ANIEF: Scuola, a rischio la riforma Gelmini

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ANIEF: Scuola, a rischio la riforma Gelmini

Messaggiodi edscuola » 21 ottobre 2010, 6:38

Scuola: a rischio la riforma Gelmini.

Per l’ANIEF potrebbe essere incostituzionale la riforma Gelmini. Ordinanza interlocutoria dei giudici del Consiglio di Stato n. 349/10, che, nel dubbio, richiedono l’intervento chiarificatore del ministro Gelmini. La sentenza, prevista nel dicembre prossimo, per l’ennesimo ricorso n. 4139/10 promosso anche dal Sindacato.
A mettere a rischio la riforma che ha imposto il taglio di oltre 100.000 posti di lavoro tra personale docente e ata in quest’ultimo triennio, potrebbero essere i giudici di Palazzo Spada che, in un’udienza relativa all’appello avverso la sentenza n. 3291/10 del Tar Lazio che dava il suo bene placito all’operato del ministro di Viale Trastevere, sembra dare speranza ai ricorrenti - CIDI e ANIEF tra le altre sigle - che contestano la legittimità costituzionale del DPR 81/09 (regolamento sul dimensionamento della rete scolastica) alla base di tutta la riforma.
I giudici del massimo organo del tribunale amministrativo con l’ordinanza n. 349/2010 ritengono che, ai fini della decisione, è necessario acquisire dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca documentata relazione volta a rappresentare la situazione amministrativa a valle della sentenza della Corte costituzionale n. 200 del 2009, con particolare riguardo alle fonti normative dichiarate incostituzionali e tenendo conto delle censure dedotte in appello nel presente processo.
La sentenza della corte costituzionale ha già dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 64, comma 4, lettera f-bis) e f-ter) del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112. Nel dicembre, i giudici del consiglio di stato, dunque, dovranno esprimersi sulla legittimità dell’art. 1, c. 1 del DPR N. 81/09 e sulla costituzionalità dell’art. 64, c. 4-quinquies, della legge 133/2008, dopo aver letto le carte del processo di I grado.
Per il presidente dell’ANIEF, Marcello Pacifico, infatti, come ha precisato il giudice delle leggi nella sentenza n. 200 della corte costituzionale, il dimensionamento delle reti scolastiche è di spettanza strettamente regionale e non può essere definito con atto regolamentare che ha invaso uno spazio, per la costituzione, riservato esclusivamente alle regioni. I giudici della corte costituzionale, già nella sentenza citata, avevano affermato che se le Regioni o qualcun altro attore, avessero chiesto, invece, sulla potestà regolamentare per quanto riguardo l’emanazione delle norme relative al dimensionamento, è chiaro che ne avrebbero legato la legittimità costituzionale. A questo punto potrebbe saltare l’intera riforma voluta dai ministri Tremonti e Gelmini, per la violazione dell’art. 117, terzo comma della Costituzione non essendo nei poteri dello Stato l’emanazione di una norma che è alla base di tutti regolamenti successivi approvati dal Parlamento, dal primo ciclo di istruzione ai nuovi licei, e che hanno prodotto, purtroppo, i tagli perpetrati. Dopo lo sciopero del 3 novembre 2010 che l’ANIEF ha indetto per dare un segnale forte contro questa politica dei tagli, si attende ora l’esito del processo, previsto per il mese successivo. La spada di Damocle dei giudici pende ancora sul MIUR.


Estratto della sentenza n. 200/2009 del 2 luglio che ha già dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 64, comma 4, lettera f-bis) e f-ter) del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), come convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133.

19.— In definitiva, alla luce di quanto sin qui esposto, è necessario sottolineare, ai fini della delimitazione del thema decidendum, come le censure prospettate dalle Regioni ricorrenti si incentrino, principalmente, sulla violazione dell'art. 117, terzo e sesto comma, Cost., in quanto le norme impugnate atterrebbero, ai sensi dell'art. 117, terzo comma, Cost., alla materia istruzione, rimessa alla potestà legislativa concorrente dello Stato e delle Regioni e non a quella esclusiva dello Stato di cui all'art. 117, secondo comma, lettera n); ciò che escluderebbe la possibilità per lo Stato di adottare disposizioni regolamentari…

21.— In proposito, va ricordato, innanzitutto, che il riferimento alla predetta categoria si rinviene già nell'art. 33, secondo comma, Cost., in base al quale «la Repubblica detta le norme generali sull'istruzione (…)»…

In questo contesto si colloca l'art. 117, secondo comma, Cost. lettera n), Cost., nel testo novellato dalla riforma del titolo V della parte seconda, che, utilizzando la medesima locuzione “norme generali sull'istruzione”, stabilisce che titolare esclusivo della relativa potestà legislativa è lo Stato, in tal modo precisando il riferimento alla “Repubblica” contenuto nel citato art. 33, secondo comma, Cost. Inoltre, lo stesso art. 117, terzo comma, Cost., attribuisce la materia dell'istruzione, «salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale», alla potestà legislativa concorrente…

24.— In tale contesto assume particolare importanza la individuazione di una precisa linea di demarcazione tra le “norme generali sull'istruzione” e i “princípi fondamentali” di tale materia, atteso che le prime sono espressive di competenza legislativa esclusiva dello Stato e i secondi di competenza, pure statale, ma nel quadro di una competenza di tipo concorrente con quella regionale…

È bene aggiungere, ma il punto verrà ripreso nel prosieguo, che le disposizioni contenenti norme generali sull'istruzione possono legittimamente prevedere l'emanazione di regolamenti statali proprio perché adottati nell'ambito di una competenza legislativa esclusiva dello Stato, in conformità a quanto espressamente previsto dall'art. 117, sesto comma, Cost.
25.— Appartengono, invece, alla categoria delle disposizioni espressive di princípi fondamentali della materia dell'istruzione, anch'esse di competenza statale, quelle norme che, nel fissare criteri, obiettivi, direttive o discipline, pur tese ad assicurare la esistenza di elementi di base comuni sul territorio nazionale in ordine alle modalità di fruizione del servizio dell'istruzione, da un lato, non sono riconducibili a quella struttura essenziale del sistema d'istruzione che caratterizza le norme generali sull'istruzione, dall'altro, necessitano, per la loro attuazione (e non già per la loro semplice esecuzione) dell'intervento del legislatore regionale il quale deve conformare la sua azione all'osservanza dei principi fondamentali stessi.
In particolare, lo svolgimento attuativo dei predetti principi è necessario quando si tratta di disciplinare situazioni legate a valutazioni coinvolgenti le specifiche realtà territoriali delle Regioni, anche sotto il profilo socio-economico. In questa prospettiva viene in rilievo, come si dirà oltre nell'analisi delle specifiche censure prospettate, sia il settore della programmazione scolastica regionale sia quello inerente al dimensionamento sul territorio della rete scolastica…

…27… Tuttavia, la fissazione dei livelli essenziali di prestazione del servizio scolastico non può includere la definizione dell'assetto organizzativo e gestorio del servizio (sentenza n. 120 del 2005), che comunque non rileva nella specie.
Ulteriori titoli di legittimazione dello Stato a dettare norme in materia possono, inoltre, essere rinvenuti nella competenza esclusiva dello Stato, ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettere g) ed l), in materia di organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali ed in materia di ordinamento civile relativamente, in particolare, alla disciplina privatistica del rapporto di lavoro del personale della scuola…

29.— L'articolo richiamato, nel suo complesso, reca norme in materia di organizzazione scolastica nazionale.

f-bis. definizione di criteri, tempi e modalità per la determinazione e l'articolazione dell'azione di ridimensionamento della rete scolastica prevedendo, nell'ambito delle risorse disponibili a legislazione vigente, l'attivazione di servizi qualificati per la migliore fruizione dell'offerta formativa» (lettera aggiunta dalla legge di conversione n. 133 del 2008);
«f-ter. nel caso di chiusura o accorpamento degli istituti scolastici aventi sede nei piccoli comuni, lo Stato, le regioni e gli enti locali possono prevedere specifiche misure finalizzate alla riduzione del disagio degli utenti» (lettera aggiunta dalla legge di conversione n. 133 del 2008).


31.— Ammissibili sono, invece, le impugnazioni dei commi 3 e 4, ma soprattutto 4, proposte dalla stessa Regione Piemonte, nonché dalle Regioni Emilia-Romagna, Toscana, Lazio e Puglia.
I suindicati commi prevedono, da un lato, l'adozione di un piano programmatico di settore per la realizzazione di interventi volti ad una maggiore razionalizzazione dell'utilizzo delle risorse umane e strumentali disponibili, che conferiscano una maggiore efficacia ed efficienza al sistema scolastico; dall'altro, stabiliscono i criteri che debbono orientare tale razionalizzazione, per l'attuazione della quale è prevista l'adozione di regolamenti governativi….

35.— Il secondo profilo di esame della normativa, oggetto di censure da parte delle ricorrenti, attiene alle modalità procedurali previste nel suindicato comma 4 e nel precedente comma 3.


35.2.— Con riguardo, invece, alla potestà regolamentare, il legislatore ha fatto espresso riferimento ai regolamenti di delegificazione contemplati nel comma 2 dell'art. 17 della legge n. 400 del 1998. Sul punto, è bene chiarire che il sesto comma dell'art. 117 Cost., da un lato, autorizza il legislatore statale, come già sottolineato, ad esercitare la potestà regolamentare in tutte le materie di legislazione esclusiva dello Stato; dall'altro, non pone limitazioni, in linea con la sua funzione di norma di riparto delle competenze, in ordine alla tipologia di atto regolamentare emanabile. Ne consegue che risulta conforme al sistema delle fonti la previsione di regolamenti di delegificazione anche in presenza dell'ambito materiale in esame. Deve, anzi, ritenersi che le “norme generali sull'istruzione” - essendo fonti di regolazione di fattispecie relative alla struttura essenziale del sistema scolastico nazionale - si prestano a ricevere “attuazione” anche mediante l'emanazione di atti regolamentari di delegificazione, purché in concreto vengano rispettati il principio di legalità sostanziale e quello di separazione delle competenze…


Rimane comunque fermo – è bene precisare – il controllo di legittimità dell'esercizio del potere regolamentare innanzi alle competenti sedi giudiziarie ed eventualmente, ricorrendone i necessari presupposti, anche innanzi a questa Corte mediante ricorso per conflitto di attribuzione…


38.— A diversa conclusione deve, invece, pervenirsi per quanto concerne le disposizioni (aggiunte in sede di conversione) contenute nelle lettere f-bis) ed f-ter) del medesimo comma 4, attesa la loro diretta incidenza su ambiti di specifica competenza regionale.
38.1— Quanto, infatti, alla lettera f-bis), è pure vero che essa prevede che, con atto regolamentare, si dovrà provvedere alla «definizione di criteri, tempi e modalità per la determinazione e l'articolazione dell'azione di ridimensionamento della rete scolastica»; tuttavia, agli effetti del riparto di competenza legislativa tra lo Stato e le Regioni, ciò che rileva è il riferimento al dimensionamento della rete delle istituzioni scolastiche, vale a dire ad un ambito che deve ritenersi di spettanza regionale.
Sul punto, infatti, questa Corte ha avuto modo di rilevare che, da un lato, l'art. 138, comma 1, lettere a) e b), del d.lgs. n. 112 del 1998 aveva già delegato alle Regioni, nei limiti sopra esposti, funzioni amministrative in materia, tra l'altro, di programmazione dell'offerta formativa integrata tra istruzione e formazione professionale, nonché di programmazione della rete scolastica; dall'altro, l'art. 3 del d.P.R. 18 giugno 1998 n. 233 (Regolamento recante norme per il dimensionamento ottimale delle istituzioni scolastiche e per la determinazione degli organici funzionali dei singoli istituti, a norma dell'articolo 21 della legge 15 marzo 1997, n. 59) aveva disposto che «i piani di dimensionamento delle istituzioni scolastiche (…) sono definiti in conferenze provinciali di organizzazione della rete scolastica, nel rispetto degli indirizzi di programmazione e dei criteri generali, riferiti anche agli ambiti territoriali, preventivamente adottati dalle Regioni» (sentenza n. 34 del 2005).
Avendo riguardo alle riportate disposizioni legislative, la Corte ha così ritenuto, con la citata sentenza, che «proprio alla luce del fatto che già la normativa antecedente alla riforma del Titolo V prevedeva la competenza regionale in materia di dimensionamento delle istituzioni scolastiche, e quindi postulava la competenza sulla programmazione scolastica di cui all'art. 138 del d.lgs. n. 112 del 1998, è da escludersi che il legislatore costituzionale del 2001 abbia voluto spogliare le Regioni di una funzione che era già ad esse conferita» sia pure soltanto sul piano meramente amministrativo.
In altri termini, la definizione del riparto delle competenze amministrative attuato con il citato decreto legislativo fornisce un tendenziale criterio utilizzabile per la individuazione e interpretazione degli ambiti materiali che la riforma del titolo V ha attribuito alla potestà legislativa concorrente o residuale delle Regioni.
Ed in effetti, se si ha riguardo all'obiettivo perseguito dalla disposizione in esame, si deve constatare che la preordinazione dei criteri volti alla attuazione di tale dimensionamento ha una diretta ed immediata incidenza su situazioni strettamente legate alle varie realtà territoriali ed alle connesse esigenze socio-economiche di ciascun territorio, che ben possono e devono essere apprezzate in sede regionale, con la precisazione che non possono venire in rilievo aspetti che ridondino sulla qualità dell'offerta formativa e, dunque, sulla didattica.
E non è senza significato che il comma 4-quater dello stesso art. 64, introdotto dall'art. 3, comma 1, del successivo decreto-legge n. 154 del 2008, come convertito nella legge n. 189 del 2008, abbia previsto – in sostanziale discontinuità con quanto contenuto nella disposizione censurata – che le Regioni e gli enti locali, «nell'ambito delle rispettive competenze (…) assicurano il dimensionamento delle istituzioni scolastiche».
La disposizione in questione, pertanto, lungi dal poter essere qualificata come “norma generale sull'istruzione” nel senso prima precisato, invade spazi riservati alla potestà legislativa delle Regioni relativi alla competenza alle stesse spettanti nella disciplina dell'attività di dimensionamento della rete scolastica sul territorio.
La sussistenza di un ambito materiale di competenza concorrente comporta che non è consentita, ai sensi del sesto comma dell'art. 117 della Costituzione che attua il principio di separazione delle competenze, l'emanazione di atti regolamentari.
39.2.— Analoghe considerazioni devono essere fatte anche per quanto attiene alla lettera f-ter) del comma in esame, la quale demanda al regolamento governativo di prevedere, nel caso di chiusura o di accorpamento degli istituti scolastici aventi sede nei piccoli Comuni, specifiche misure finalizzate alla riduzione del disagio degli utenti.
La disposizione contenuta in tale lettera opera una estensione allo Stato di una facoltà di esclusiva pertinenza delle Regioni, mediante l'attribuzione allo stesso di un compito che non gli compete, in quanto quello della chiusura o dell'accorpamento degli istituti scolastici nei piccoli Comuni costituisce un ambito di sicura competenza regionale proprio perché strettamente legato alle singole realtà locali, il cui apprezzamento è demandato agli organi regionali.
La disposizione in esame, per il suo contenuto precettivo, non può, pertanto, trovare svolgimento in sede regolamentare, atteso che, per le ragioni già indicate, al regolamento governativo non è consentito intervenire, in ossequio al principio della separazione delle competenze, in ambiti materiali la cui disciplina spetta anche alle fonti regionali.
È, però, bene puntualizzare, che non sussistono dubbi in ordine alla facoltà spettante alle Regioni e agli enti locali di prevedere misure volte a ridurre, nei casi in questione, il disagio degli utenti del servizio scolastico, proprio per l'impatto che tali eventi hanno sulle comunità insediate nel territorio e con riguardo alle necessità dell'utenza delle singole realtà locali.
La norma impugnata deve, dunque, essere dichiarata costituzionalmente illegittima per violazione dell'art. 117, comma terzo, Cost., fermo restando che l'obiettivo di consentire l'adozione delle predette misure può essere raggiunto sulla base di autonome determinazioni assunte in sede locale.
39.3.— Conclusivamente, poiché si è in presenza di disposizioni che, nei limiti innanzi precisati, non sono riconducibili alla categoria delle norme generali di cui all'art. 117, secondo comma, lettera n), Cost. e non possono, quindi, formare oggetto di disciplina regolamentare da parte dello Stato, deve essere dichiarata la illegittimità costituzionale delle lettere f-bis) e f-ter) del comma 4 dell'art. 64 del d.l. n. 112 del 2008, aggiunte entrambe dalla relativa legge di conversione n. 133 del 2008, mentre, per il resto, devono essere respinti i ricorsi proposti nei confronti del comma 3 e del comma 4, lettere da a) a f), del medesimo comma.
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Riforme: approvato il collegato al lavoro

Messaggiodi edscuola » 21 ottobre 2010, 8:47

Riforme: approvato il collegato al lavoro.

ANIEF chiede a Napolitano di rinviare ancora una volta il provvedimento all’esame del Parlamento per la palese incostituzionalità dell’art. 32 che interviene sui processi in corso e inibisce la domanda risarcitoria nel contenzioso seriale promosso dal Sindacato. Pronti i ricorsi nei tribunali.
La Camera dei Deputati approva in 7 lettura, in sede definitiva, la norma recante “Deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l'impiego, di incentivi all'occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonché misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro”. Durante il corso dell’esame, è stato ignorato il messaggio motivato del Capo dello Stato che aveva sottolineato l’opportunità “di una riflessione anche su disposizioni in qualche modo connesse - presenti negli articoli 30, 32 e 50 - che riguardano gli stessi giudizi in corso e che oltretutto rischiano, così come sono formulate, di prestarsi a seri dubbi interpretativi e a potenziali contenziosi […] L'articolo 20 presenta inoltre profili problematici anche nella parte - in sé largamente condivisibile - che riguarda la «salvezza» del diritto del lavoratore al risarcimento dei danni eventualmente subìti.” Ben 19 ordinanze delle corti di appello dei tribunali italiani avevano, infatti, rimesso alla corte costituzionale l’articolo 4-bis del decreto legislativo n. 368/2001 come introdotto dal comma 1 dell’articolo 21 della legge 133/2008, che è testualmente riproposto nei commi 4, 5, 6 dell’art. 32 del collegato al lavoro. La corte costituzionale aveva dichiarato tale norma illegittima già nella sentenza n. 214 del 14 luglio 2009, per la violazione degli artt. 3, 10 e 11, 24, 111, 117 della Costituzione.
Di fronte a sentenze che finalmente condannano l’amministrazione - sottolinea Marcello Pacifico, presidente dell’ANIEF - alla trasformazione dei contratti da tempo determinato a tempo indeterminato nel rispetto del diritto comunitario, oggi emanate anche per i precari della scuola come ieri per i precari delle poste, il Governo cerca, invano di correre ai ripari; ma è chiaro che la legge approvata dal Parlamento sarà dichiarata incostituzionale. Già il Governo, in qualità di datore di lavoro, ha chiesto al Parlamento di confermare i rappresentanti dei lavoratori con cui trattare, grazie alla proroga ope legis delle RSU elette e della rappresentatività delle OO. SS. trattanti, ora, cosciente di aver violato sistematicamente da 10 anni una direttiva comunitaria (1999/70/CE) che punisce severamente chi abusa della contrattazione a tempo determinato (a sfavore dei 200.000 precari della scuola), ha ottenuto dal Parlamento con l’approvazione dell’art. 32 un forte sconto per la domanda risarcitoria (da 60 a 6 mensilità) che deve versare alle migliaia di ricorrenti lavoratori precari che ci chiedono giustizia. E’ evidente che la norma serve soltanto per prendere un altro po’ di tempo e che verrà rimessa subito nei primi giudizi all’attenzione del giudice delle leggi che si è pronunciato su tale materia. Nel frattempo, l’ANIEF si appella ancora una volta al Quirinale per abbreviare il percorso di una strada tutta in salita.

La lettera a Napolitano

All’Onorevole Presidente della Repubblica
Palazzo del Quirinale


Oggetto: RICHIESTA di RINVIO all’esame del Parlamento del D.d.L. 1441-quater-F approvato in sede definitiva dalla Camera dei Deputati in data 19 ottobre 2010, per violazione degli articoli artt. 3, 10 e 11, 24, 111, 117 della Costituzione da parte del comma 5, 6, 7, dell’articolo 32, e per elusione dei precisi rilievi da Ella mossi nel messaggio alle Camere.

Onorevole Presidente,
premesso che durante l’esame dagli interventi dei parlamentari si è messo in rilievo l’incostituzionalità dei commi della norma in oggetto,
sebbene, Ella, nel messaggio ai Presidenti della Camera e del Senato di rinvio della norma in esame, al di là delle osservazioni fin qui svolte a proposito dell'articolo 31, abbia sottolineato l’opportunità di una riflessione anche su disposizioni in qualche modo connesse - presenti negli articoli 30, 32 e 50 - che riguardano gli stessi giudizi in corso e che oltretutto rischiano, così come sono formulate, di prestarsi a seri dubbi interpretativi e a potenziali contenziosi […] L'articolo 20 presenta inoltre profili problematici anche nella parte - in sé largamente condivisibile - che riguarda la «salvezza» del diritto del lavoratore al risarcimento dei danni eventualmente subìti.
considerato che i commi 5, 6, 7 dell’articolo 32, rimasti invariati nell’esame del Parlamento, ripropongono testualmente i contenuti dell’articolo 4-bis del decreto legislativo n. 368/2001 come introdotto dal comma 1 dell’articolo 21 della legge 133/2008 e dichiarato incostituzionale dalla sentenza n. 214 della corte costituzionale del 14 luglio 2009, dopo la sua remissione all’esame della stessa corte costituzionale disposto da 19 ordinanze delle corti di appello dei tribunali italiani, per la presunta violazione degli artt. 3, 10 e 11, 24, 111, 117 della Costituzione, poi accertata

Le chiedo, nell’esercizio delle sue funzioni di controllo e di garante, di valutare la possibilità di rinviare nuovamente alle Camere il D.d.L. 1441-quater-D “Collegato al Lavoro”, qualora nel testo licenziato dal Senato rimangano invariati i commi in oggetto, al fine di un ulteriore approfondito esame conforme al dettato Costituzionale.

Si allega la sentenza n. 214 della corte Costituzionale e il confronto tra l’articolo 4-bis del Dlgs. 368/01 dichiarato illegittimo e i commi 5, 6, 7 del DdL 1441-quater-D.

L’occasione è gradita per rinnovarLe cordiali saluti

Roma, 20 ottobre 2010.


Estratto della sentenza della corte costituzionale n. 214/2009
FATTO
…Con diciannove distinte ordinanze, le Corti di appello di Torino (r.o. n. 427 del 2008), Genova (r.o. n. 441 del 2008), Bari (r.o. n. 12 del 2009), Caltanissetta (r.o. n. 43 del 2009), Venezia (r.o. n. 93 del 2009), L'Aquila (r.o. n. 95 del 2009) e Roma (r.o. n. 102 del 2009), ed i Tribunali di Roma (r.o. n. 413 del 2008), Ascoli Piceno (r.o. nn. 442 e 443 del 2008), Trieste (r.o. n. 4 del 2009), Viterbo (r.o. n. 22 del 2009), Milano (r.o. nn. 25, 26, 27, 28, 86 e 87 del 2009) e Teramo (r.o. n. 70 del 2009), hanno sollevato questioni di legittimità costituzionale dell'art. 4-bis del d.lgs. n. 368 del 2001, introdotto dall'art. 21, comma 1-bis, del d.l. n. 112 del 2008. La norma censurata dispone che «Con riferimento ai soli giudizi in corso alla data di entrata in vigore della presente disposizione, e fatte salve le sentenze passate in giudicato, in caso di violazione delle disposizioni di cui agli articoli 1, 2 e 4, il datore di lavoro è tenuto unicamente ad indennizzare il prestatore di lavoro con un'indennità di importo compreso tra un minimo di 2,5 ed un massimo di sei mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nell'articolo 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604 (Norme sui licenziamenti individuali), e successive modificazioni». I giudici rimettenti, premettendo che, secondo il “diritto vivente”, in caso di violazione delle prescrizioni contenute nell'art. 1 del d.lgs. n. 368 del 2001, può essere disposta la conversione del contratto in rapporto di lavoro a tempo indeterminato e riconosciuta al lavoratore una tutela risarcitoria piena, affermano che l'art. 4-bis del d.lgs. n. 368 del 2001 violerebbe: l'art. 3 Cost., poiché è fonte di irragionevole disparità di trattamento, collegata al solo dato temporale del momento di proposizione del ricorso giudiziale, tra lavoratori che si trovano nella identica situazione di fatto (r.o. nn. 413, 427, 441, 442 e 443 del 2008; 4, 12, 25, 26, 27, 28, 43, 86, 87 e 93 del 2009); l'art. 3 Cost., in quanto introduce una disciplina priva di ragionevolezza, perché: a) interviene nei rapporti di diritto privato sacrificando arbitrariamente il diritto del lavoratore assunto illegittimamente a tempo determinato a godere della tutela garantita dalla legge vigente all'epoca dell'instaurazione del rapporto e favorendo contemporaneamente il datore di lavoro che ha dato luogo all'illegittimità (r.o. nn. 442 e 443 del 2008); b) non è ravvisabile alcuna giustificazione razionale nel fatto che la disposizione modifichi la regola sostanziale rispetto ad una categoria di soggetti, riducendo la tutela mentre pendono i giudizi, proprio e solo per il fatto di avere una causa in corso (r.o n. 102 del 2009); c) la delimitazione temporale del trattamento discriminatorio si riferisce alla mera pendenza del processo, e quindi ad una circostanza assolutamente accidentale (r.o. nn. 22, 70 e 95 del 2009); gli artt. 3, primo comma, e 24 Cost., perché vìola il generale principio dell'affidamento legittimamente posto dal cittadino sulla certezza dell'ordinamento giuridico (r.o. nn. 413 del 2008; 12, 22 e 70 del 2009); l'art. 10 Cost., poiché lede il principio di parità di trattamento che è principio generale del diritto internazionale e comunitario che l'Italia si è impegnata a rispettare (r.o. nn. 25, 26, 27, 28, 86 e 87 del 2009); gli artt. 11, secondo periodo, e 117, primo comma, Cost., perché, riducendo la tutela accordata in precedenza dall'ordinamento ai lavoratori assunti con contratto a tempo determinato, vìola la clausola 8, punto 3, dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato recepito dalla direttiva 1999/70/CE e, conseguentemente, l'obbligo del legislatore interno di rispettare i vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario ed internazionale (r.o. nn. 442 e 443 del 2008); l'art. 24 Cost., perché compromette il diritto di difesa dei lavoratori ricorrenti, sottraendo loro la possibilità di ottenere il vantaggio della conversione del contratto in rapporto di lavoro a tempo indeterminato, la cui prospettiva aveva direttamente condizionato l'esercizio del loro diritto di azione (r.o. nn. 427 del 2008; 24, 25, 26, 27, 28, 43, 86, 87, 93 e 102 del 2009); l'art. 111 Cost., con riferimento al principio del giusto processo, perché la norma censurata modifica, nel corso dei procedimenti giudiziali, la tutela sostanziale accordabile al diritto azionato, senza che ricorrano idonee ragioni oggettive o generali (r.o. nn. 93 e 102 del 2009); gli artt. 101, 102, secondo comma, e 104, primo comma, Cost., poiché un intervento legislativo che riguardi solamente alcuni giudizi in corso ad una certa data è privo del requisito di astrattezza proprio delle norme giuridiche ed assume un carattere provvedimentale generale invasivo dell'àmbito riservato alla giurisdizione (r.o. nn. 413 del 2008 e 22 del 2009); l'art. 117, primo comma, Cost., in connessione con l'art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950 (ratificata dalla legge 4 agosto 1955, n. 848), il quale impedisce al legislatore di intervenire con norme ad hoc per la risoluzione di controversie in corso (r.o. nn. 413 e 441 del 2008; 4, 12, 22, 43, 25, 26, 27, 28, 70, 86, 87, 93, 95 e 102 del 2009); l'art. 117, primo comma, Cost., poiché la norma censurata costituisce un completamento o una modifica del d.lgs. n. 368 del 2001 e dunque un'applicazione della direttiva 1999/70/CE e avrebbe pertanto dovuto rispettare la clausola di non regresso enunciata nella clausola 8, punto 3, dell'accordo quadro recepito dalla medesima direttiva (r.o. nn. 25, 26, 27, 28, 86 e 87 del 2009)…
DIRITTO
5.7. – Nel merito le questioni sollevate in riferimento all'art. 3 Cost. dalle Corti d'appello di Genova e di Roma e dai Tribunali di Roma, Ascoli Piceno, Trieste e Viterbo sono fondate. In effetti, situazioni di fatto identiche (contratti di lavoro a tempo determinato stipulati nello stesso periodo, per la stessa durata, per le medesime ragioni ed affetti dai medesimi vizi) risultano destinatarie di discipline sostanziali diverse (da un lato, secondo il diritto vivente, conversione del rapporto in rapporto a tempo indeterminato e risarcimento del danno; dall'altro, erogazione di una modesta indennità economica), per la mera e del tutto casuale circostanza della pendenza di un giudizio alla data (anch'essa sganciata da qualsiasi ragione giustificatrice) del 22 agosto 2008 (giorno di entrata in vigore dell'art. 4-bis del d.lgs. n. 368 del 2001, introdotto dall'art. 21, comma 1-bis, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112). Siffatta discriminazione è priva di ragionevolezza, né è collegata alla necessità di accompagnare il passaggio da un certo regime normativo ad un altro. Infatti l'intervento del legislatore non ha toccato la disciplina relativa alle condizioni per l'apposizione del termine o per la proroga dei contratti a tempo determinato, ma ha semplicemente mutato le conseguenze della violazione delle previgenti regole limitatamente ad un gruppo di fattispecie selezionate in base alla circostanza, del tutto accidentale, della pendenza di una lite giudiziaria tra le parti del rapporto di lavoro. Deve pertanto essere dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 4-bis del d.lgs. n. 368 del 2001, con assorbimento delle questioni sollevate in riferimento ad altri parametri costituzionali dalle Corti d'appello di Genova e di Roma e dai Tribunali di Roma, Ascoli Piceno, Trieste e Viterbo.
L’art. 4-bis del dlgs. 368/01 non costituzionale Il comma 5, 6, 7 dell’art. 32 del Ddl 1441-quater-F
1-bis. Dopo l'articolo 4 del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, e' inserito il seguente:
«Art. 4-bis. (Disposizione transitoria concernente l'indennizzo per la violazione delle norme in materia di apposizione e di proroga del termine).
- 1. Con riferimento ai soli giudizi in corso alla data di entrata in vigore della presente disposizione, e fatte salve le sentenze passate in giudicato, in caso di violazione delle disposizioni di cui agli articoli 1, 2 e 4, il datore di lavoro e' tenuto unicamente a indennizzare il prestatore di lavoro con un'indennità di importo compreso tra un minimo di 2,5 ed un massimo di sei mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nell'articolo 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni.».
5. Nei casi di conversione del contratto a tempo determinato, il giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento del lavoratore stabilendo un’indennità onnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nell’articolo 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604.
6. In presenza di contratti ovvero accordi collettivi nazionali, territoriali o aziendali, stipulati con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, che prevedano l’assunzione, anche a tempo indeterminato, di lavoratori già occupati con contratto a termine nell’ambito di specifiche graduatorie, il limite massimo dell’indennità fissata dal comma 5 è ridotto alla metà.
7. Le disposizioni di cui ai commi 5 e 6 trovano applicazione per tutti i giudizi, ivi compresi quelli pendenti alla data di entrata in vigore della presente legge. Con riferimento a tali ultimi giudizi, ove necessario, ai soli fini della determinazione della indennità di cui ai commi 5 e 6, il giudice fissa alle parti un termine per l’eventuale integrazione della domanda e delle relative eccezioni ed esercita i poteri istruttori ai sensi dell’articolo 421 del codice di procedura civile.
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Graduatorie: è competente il TAR

Messaggiodi edscuola » 22 ottobre 2010, 8:25

Graduatorie: è competente il TAR, parola del PG della Cassazione.

Per il procuratore generale della Corte di Cassazione, il giudice amministrativo è il solo competente in merito all’elaborazione legittima di graduatorie. Per ciò, ha espresso parere contrario alla richiesta di parte appellante che ha sollevato il difetto di giurisdizione al Tar Lazio contro un ricorso ANIEF.
L’ANIEF così risponde all’articolo pubblicato da Italia oggi del 19.10.2010, citando testualmente la relazione del procuratore generale depositata il 14 giugno 2010 su un ricorso già discusso in udienza pubblica presso le Sezioni Unite (ruolo n. 22166/09). Il P. G. ha sottolineato che diverse sentenze della suprema corte, non per ultimo, la n. 3409/08 e la n. 1989/04, hanno confermato la giurisdizione del giudice amministrativo in tutti i casi in cui la controversia investa le singole procedure concorsuali o tenda ad inficiare la graduatoria disconoscendone la legittimità e chiedendone la modifica, così rigettando la richiesta di chi aveva sollevato di fronte all’ordinanza cautelare ottenuta dall’ANIEF in merito all’annullamento delle graduatorie previa valutazione dello spostamento dei 24 punti SSIS da una graduatoria all’altra, difetto di giurisdizione ai sensi dell’art. 41 del codice di procedura civile.
L’orientamento, pertanto, in vista del ricorso promosso - sembra dalla Gilda - contro le ordinanze del TAR di inserimento a pettine nelle GaE, che sarà deciso nel merito il 16 novembre 2010, è quanto mai chiaro, parecchio discordante dalla relazione dell’altro P.G. citata nell’articolo di giornale.
Pertanto - commenta a caldo il presidente dell’ANIEF, Marcello Pacifico -, aspettiamo con serenità e fiducia il giudizio della corte suprema, fermo restando, comunque, che tutta la questione sul merito della legittimità della norma (c. 4-bis, art. 1, l. 167/09) pende all’esame dei giudici della corte costituzionale, e che in caso di esito positivo, consentirà sempre ai ricorrenti di reclamare il petitum richiesto. Chi fa Sindacato - conclude con amarezza il presidente ANIEF - dovrebbe sempre anteporre il diritto oggettivo agli interessi di parte mossi da qualche iscritto in più o dalla tutela dei propri iscritti, e non già cercare qualche cavillo per ritardare di poco il corso della giustizia illudendo migliaia di colleghi. Forse per questo migliaia di colleghi chiedono sempre più all’ANIEF di continuare la propria politica sindacale.
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CdS_Spostamento punteggio di servizio? Tutto da rifare

Messaggiodi edscuola » 22 ottobre 2010, 8:26

CdS_Spostamento punteggio di servizio ? Tutto da rifare.

Analogamente per quanto avvenuto per i ricorsi pettine, ANIEF chiede la revoca della sentenza 7595/10 perché emessa dai giudici di Palazzo Spada per l’ennesimo errore dell’avvocatura dello Stato che non ha notificato ai legali dell’ANIEF il ricorso 6078/09.
Sui contenuti del dispositivo emesso dai giudici, poi, il presidente dell’ANIEF, Marcello Pacifico, esorta alla prudenza visto che il Sindacato per il tramite dei suoi legali non ha avuto l’opportunità di controbattere e di smentire la tesi dell’amministrazione, sposata dal collegio, in merito alla volontà del legislatore di cristallizzare le posizioni dei candidati inseriti nelle graduatorie. Proprio l’art. 1, c. 4-bis della legge 167/09, nell’interpretare in maniera autentica il contenuto della legge 296/06 che ha trasformato le graduatorie ad esaurimento, ha confermato la liceità dello spostamento dei candidati da una graduatoria all’altra, peraltro avvenuta per il biennio 2007-2009, all’atto del prossimo aggiornamento disposto per il 2011-2013, e quindi l’assenza di ogni possibile cristallizzazione delle posizioni. Mentre, è noto a tutti come l’inserimento in coda previsto per il solo biennio 2009-2011 è attualmente all’esame del giudice delle leggi, per i profili di costituzionalità rilevati dai giudici del Tar Lazio. Attendiamo fiduciosi la nuova udienza per integrare correttamente il contraddittorio.
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