I tagli alla scuola: colpa degli insegnanti non qualificati, non formati, non selezionati, non aggiornati.
Parola del Ministro Brunetta, mentre per il ministro Bondi possono andare nei musei. Così si prepara la riforma Gelmini sul reclutamento e sulla chiamata diretta. ANIEF invita la politica a tornare tra i banchi.
Il tema dell’intervista radiofonica a RTL 102.5 del 07.02.2010 riguardava la riforma della scuola, ovvero gli 87.000 tagli dovuti alla semplificazione e al maggior collegamento al mondo del lavoro realizzati dal ministro Gelmini, ma subito il ministro Brunetta ha voluto affrontare un punto nodale da economista sul perché dei presunti disastri dell’azienda-scuola italiana: la qualità pessima delle strutture umane e materiali a disposizione. Per il rappresentante del Governo la Scuola è un disastro perché abbiamo investito troppo poco nella formazione di insegnanti e in risorse materiali: i docenti italiani dimostrano poca cultura, non hanno avuto una formazione adeguata, non sono stati selezionati, non hanno una qualificata professionalità e non sono neanche aggiornati. Pertanto la scuola non è all’altezza della sfida di una società moderna. La soluzione, propone, il ministro, è nel riproporre concorsi seri, duri, nel premiare il merito, nel punire i fannulloni e nello spendere meno in stipendi fisici. I perdenti-cattedra o i precari in esubero, aggiunge il ministro Bondi in un’intervista al Corriere della Sera dello stesso giorno, potrebbero andare nei musei – tanto per restare in tema, visto che per il ministro dell’Istruzione potevano fare le guide turistiche - mentre il ministro Gelmini annuncia tuoni e fulmini sul nuovo sistema di reclutamento regionale e a chiamata diretta.
Bene. Se questa è l’opinione di tre ministri del Governo sugli insegnanti, tanto vale chiudere veramente questa nostra scuola disastrata. Peccato che quanto predicato non risponde come di consueto alla realtà: gli stipendi fisici sono elemosina in confronto a quanto prende mediamente un insegnante in Europa, specialmente al termine della sua carriera (da un terzo al doppio del magro stipendio italiano); l’aggiornamento dal 2004 è divenuto, di fatto, obbligatorio per i 300.000 precari della scuola costretti a punti e punticini dietro master e corsi di perfezionamento in presenza/on-line; la formazione iniziale con una dura selezione in entrata (da un quarto a un quinto dei candidati) per 10 anni è stata affidata all’università con un percorso di studi in anni mediamente doppio a quanto avviene nella UE. Sulla cultura, per carità, tralasciamo superflui commenti, così come su aule, palestre, attrezzature che non si capisce da chi dovrebbero essere finanziate - forse da quegli stessi insegnanti che acquistano i gratta e vinci per tentare la fortuna?.
Spiace sentirsi ogni giorno mortificare e insultare per nascondere la più grande cassa-integrazione attuata da un Governo, quando si impiega il proprio tempo, la propria vita ad educare e formare le generazioni del domani, a volte in situazioni di perfetta latitanza delle istituzioni. Forse la classe politica farebbe meglio a frequentare di più le aule di scuola prima di lanciare queste pesanti accuse contro una categoria che serve con orgoglio, ancora, il nostro Paese. Ne nascerebbe un dibattito fecondo e non sterile sui problemi del nostro sistema d’Istruzione e delle sue ricadute sulla società e quindi anche sul sistema amministrativo, economico, politico italiano.