AESPI: RIFLESSIONE SULLE NUOVE NORME DISCIPLINARI

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AESPI: RIFLESSIONE SULLE NUOVE NORME DISCIPLINARI

Messaggiodi edscuola » 22 settembre 2010, 11:21

RIFLESSIONE SULLE NUOVE NORME DISCIPLINARI CONCERNENTI IL PERSONALE DOCENTE DELLA SCUOLA

Il D. Lgs. 150 del 27 ottobre 2009, comunemente noto come “Decreto Brunetta” ha profondamente innovato il sistema disciplinare del pubblico impiego. In questa sede ce ne occupiamo, naturalmente, per quanto concerne l’impatto sul personale docente della scuola. Va altresì premesso che si tratta, da parte di AESPI, di un provvisorio e parziale approccio alla materia, considerato che le conseguenze del mutato quadro normativo potranno essere più compiutamente valutate nel corso del tempo, quando le informazioni raccolte presso le scuole consentiranno un primo ma già affidabile bilancio.
Come alcuni sanno, Il cambiamento più significativo, rispetto al previgente sistema disciplinare, consiste nell’estensione del potere sanzionatorio del Dirigente Scolastico. Infatti mentre prima dell’entrata in vigore del Decreto il Capo d’istituto poteva irrogare la sola sanzione dell’ “avvertimento scritto” - sorta di blanda censura - riservando al superiore gerarchico di intervenire più severamente in caso di infrazioni gravi, con la nuova normativa egli può infliggere al docente fino a un massimo di 10 giorni di sospensione dal servizio. Quest’ultima, si rammenta, comporta quali conseguenze la perdita dello stipendio per il periodo corrispondente (fatto salvo l’assegno alimentare, pari a circa il 50 % della retribuzione) e il ritardo di un anno dell’attribuzione dell’aumento stipendiale. Si consideri – per ben valutare la portata del cambiamento – che col regime previgente la sospensione anche per un solo giorno poteva essere inflitta esclusivamente dal Direttore dell’ Ufficio Scolastico Regionale e, quale ulteriore garanzia per l’insegnante soggetto al procedimento, solo dopo l’acquisizione del parere di un organismo collegiale.
L’attribuzione ai capi d’istituto di questo strumento disciplinare è sicuramente da connettersi al progressivo e generale rafforzamento delle prerogative degli stessi determinatosi in seguito al Decreto Legislativo 6 marzo 1998 n. 59 istituente la Dirigenza scolastica, ma risponde anche a quelle esigenze di produttività ed efficienza della Pubblica Amministrazione affermate con decisione dal presente Governo.
Si tratta, come si comprende, di una punizione particolarmente afflittiva, infatti essa non produce sul suo destinatario soltanto le conseguenze meramente materiali di sopra accennate, ma anche una compromissione dell’onorabilità di fronte ai colleghi come della personale autostima, arrivando ad innescare in soggetti predisposti meccanismi depressivi e persecutorî.
Essa può essere indubbiamente utile ad affrontare risolutamente e in tempi contenuti situazioni di abuso o di colpevole negligenza: in questo caso non può che incontrare il consenso degli stessi docenti (oltre che degli alunni e dei genitori, ove fossero questi a subire i comportamenti illeciti oggetto di sanzione). E’ innegabile, in proposito, che in passato si sono dati non pochi casi di insegnanti che approfittavano di una situazione di esteso garantismo e di sostanziale impunità per svolgere la loro funzione in modo qualitativamente e quantitativamente deficitario. In tali casi, come si diceva, l’intervento ex auctoritate è quanto mai opportuno.
E’ però da chiedersi se la maggioranza dei Dirigenti scolastici sia in possesso delle doti di prudenza ed equanimità che rendono giusto e condivisibile l’esercizio del potere sanzionatorio. Si parla qui non dell’astratto profilo dirigenziale definito dai testi di legge, ma dei presidi come concretamente agiscono e come li abbiamo conosciuti. L’esperienza scolastica, invero, ci ha palesato negli anni una casistica assai variegata; accanto a dirigenti di indubbio valore, con alcuni dei quali AESPI ha intrapreso da tempo un percorso di collaborazione, abbiamo avuto esperienza anche di capi d’istituto che svolgono la loro professione in una prospettiva sostanzialmente egemonistica, magari supportati in tale atteggiamento da esponenti sindacali fin troppo radicati negli istituti e che intrattengono con loro un chiaro rapporto di do ut des. Costoro considerano con fastidio le posizioni di dissenso, anche correttamente manifestate, e non è azzardato ipotizzare che gli strumenti disciplinari loro conferiti potrebbero essere utilizzati soprattutto per intimidire o colpire soggetti identificati in qualche modo come oppositori, con buona pace di quella promozione delle risorse umane che pure l’evolvere della normativa affida loro in modo sempre più stringente. E’ vero che al docente ingiustamente sanzionato resta aperta la strada del ricorso avanti il giudice del lavoro o della denuncia per abuso d’ufficio (art. 323 C.P.); si tratta però di iniziative onerose, lunghe e insicure nelle conclusioni, tali insomma da scoraggiare, a nostro avviso, la maggior parte dei possibili interessati.
Si desidera ora proporre brevemente anche un’ulteriore serie di osservazioni, diverse ma complementari a quelle già esposte.
E’ ormai da anni che diverse Associazioni professionali degli insegnanti, nonché esponenti politici attenti al mondo della scuola, vanno evidenziando la necessità di riqualificare la categoria dei docenti anche attraverso un riformato assetto del loro stato giuridico. A tale scopo si è più volte sottolineata la necessità di una contrattazione separata da quella di altre figure professionali presenti nella scuola, così come quella di introdurre forme di auto-governo della categoria. L’AESPI aveva a suo tempo elaborato una proposta di istituzione dell’Ordine professionale dei docenti, e iniziative analoghe sono state assunte da altre associazioni come da membri del Parlamento.
Ebbene, è da dire con chiarezza che i contenuti del decreto 150 (e non solo la parte disciplinare) vanno nella direzione opposta a quella di sopra delineata. Dilatando le prerogative del Capo d’Istituto il decreto accentua la dimensione impiegatizia dell’insegnante e ridimensiona, per non dire altro, la specificità che il comparto scuola possiede rispetto ad altri comparti della P. A.
Nel momento, infatti, in cui il Capo d’istituto cessa di essere un primus inter pares e diventa il supremo dispensatore di punizioni e di riconoscimenti (anche quest’ultimo aspetto è presente nel decreto 150, ma vi dedicheremo specifica attenzione in un successivo momento) l’autonomia professionale viene automaticamente a restringersi.
Resta infine da chiedersi se questa sempre più accentuata impiegatizzazione (si perdoni il termine) sia utile alla qualità della scuola, insomma se la figura dell’insegnante-travet che si coglie in filigrana nel Decreto 150 sia tale da attirare i neo-laureati più capaci, o se invece non favorisca l’approccio alla professione da parte di persone motivate esclusivamente da ragioni di natura pratica ed economica. In questa prima fase della riflessione sul testo normativo, sembra di poter dire che l’istituzione di qualche contrappeso al più accentuato potere dei Dirigenti sarebbe quanto mai opportuna per restituire alla categoria un minimo di prestigio e alla professione un minimo di appetibilità.

Milano, 22 settembre 2010

Il Presidente
Prof. Angelo Ruggiero
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