati.
Ma il momento dell'interazione metodologico-didattica non è affatto l'erogazione di un servizio; gli insegnanti non sono pompe di benzina e gli alunni non sono automobili di passaggio da riempire di nozioni.
La figura del docente non è quella di chi attende ad un servizio, bensì quella di un ricercatore di percorsi formativi e culturali, e il titolo di studio non è un «atto dovuto», come la certificazione di un'analisi del sangue, bensì il risultato di un'interazione personale e didattica, di un percorso di vita e di ricerca.
Proprio da questa innegabile constatazione sorge la necessità di un profondo ripensamento in termini culturali e organizzativi di tutto il comparto scuola e, in particolare, del modo di intendere l'esercizio della funzione docente.
Sulla scuola gravano i dettami del decreto legislativo n. 29 del 1993, recepiti con il contratto del 1995 che impongono l'eliminazione degli automatismi di anzianità (con la trasformazione residuale e in via di sparizione degli scatti biennali in «gradoni» sessennali e settennali, in attesa della definitiva eliminazione degli stessi prevista ai sensi del medesimo decreto legislativo).
Il citato decreto legislativo impone la riconversione professionale d'ufficio, così che un docente di laboratorio di ceramica di istituto tecnico professionale lo si è potuto «riciclare» su una cattedra di scienze della terra; un insegnante di educazione tecnica delle scuole medie, con la sparizione di quell'insegnamento e con la minaccia della mobilità provinciale e interprovinciale, è stato «adattato» per il sostegno, con buona pace dei precari specializzati lasciati a casa e dell'integrazione dei disabili.
Si è scelto di operare come su dei travet, spostando di cattedra in cattedra gli insegnanti come se si trattasse di comandarli ad attendere ad una nuova pratica cartacea. In un'epoca nella quale, sull'altare della riduzione della spesa, si gioca a dadi con le carriere dei docenti - tramite tagli, riconversioni e accorpamenti di classi di concorso, attraverso un sostanziale spreco delle professionalità acquisite e una mobilità di cattedra che non tiene conto né della formazione culturale, né delle competenze maturate - è, peraltro, la dignità della scuola nel suo complesso a venire pesantemente colpita.
È stata poi introdotta la cassa integrazione e la licenziabilità per esubero; col placet delle organizzazioni sindacali tradizionali e in senso aziendalista, il preside è stato trasformato in dirigente scolastico e al tempo stesso in «datore di lavoro», aprendo la strada allo smantellamento dei concorsi pubblici e alla chiamata diretta per le assunzioni prevista dalla proposta di legge di iniziativa dell'onorevole Aprea, attualmente all'esame della Commissione cultura della Camera (A.C. 953).
Il «dirigente», inesistente all'università (ove vigono solo, anche nel caso dei presidi di facoltà, qualifiche elettive), è stato trasformato in «datore di lavoro».
È stato eliminato persino il ruolo, assegnando al personale assunto stabilmente «incarichi a tempo indeterminato», una dizione utilizzata in passato tipicamente con riferimento al personale precario, a sua volta ancor più instabile perché incaricato a tempo determinato.
La scuola è sempre stata uno dei motori principali di progresso nella società civile e tutti gli attacchi portati ad un settore che è stato all'avanguardia (i nostri diplomati erano i migliori d'Europa) e che per molti versi rimane ad alti livelli (si veda la ex scuola elementare) fungono da corollario all'improvvida strategia che sta portando l'Italia a perdere costantemente competitività rispetto al resto del mondo.
Non ne è responsabile «l'inadeguatezza» della scuola, al contrario, ne è la sua continua depauperizzazione, lo sono lo Stato e gli interessi privati, in un Paese che in Europa spende meno di qualunque altro per istruzione, università e ricerca.
Noi partiamo, invece, da un assunto diametralmente opposto: crediamo che sia giunto il momento di invertire tale rotta, di ristabilire le diverse responsabilità, di definire in maniera chiara e precisa i campi d'intervento partendo, però, dall'assunto che la docenza non è un generico impiego pubblico, bensì una professione specialissima, tutelata dalla Costituzione attraverso l'istituto della libertà d'insegnamento (articolo 33), unica garanzia di autonomia professionale e quindi anche di una piena e reale libertà di apprendimento.
Con la Costituzione, riaffermiamo che scuola e università sono istituzioni pubbliche e come tali devono avere un contratto adeguato al proprio ruolo: un contratto di natura pubblica e di tipo specifico che le rispetti quali crogiuoli di elaborazione del sapere, le preservi da ogni appetito e logica privata e privatizzante e le valorizzi come un patrimonio di tutti che si esprime in una centralità sociale e in una funzione che non hanno eguali.
Nel contempo siamo pienamente convinti che, pur essendo prevalente nella scuola la funzione docente, essa non è l'unica; non riusciamo, infatti, ad immaginare una scuola che possa funzionare senza il fondamentale ruolo di chi si assume la responsabilità di firmare bilanci milionari, senza assistenti che spesso coprono le mansioni dei direttori amministrativi, senza tecnici e ausiliari, il cui ruolo specifico non è affatto riconosciuto dall'opinione pubblica: si pensi soltanto alla differenza esistente fra i compiti di un usciere di un ministero e quello di un collaboratore scolastico in un istituto. Il primo è prevalentemente addetto a dare indicazioni sull'ubicazione degli uffici, il secondo ha anche oneri di vigilanza su minori.
Tutti coloro che, invece, ritengono di non doversi occupare di ciò che si muove intorno agli insegnanti, convinti di poter far emergere la atipicità della docenza proponendo, ad esempio, un contratto separato fra gli insegnanti e il restante personale, sono distanti dalla nostra visione della scuola. Con la presente proposta di legge, il personale amministrativo, tecnico e ausiliario (ATA) viene finalmente integrato in un ruolo organico che prevede il riconoscimento dell'evidente ruolo di coadiuzione educativa, fino ad oggi espletato con coscienza ma mai considerato contrattualmente.
Siamo fortemente convinti che l'istruzione pubblica sia preziosa per garantire un pensiero forte e plurale, anche su base multietnica, l'unica istituzione in grado, in un momento di grande crisi ideale e di riemersione di fondamentalismi religiosi e laici, di assumere i princìpi di un'educazione volta alla solidarietà e alla tolleranza.
Il mondo della scuola pubblica, pluralistico per definizione, è in grande maggioranza consapevole del fatto che sul valore dell'istruzione non si può trattare: la cultura non è merce.
La natura della funzione docente ha chiaramente carattere professionale, eppure questa categoria non ha strumenti di tutela, l'unica del suo genere cui è negato l'autogoverno. Ciò produce evidenti distorsioni.
Si è mai sentito di un Ministro della giustizia che abbia pensato di far valutare gli avvocati dai magistrati (o viceversa)? Eppure, per i docenti, si pensa spesso alle valutazioni dei dirigenti. Si è mai visto un Ministro della sanità proporre valutazioni a quiz per i medici? Per quanto ci riguarda, ricordiamoci del «concorsone» varato (e poi abortito) al tempo di Berlinguer, Ministro della pubblica istruzione.
Si è mai sentito di un Ministro dell'interno (che sovrintende all'ordinamento professionale del mondo dell'informazione) che abbia dato incarico ad una commissione di sua nomina di scrivere il codice deontologico dei giornalisti? No, perché sarebbe paradossale in uno Stato di diritto: equivarrebbe alla fine della libertà di stampa. Eppure quando il Ministro Moratti formò, sua sponte, una Commissione perché redigesse il codice deontologico degli insegnanti non si fece rilevare che così si sarebbe messo fine alla libertà di insegnamento.
Non è così nel resto del mondo, nello specifico in Canada, nel Regno Unito, negli Stati Uniti d'America, in Australia. Più in dettaglio, esistono addirittura veri e propri ordini professionali degli insegnanti negli Stati federali canadesi dell'Ontario e del Québec, in Scozia e ad Hong-Kong, mentre in Australia un'associazione svolge funzioni da ordine professionale.
E in Italia? In Italia la storia del dibattito e delle iniziative circa un organismo professionale del genere non è né breve né semplice. Da un lato, la solita politica miope ed estemporanea delle emergenze; dall'altro una (in)cultura che ha sempre osteggiato, svilito e mortificato (anzitutto quale subspecie economica) la scuola e chi vi lavora, hanno sempre rimandato sine die, quando non apertamente avversato, il dibattito e la proposta pratica sulla tutela dello specifico professionale degli insegnanti.
Viviamo in un momento nel quale spesso si parla della scuola senza le necessarie conoscenze e competenze. In una fase in cui sembra persa la cognizione del valore, della funzione e delle finalità dell'attività docente, in quanto le si assegna, sempre più spesso, il quasi esclusivo compito di favorire la socializzazione o la semplice funzione di custodia degli studenti. La scuola non può essere semplicisticamente neppure il campo d'applicazione di una cultura manageriale, ma ha bisogno di modifiche strutturali importanti con gli insegnanti soggetti attivi di tale processo, ed è giusto che gli stessi siano rappresentati e coadiuvati da un organismo autonomo di riflessione, all'interno del quale possano elaborare il proprio codice deontologico professionale, possano predisporre gli strumenti utili alla propria formazione di base e in itinere (autoaggiornamento), possano avviare quella riflessione necessaria e di estrema attualità che si impone sugli aspetti metodologici e tecnici relativi alla propria professione, possano riconoscersi in un insieme di idee e istituzioni che ribadiscano la specificità della loro professione. Una funzione sicuramente particolare, perché fatta di scambi affettivi e culturali, di trasmissione di conoscenze, di interazione umana, di continua rielaborazione e messa in discussione di se stessi, delle proprie conoscenze e della propria attività.
Quando si parla di codice deontologico intendiamo un insieme di norme e regole che, partendo dal concetto di scuola come istituzione e dalla libertà d'insegnamento e d'apprendimento, affrontino con chiarezza il problema della qualità della funzione docente. Intendiamo dei princìpi etici che finalmente suggellino una differenza tra chi svolge questo lavoro con impegno, passione e volontà e chi lo fa solo per ricevere uno stipendio alla fine del mese o, peggio ancora, chi si è ritrovato nella scuola per caso o «per grazia ricevuta» e si comporta di conseguenza; delle norme che mettano fine a certe pratiche indecorose, come quella del doppio lavoro, per cui numerosi professionisti hanno scelto l'insegnamento come attività secondaria, rispetto alla loro professione principale (intesa come tale anche perché è infinitamente più redditizia). Intendiamo delle regole che definiscano il campo e i confini della funzione docente, respingendo le sempre più evidenti intromissioni esterne, volte ad influenzare l'attività degli insegnanti, provenienti da soggetti privi delle necessarie competenze.
In questa maniera si potrebbero ristabilire le giuste proporzioni e, così come la diagnosi medica è ragionevole che sia definita dallo specialista, la valutazione degli studenti, la programmazione, l'azione formativa e l'attività didattica è opportuno che siano appannaggio del docente, senza subire eccessivi condizionamenti dall'esterno.
L'organismo di autogoverno dei docenti deve essere anche un luogo di dibattito, volto a proporre il confronto ad un livello appropriato su questioni di didattica e pedagogia, nonché a negare il modello imperante di «insegnante burocrate», sempre meno educatore, mediatore, stimolo e punto di riferimento, impegnato com'è a compilare moduli, verbali, schede. Occorre che la scuola disponga, invece, degli elementi fondamentali dell'insegnamento: il coraggio della sperimentazione e il piacere della creatività. La scuola deve essere una struttura nella quale gli insegnanti possano finalmente produrre validi parametri d'idoneità alla docenza e di valutazione della propria professionalità. Si richiede quindi la creazione di un'entità ad hoc - insieme terza e identitaria - che nella presente proposta di legge viene definita Consiglio superiore della docenza. Una istituzione oltremodo necessaria, anche perché in sua assenza gli insegnanti continueranno ad essere privi di parametri valutativi o - come dei travet - valutati dai dirigenti, giudicati unicamente dagli ispettori ministeriali, se non dall'uomo della strada: strumenti assolutamente improponibili per le altre categorie professionali.
Oggi, a fronte di un insegnante senza deontologia, avvengono fatti paradossali, e ciò arreca grave danno a tutta la categoria e, segnatamente, per la stragrande maggioranza che crede in quello che fa e cerca di farlo al meglio, in situazioni in cui - peraltro - anche il più solidale e agguerrito dei sindacati non ha molta voce in capitolo. In questi casi l'organismo professionale deve far sentire la sua voce raccogliendo la segnalazione degli ispettori, ma sviluppando poi proprie indagini autonome e consapevoli delle problematiche professionali in gioco e sanzionando il collega che sbaglia, onde aiutarlo o indurlo a modificare i comportamenti negativi, o difendendo con la propria autorevolezza chi venga ingiustamente esposto ad attacchi.
Un organismo, per tutti questi motivi, ormai indispensabile, il cui riconoscimento sancirebbe definitivamente la centralità e l'atipicità del ruolo e della funzione docente, favorendone la rivalutazione dal punto di vista normativo, salariale e sociale, oltre che la sua ricomposizione, spingendo nei fatti in direzione del tanto auspicato ruolo unico dei docenti, che questa proposta di legge finalmente realizza.
A chi vede un'incongruenza nella coesistenza fra i sindacati e tale organismo replichiamo che vi sono due diversi spazi da coprire. Al sindacato competono le contrattazioni, nelle quali non entrano però la definizione dello specifico della funzione, né tanto meno gli ambiti dell'autonomia professionale, altrimenti destinata a morire affogata nel burocratese e nel sindacalese, e con essa la scuola e le libertà di insegnamento e di apprendimento.
A chi denuncia una idiosincrasia fra lo status di dipendenti e quello professionale, ricordiamo semplicemente che vi sono duecentomila medici retribuiti dallo Stato e che esistono da una parte l'ordine dei medici, che difende l'autonomia della professione, dall'altra i sindacati dei medici, che si occupano dei contratti nazionali di lavoro. Proprio perché la funzione docente oggi è inserita in grandissima parte nel contesto di istituzioni pubbliche, si ritiene consono un organismo pubblico che rappresenti la specificità dell'insegnamento, sul modello del Consiglio superiore della magistratura, da inserirsi all'interno del Consiglio nazionale della pubblica istruzione.
A tale proposito riteniamo necessario stabilire tramite specifiche disposizioni legislative:
l'uscita dell'intero comparto scuola dal pubblico impiego (ponendolo fuori dal campo di applicazione del decreto legislativo n. 165 del 2001), il recupero degli automatismi salariali biennali d'anzianità come dato di garanzia sull'esperienza (sulla scorta di quanto avviene nella Repubblica federale elvetica, ove gli automatismi salariali d'anzianità sono addirittura annuali e tale trattamento è riservato solo agli insegnanti) e del ruolo come elemento di protezione e affermazione della libertà d'insegnamento, nonché della specificità professionale della funzione docente;
il conseguente ritorno ad un contratto di natura non privatistica, specifico per l'intero comparto scuola (docenti e personale ATA), ristabilendo la possibilità di una vera rivalutazione (ad esempio tramite l'incremento dell'indennità di funzione docente) dello stipendio base degli insegnanti, altrimenti inchiodato, per legge, alle stime inflative dell'ISTAT e all'inflazione programmata dal Ministero dell'economia e delle finanze. Il perverso meccanismo disposto dal decreto legislativo n. 165 del 2001 rende altrimenti impossibile anche il solo avvicinamento alla media retributiva europea, rispetto alla quale, tenuto conto del costo della vita, i docenti italiani si collocano ormai all'ultimo posto;
il ruolo unico docente a parità di orario di lavoro (18 ore) e retribuzione, per ogni ordine e grado di scuola, con apposita indennità di funzione docente;
il ripristino degli organi di rappresentanza previsti dal decreto del Presidente della Repubblica 31 maggio 1974, n. 416, quali i consigli scolastici distrettuali e provinciali, nonché del Consiglio
nazionale della pubblica istruzione, che con l'entrata in vigore della legge n. 59 del 1997 sull'autonomia scolastica, pur rimanendo in funzione, sono fortemente depotenziati e non più rieletti dal lontano 1997;
lo sdoppiamento delle figure «gestionali»: direttore amministrativo (oggi già presente) per il piano gestionale-contabile e preside, eletto ogni tre anni nell'ambito del collegio dei docenti fra quanti abbiano almeno 5 anni di sevizio in ruolo e titolo di frequenza relativo ad un apposito corso propedeutico; passaggio degli attuali dirigenti ai ruoli ispettivi (assolutamente sotto organico: 300 circa contro i 3.000 circa della Francia);
la costituzione di un organismo di autogoverno indipendente dall'amministrazione e autonomo dai sindacati, con la funzione di dare evidenza, identità e tutela alla professione docente: il Consiglio superiore della docenza, eletto unicamente dagli insegnanti delle scuole di ogni ordine e grado, con consigli a livello regionale, entrambi coadiuvati da esperti nominati dal Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca e dalle università.
Il Consiglio superiore della docenza nasce con il compito di definire gli standard professionali, di sovrintendere alla formazione iniziale e in servizio, di intervenire sulle norme di accesso all'insegnamento, di gestire l'albo professionale, di statuire e far rispettare il codice deontologico.
Gli standard professionali devono descrivere che cosa devono sapere e saper fare gli insegnanti.
Essi sono l'elemento fondante dell'identità professionale e costituiscono la base indispensabile per la formazione iniziale e in itinere, per il reclutamento, per la valutazione e l'autovalutazione dei docenti. Vanno individuati standard generali della professione e standard specifici per le diverse aree disciplinari e per i diversi gradi scolastici, standard per la formazione iniziale, per il reclutamento e il superamento del periodo di prova.
Insieme agli standard, il codice deontologico favorisce la costruzione dell'identità professionale, aumenta il senso di appartenenza alla propria comunità professionale e scientifica, costituisce esso stesso un importante riferimento ai fini della valutazione e dell'autovalutazione, nonché dell'attività educativa, e contempera l'autonomia professionale con i bisogni degli allievi e con i più generali interessi della società. Per essere efficaci, sia gli standard che il codice deontologico devono essere aperti alle sollecitazioni della concreta pratica professionale, della ricerca, della cultura e della domanda sociale; devono essere flessibili e dinamici, cioè continuamente aggiornabili e aggiornati, favorendo il confronto studenti-docenti sul piano formativo, ma ristabilendo il rispetto dei ruoli: ambito metodologico- didattico di stretta competenza degli insegnanti senza (dannose e inqualificabili) intromissioni; ambito formativo che attiene al rispetto fra i ruoli.
La presente proposta di legge individua gli obiettivi fondamentali se si vuole che gli insegnanti siano il principale motore del cambiamento della scuola. Con essa si provvede a mutare le condizioni generali dello stato giuridico nell'istruzione, a ridefinirne l'organizzazione complessiva in maniera più libera dai vincoli tradizionali; a sburocratizzarne l'essenza, per poter affermare un'idea di scuola nuova, intesa come organizzazione e campo d'esperienza esplicita del lavoro didattico, luogo dell'apertura, dell'integrazione e della rielaborazione culturale.
L'articolo 1 reca i princìpi generali. Introducendo un'area contrattuale specifica per il comparto della scuola, alla quale non si applicano le disposizioni del decreto legislativo n. 165 del 2001, sono ripristinati il ruolo, gli automatismi biennali di anzianità e la possibilità di aumenti contrattuali superiori all'inflazione programmata o dichiarata per il raggiungimento della media retributiva europea.
L'articolo 2 istituisce organismi professionali rappresentativi della funzione docente competenti per quanto concerne l'ambito disciplinare e valutativo, nonché la formazione di base e in itinere.
L'articolo 3 definisce le attribuzioni del Consiglio superiore e dei consigli regionali della docenza, prevedendo, inoltre, l'istituzione dell'anno sabbatico retribuito.
L'articolo 4 prevede il ripristino degli organismi elettivi già previsti dal decreto del Presidente della Repubblica 31 maggio 1974, n. 416: il Consiglio nazionale della pubblica istruzione, i consigli scolastici provinciali e i consigli scolastici distrettuali.
L'articolo 5 istituisce il ruolo unico dei docenti e l'albo dei docenti, e prevede apposite norme finanziarie per equiparare la retribuzione dei docenti alla retribuzione media europea.
L'articolo 6 prevede l'istituzione del preside elettivo e il riconoscimento del ruolo di coadiutore educativo al personale ATA.
L'articolo 7, infine, prevede lo stanziamento annuale di una quota del prodotto interno lordo in favore del diritto allo studio e della messa in sicurezza del patrimonio edilizio scolastico pubblico.
Disegno di legge
Art. 1.
(Princìpi generali).
1. È istituita un'area contrattuale specifica per il comparto della scuola comprendente il personale docente, il personale amministrativo, tecnico e ausiliario (ATA) e i presidi.
2. Al rapporto di impiego del personale del comparto della scuola di cui al comma 1 non si applicano le norme del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.
Art. 2.
(Consiglio superiore della docenza e consigli regionali della docenza).
1.Entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, al fine di garantire l'autonomia professionale, la responsabilità e la partecipazione dei docenti alle decisioni sul sistema nazionale di istruzione, sono istituiti i seguenti organismi rappresentativi della funzione docente: un organismo nazionale denominato «Consiglio superiore della docenza» e organismi regionali denominati «consigli regionali della docenza».
2.Il Consiglio superiore della docenza e i consigli regionali della docenza deliberano a maggioranza qualificata dei due terzi dei componenti. Con la stessa maggioranza sono eletti i rispettivi presidenti, che ne sono anche rappresentanti legali.
3.Il Consiglio superiore della docenza è composto da ventiquattro membri effettivi, che possono avvalersi della consulenza di cinque esperti indicati dal Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca o dalle università. Il Consiglio superiore della docenza opera in collaborazione con il Consiglio nazionale della pubblica istruzione di cui all'articolo 23 del testo unico di cui al decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297. I consigli regionali della docenza sono composti da dodici membri effettivi, che possono avvalersi della consulenza di tre esperti indicati dal Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca o dalle università.
4. I membri effettivi del Consiglio superiore della docenza e dei consigli regionali della docenza sono esonerati dal servizio per l'intera durata del rispettivo mandato mantenendo il godimento del trattamento economico dovuto.
5. I ventiquattro membri effettivi del Consiglio superiore della docenza durano in carica cinque anni e sono eletti sulla base di liste nazionali presentate dalle associazioni riconosciute del personale docente. Le liste, sottoscritte da almeno duecento docenti di ruolo o incaricati a tempo determinato, sono presentate entro il quarantacinquesimo giorno precedente la data delle elezioni stabilita dal Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. La validità delle firme è garantita dalle associazioni che presentano ciascuna lista. Le elezioni si svolgono durante due giorni lavorativi presso i seggi elettorali costituiti nelle scuole di ogni ordine e grado.
6. I candidati alle elezioni hanno diritto di convocare assemblee di propaganda elettorale durante l'orario di servizio mantenendo il diritto alla retribuzione e hanno parimenti diritto a trenta giorni di aspettativa retribuita per lo svolgimento della campagna elettorale. Sono eleggibili i docenti di ruolo delle scuole di ogni ordine e grado. Gli eletti sono nominati secondo il sistema proporzionale.
7. I consigli regionali della docenza sono eletti su base regionale in conformità alle disposizioni di cui ai commi da 1 a 6, intendendosi sostituite le liste nazionali con liste regionali per la cui presentazione sono necessarie cinquanta firme.
8. Il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, sentite le associazioni di cui al comma 5, adotta, con proprio decreto, un regolamento recante le modalità di attuazione delle disposizioni dei commi da 1 a 7, prevedendo in particolare che: ciascuna associazione ha diritto a designare un membro interno nei rispettivi seggi elettorali nonché propri rappresentanti di lista; i componenti i seggi elettorali sono esonerati dal servizio per tutta la durata delle elezioni, compreso l'esame degli eventuali ricorsi presentati, mantenendo il diritto alla retribuzione; gli eletti sono nominati entro trenta giorni dalla conclusione delle operazioni di voto.
Art. 3.
(Attribuzioni del Consiglio superiore della docenza e dei consigli regionali della docenza).
1. Il Consiglio superiore della docenza ha la rappresentanza della professione docente sul piano nazionale. Esso esercita, oltre a quelle eventualmente demandate a esso da altre norme, le seguenti funzioni:
a) dà pareri, obbligatori e facoltativi, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca sui progetti di legge e di regolamento che riguardano la formazione e l'aggiornamento del personale della scuola di ogni ordine e grado;
b) emana norme regolamentari per la disciplina delle attività dei consigli regionali della docenza;
c) adotta il codice deontologico della funzione docente e ne cura periodicamente l'aggiornamento;
d) sovrintende allo stato giuridico e alla valutazione professionale del corpo docente e decide in materia disciplinare avvalendosi della collaborazione, ove necessario, dei consigli regionali della docenza;
e) predispone il piano annuale nazionale delle attività di aggiornamento del corpo docente avvalendosi della collaborazione dei consigli regionali della docenza e delle università. I docenti hanno diritto all'aspettativa retribuita per le attività di aggiornamento. Qualora tali attività siano svolte durante l'anno sabbatico, in deroga alla normativa vigente in materia, i docenti mantengono il diritto alla retribuzione e ad essi è riconosciuta la facoltà di usufruire dell'anno sabbatico anche per periodi frazionati;
f) coordina e promuove le attività dei consigli regionali della docenza volte alla formazione e all'aggiornamento del personale delle scuole di ogni ordine e grado, in conformità, in particolare, a quanto disposto dalla lettera e);
g) stabilisce i criteri e i requisiti per l'iscrizione nel ruolo unico dei docenti di cui all'articolo 5, per la formazione di base e per il tirocinio, nonché per il tutoraggio, e verifica periodicamente mediante i consigli regionali della docenza l'adempimento delle attività di aggiornamento da parte degli iscritti; stabilisce, altresì, l'equipollenza dei titoli di studio ai fini dell'ammissione ai concorsi per le diverse classi;
h) intraprende iniziative a livello nazionale a tutela della reputazione, della dignità e della libertà dei docenti, nonché della libertà di insegnamento;
i) decide sui ricorsi avverso le deliberazioni dei consigli regionali della docenza in materia di iscrizione e di cancellazione dagli elenchi dell'albo dei docenti di cui all'articolo 5 disposti su base regionale e relativi alle elezioni dei consigli regionali stessi e, in appello, sui ricorsi in materia disciplinare;
l) adotta il regolamento per la trattazione dei ricorsi e degli affari di sua competenza. Il regolamento è sottoposto all'approvazione del Ministro della giustizia;
m) dà parere sullo scioglimento dei consigli regionali della docenza sovrintendendo ad eventuali elezioni straordinarie;
n) determina, con deliberazione sottoposta al visto del Ministro della giustizia, e con aggiornamento biennale, la misura delle quote annuali dovute per le spese del funzionamento proprio e dei consigli regionali della docenza che non possono comunque superare lo 0,30 per cento dello stipendio netto dei docenti delle scuole di ogni ordine e grado. Lo stesso Consiglio superiore e i consigli regionali redigono annualmente e rendono pubblico il rispettivo bilancio. Le quote sono prelevate dalle buste paga e sono versate al medesimo Consiglio superiore che provvede a ripartire una quota pari ad almeno il 50 per cento del totale ai consigli regionali;
o) delibera sull'utilizzazione e sull'investimento delle quote di cui alla lettera n) prevedendo in particolare che una parte sia destinata ai fini della tutela e della previdenza dei docenti;
p) delibera sull'utilizzazione e sull'investimento dei finanziamenti ad esso destinati da parte dello Stato e dell'Unione europea. Lo Stato destina al medesimo Consiglio superiore una quota pari allo 0,1 per cento del bilancio annuale a carico dello stato di previsione del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
q) stabilisce, su base oraria, la retribuzione minima tabellare della funzione relativa al ruolo unico dei docenti di cui all'articolo 5, nel sistema di istruzione pubblico e privato, in misura comunque non inferiore alla retribuzione media oraria dei docenti rilevata negli Stati dell'Unione europea;
r) fissa l'orario frontale di insegnamento, pari nel minimo a diciotto ore settimanali;
s) promuove e cura le relazioni con le università, anche al fine di realizzare una carriera docente con sbocco universitario, in particolare nell'ambito della ricerca metodologico-didattica e della nuova formazione di base dei docenti delle scuole di ogni ordine e grado
Art. 4.
(Organi collegiali).
1. A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge, il decreto legislativo 30 giugno 1999, n. 233, è abrogato e sono conseguentemente ripristinati i consigli scolastici provinciali e distrettuali disciplinati dal decreto del Presidente della Repubblica 31 maggio 1974, n. 416. Le elezioni di tali organi sono indette contestualmente alle elezioni del Consiglio superiore della docenza e dei consigli regionali della docenza di cui all'articolo 1.
Art. 5.
(Istituzione del ruolo unico e dell'albo dei docenti).
1.È istituito il ruolo unico dei docenti, nel quale sono iscritti i docenti delle scuole di ogni ordine e grado. Nell'ambito di tale ruolo è garantita la parificazione stipendiale dei docenti ed è fissato l'orario minimo di insegnamento, in conformità a quanto stabilito all'articolo 3, comma 1, lettere q) e r). Ai docenti del ruolo unico sono inoltre riconosciuti scatti biennali di anzianità e una specifica indennità di funzione docente.
2. Al ruolo unico sono iscritti di diritto i docenti in ruolo alla data di entrata in vigore della presente legge. Possono essere altresì iscritti al ruolo unico i docenti operanti, alla medesima data, presso i centri di formazione professionale degli enti locali, comunque denominati, in possesso dei requisiti stabiliti dal Consiglio superiore della docenza d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano. Decorsi sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, il personale docente dei citati centri deve essere iscritto al ruolo unico.
3. È istituito l'albo dei docenti, nel quale sono iscritti i docenti delle scuole di ogni ordine e grado. L'albo è tenuto dal Consiglio superiore della docenza ed è gestito su base regionale dai consigli regionali della docenza, che hanno il compito di aggiornarlo e di pubblicarlo ogni anno.
Art. 6.
(Preside e direttore dei servizi amministrativi. Riconoscimento del ruolo di coadiutore educativo al personale ATA).
1.Nelle scuole di ogni ordine e grado è istituita la figura del preside eletto, ogni tre anni, in seno al collegio dei docenti. Sono eleggibili coloro che hanno un'anzianità di ruolo pari ad almeno cinque anni e che hanno frequentato con esito positivo i corsi di formazione organizzati a tale fine dal Consiglio superiore della docenza in collaborazione con i consigli regionali. Ai fini del punteggio finale si tiene conto anche dei titoli di studio e delle pubblicazioni.
2. Il preside esercita le funzioni già attribuite al dirigente scolastico, sovrintende, di concerto con il collegio dei docenti e con il consiglio di circolo o di istituto, all'attività dell'istituzione scolastica cui è preposto e ne è il rappresentante legale. In materia gestionale ed economica il preside è coadiuvato da un direttore dei servizi amministrativi appartenente al personale ATA. Il preside è esonerato dall'insegnamento e ad esso spetta un'indennità stabilità mediante il contratto d'istituto di concerto con le rappresentanze sindacali unitarie (RSU). I dirigenti scolastici in servizio alla data di entrata in vigore della presente legge sono trasferiti nei ruoli ispettivi del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca.
3. Il collegio dei docenti elegge i referenti di plesso e il coordinatore didattico aggiunto, che è esonerato dall'insegnamento per una misura pari alla metà delle ore di servizio dovute. Alle figure di cui al presente comma spetta una specifica indennità stabilita mediante il contratto d'istituto di concerto con le RSU.
4. Al personale ATA, in particolare ai collaboratori scolastici, agli aiutanti tecnici e al personale di segreteria, è riconosciuto, con il primo contratto utile successivo alla data di entrata in vigore della presente legge, il ruolo di coadiutore educativo con riferimento alle attività esercitate dal medesimo personale relativamente alla sorveglianza degli alunni nonché alla gestione della sicurezza, della strumentazione informatica e dei laboratori.
Art. 7.
(Norme finanziarie).
1. Con la legge finanziaria annuale lo Stato destina alla scuola, all'università e alla ricerca una quota percentuale del prodotto interno lordo equivalente alla media della cifra stanziata a tali fini dai Paesi membri dell'Unione europea. Tali somme sono in particolare destinate a garantire il diritto allo studio e le attività didattiche nonché il rispetto delle norme in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro in attuazione di quanto disposto dal decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81.
2. A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge è fatto divieto di trasformare gli edifici scolastici e universitari appartenenti al patrimonio edilizio pubblico in fondazioni a capitale privato.