CIDI: Audizione VII Commissione Camera

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CIDI: Audizione VII Commissione Camera

Messaggiodi edscuola » 8 febbraio 2009, 17:25

Audizione VII Commissione Camera dei Deputati

Autogoverno delle Istituzioni scolastiche, scelta educativa
delle famiglie, stato giuridico dei docenti

Premessa
comune alle seguenti Associazioni: AIMC – CIDI – FNISM – LSF – MCE – UCIIM

Se pur richiesto un documento sulla base di una griglia data, pare necessario aprire
con una breve premessa per sottrarre quanto verrà detto a una lettura puramente tecnica
recuperando, invece, la valenza politica dell’insieme. La Proposta di legge Aprea, assunta
come testo base proprio per la sua complessità e il suo prendersi in carico nodi cruciali del
sistema, in una apprezzabile coerenza, avrebbe necessità di tempi di discussione molto più
distesi e di reale interlocuzione.

Essa si apre con una presentazione organica che sembra valorizzare l’autonomia
scolastica, la responsabilizzazione professionale dei dirigenti e dei docenti, la
partecipazione degli studenti e dei genitori. Tuttavia, entrando nel merito, alcuni passaggi
non confermano tali premesse in quanto propongono soluzioni che, di fatto, finiscono con
il limitare:


l’autonomia delle istituzioni scolastiche;

la partecipazione delle componenti scolastiche (studenti e genitori);

la professionalità dei docenti a fronte di un’enfatizzazione delle competenze dei
dirigenti scolastici.
Si presenta, dunque, una serie di criticità che corre l’obbligo segnalare.

Il sistema scolastico, così come è delineato nel dettato costituzionale, configura
oggi una scuola presidio di inclusione ed equità sociale, finalizzata alla costruzione delle
condizioni per la crescita e l’emancipazione sociale, comunità educante in cui educazione e
istruzione sono due facce di un medesimo processo di crescita intellettuale. Un’idea di
scuola che condividiamo e che costituisce per noi la postazione da cui leggere l’intera
proposta. Alcune parole e idee chiave della presentazione di quest’ultima, invece, fanno
trasparire un sistema scolastico più burocratico aziendalistico che educativo, in cui
l’intreccio tra risultati, certamente da non sottovalutare, e l’innegabile valore dei processi,
risulta assai debole.

Pure fa problema il registrare come la definizione della funzione docente sia posta
in secondo piano rispetto a un’organizzazione generale della scuola e distinta da essa,
mentre ne costituisce elemento essenziale.


Se dalla lettura concentrata su aspetti particolari – ciascuno importante – sollecitata
dalla griglia ben scandita, ricomponiamo l’insieme, pare emergere una vera e propria
riscrittura dell’idea di scuola che suscita perplessità e preoccupazioni. È su questo sfondo
che le osservazioni richieste su questioni specifiche assumono un significato più pieno.

In merito alle questioni poste dalla griglia pervenuta, il CIDI presenta le
seguenti osservazioni

Autogoverno delle Istituzioni scolastiche

Composizione, competenze e funzionamento dell’Organo di governo:

Il Cidi in più occasioni ha sottolineato la necessità di riorganizzare il sistema di governo
delle Istituzioni scolastiche autonome, considerando superati nella loro impostazione di
fondo gli organismi di partecipazione di genitori e studenti, nonché di programmazione,
indirizzo e gestione della scuola così come previsti dai decreti delegati del 1974.

Con riferimento al testo base si sottolinea innanzitutto l’opportunità di sostituire la
denominazione di Consiglio di amministrazione con un’altra più coerente con le finalità
istituzionali della scuola: potrebbe chiamarsi Consiglio di indirizzo o Comitato di indirizzo.
La proposta del Consiglio di amministrazione sembra infatti voler ricalcare l’organizzazione
delle società di capitali o, comunque, di istituti giuridici di tipo privatistico, quali sono le
Fondazioni, senza però che ne siano indicate regole procedurali di composizione,
funzionamento e controllo certe e trasparenti. Il Consiglio di amministrazione delle società
di capitali, infatti, è un organo esecutivo della volontà dell’Assemblea ed è sottoposto al
controllo del Collegio sindacale. Invece nel testo in esame il Consiglio diventa un
organismo con pluralità di funzioni senza che sia chiaro a quale controllo sia assoggettato
(rendere conto alle Amministrazioni pubbliche competenti delle scelte effettuate è altro dal
controllo!).

Non emerge, inoltre, la necessaria distinzione tra compiti di indirizzo e programmazione e
compiti di gestione e coordinamento: tutte le funzioni sono affidate al Dirigente scolastico,
che risulta essere membro di diritto e presidente del Consiglio; in ultima istanza il Consiglio
di amministrazione, che ha anche il compito di nominare - su proposta del Dirigente
scolastico - il Comitato di valutazione del servizio scolastico, accentra ogni compito.

Per quanto riguarda la prevista presenza di soggetti esterni (peraltro già sperimentata in
passato senza successo) dovrebbe essere meglio definito sia il soggetto/i o l’organismo
che decide la presenza di tali soggetti, sia i criteri e le finalità generali sulla base dei quali
gli “esterni” sono chiamati a partecipare. Potrebbe essere contemplata la presenza di un
rappresentante dell’Ente pubblico proprietario – o tenuto a fornirlo - dell’edificio, mentre
altre presenze esterne potrebbero essere previste in modo saltuario, se ritenute utili e solo
a titolo consultivo.
Non viene spiegato, in caso di scioglimento del Consiglio, tra quali soggetti venga
nominato il Commissario straordinario.
Siamo contrari al fatto che il Dsga debba partecipare al Consiglio senza avere diritto di
voto: va valorizzata infatti la scuola/comunità partecipata che persegue obiettivi condivisi
da parte di tutte le sue componenti.


Sembra scomparire il Consiglio di classe, sostituito dall’organo collegiale di valutazione
degli alunni: se così fosse, tale organo avrebbe una mera funzione di ratifica di voti, con il
rischio che scompaiano le funzioni di programmazione e coordinamento della didattica,
oltre che la valutazione “formativa” degli allievi.
Riteniamo che il Consiglio di classe e i relativi compiti debbano essere stabiliti dalla legge.


Risulta ridimensionata la partecipazione di genitori e studenti: il loro diritto alla
partecipazione non deriverebbe più da una legge, ma da quanto indicato nei regolamenti
delle singole scuole autonome, oltre che nel regolamento degli studenti. Decisamente un
discutibile passo indietro rispetto alla tradizionale partecipazione.


Il Collegio dei docenti

La composizione di un nuovo Consiglio deve garantire la presenza qualificata della
componente docente che non può rimanere residuale rispetto alle altre.
È improprio definire il Collegio dei docenti semplicemente un organo tecnico, in
contraddizione con lo stesso principio di autonomia professionale e libertà di insegnamento
che l’art. 33 della Costituzione garantisce. Il Collegio dei docenti è l’unico organo titolato a
scegliere e decidere in materia di programmazione educativa e didattica ed è assoggettato
solamente alle finalità e agli obiettivi definiti dagli ordinamenti e dai curricoli nazionali
quale mandato che la Costituzione e la società affidano alla scuola.
La sfera di competenza dei docenti deve perciò rimanere di competenza dei docenti:
l’approvazione del POF e l’approvazione del Piano annuale delle attività (andrebbe spiegata
meglio la differenza tra i due piani) sono prerogativa del Collegio dei docenti che, sentite
le altre componenti della scuola, li consegna al Consiglio di Istituto/Circolo che li adotta ed
emana.
Vanno meglio precisate le articolazioni funzionali del Collegio dei docenti, con particolare
richiamo al ruolo dei dipartimenti disciplinari (che devono poter disporre di un budget
finanziario). Si può prevedere la figura di un coordinatore della didattica (eletto dal
Collegio) che entra a far parte dello staff di direzione, unitamente ad altre figure
responsabili di aree funzionali di lavoro.
È opportuno stabilire chi presiede il Collegio dei docenti, mentre non è opportuno definire
obbligatoria solo la seduta di inizio d’anno.

Fondazioni

Non è condivisibile la possibilità data alle scuole di trasformarsi in Fondazioni (art. 2 del
testo base), perché potrebbero mutare le finalità della scuola, i meccanismi di
reclutamento dei docenti, il loro trattamento giuridico ed economico, il rapporto delle
scuole con l’utenza (anche rispetto ai costi di funzionamento). Inevitabilmente tale
possibilità non può che essere interpretata come gesto di dismissione del carattere
pubblico della scuola. Fra l’altro, ai sensi dell’art. 21 della legge 59/97, le scuole sono
Istituzioni autonome - dotate cioè di autonomia didattica, di ricerca, organizzativa e
amministrativa - con personalità giuridica: hanno la possibilità, dunque, di sviluppare un
ampio raggio di azione relativamente all’organizzazione e diversificazione sul territorio,
nonché di stipulare convenzioni con vari soggetti (Enti locali, associazioni o agenzie,
università ecc.) o di aderire a consorzi pubblici e privati per acquisire beni e servizi, di
divenire proprietarie di beni, di accettare lasciti e donazioni. Non si capisce perciò quale sia
la convenienza ulteriore per una scuola di trasformarsi in Fondazione. Se ci fosse una
ragione economica, cioè quella di avere maggiori agevolazioni fiscali, sarebbe sufficiente


Uno sviluppo della professione, dunque, inteso non in opposizione agli altri colleghi, ma
disposto nel rispetto del lavoro collegiale e cooperativo, dove la competenza di un docente
è a disposizione di tutta la scuola, con ricadute immediate sulla qualità della didattica.
Riteniamo infine che la formazione in servizio debba essere obbligatoria e che debba
valere per acquisire crediti formativi ogni anno. Il raggiungimento del quorum di
formazione deve poter dare diritto a un riconoscimento economico (sull’esempio del
modello contrattuale della Provincia di Trento).
In ogni provincia dovrebbe anche funzionare il Centro risorse e servizi professionali per gli
insegnanti, con compiti di supporto tecnico e professionale alle scuole e alle loro reti.
L’attivazione delle nuove strutture non deve comportare l’incremento di personale, ma una
sua diversa utilizzazione. Contestualmente andrebbero ricondotte a funzioni amministrative
le esorbitanti funzioni tecniche assegnate agli USP dal Dpr 260/07.

Valutazione degli insegnanti

Siamo consapevoli che la valutazione dei docenti sia un tema all’ordine del giorno, caro
all’opinione pubblica; rimane comunque un obiettivo difficile da perseguire e che, una
volta innescato, potrebbe portare a risultati contrari alle intenzioni. Sottolineiamo che:

1. per
valutare l’efficacia dell’azione didattica ed educativa si devono prendere in
considerazione contestualmente tutti i vari elementi che determinano il successo o
l’insuccesso scolastico di ciascun allievo (contesto famigliare e sociale, livelli di
partenza, ritmi di apprendimento, stili di vita, ecc);
2.
esiste un ambito di responsabilità professionale e uno spazio di libertà individuale
dell’insegnamento che non possono essere sottoposti al vaglio della valutazione.
La valutazione esterna dei docenti può quindi essere svolta a esclusivo scopo
conoscitivo e di comparazione, in una logica di ricerca che promuova la riflessione e
l’elaborazione condivisa di standard di apprendimento a partire dal lavoro didattico dei
docenti e dai reali contesti educativi.

Si potrebbe pensare a un nucleo di valutazione con composizione mista (in maggioranza
interna), di carattere tecnico, capace di fornire informazioni, sintesi, tendenze, sulla base
di parametri e indicatori, anche di carattere regionale/nazionale.

L’associazionismo professionale

Riteniamo importante il riconoscimento dato all’associazionismo professionale in quanto
libera espressione della professionalità docente, stabilendo che l’attività delle associazioni
“possa svolgersi anche all’interno delle Istituzioni scolastiche che ne favoriscono la
presenza e l’attività e ne tutelano la possibilità di comunicazione anche attraverso appositi
spazi”). Ricordiamo che l’associazionismo professionale è nato e si è sviluppato per
valorizzare il pluralismo ideale e culturale, fondamentale per la crescita della scuola, per
costruire cultura e democrazia.
Si dice nel testo base che le associazioni professionali accreditate sono consultate a livello
nazionale, regionale e di singolo Istituto, ma non è chiaro come, dove e chi decida la
consultazione, a livello nazionale, regionale e di singolo Istituto. Si parla di associazioni
accreditate in base alla normativa vigente, ma la normativa vigente ha accreditato circa
300 associazioni per l’attività di formazione e aggiornamento.
Andrebbe, dunque, chiarito meglio il significato di accreditamento e di requisiti per
l’accreditamento.


Riteniamo che un’azione importante per dare valore all’associazionismo professionale,
sarebbe quella di porre mano alla questione dei distacchi, ovvero del personale utilizzato
presso le associazioni o gli enti cooperativi a esse collegati che, a tutt’oggi, sono lasciati
alla discrezionalità dei ministri, senza che vengano presi in considerazione -specialmente
negli ultimi anni - criteri indubitabili e trasparenti per l’assegnazione dei distacchi
(radicamento sul territorio nazionale, iniziative culturali, attività di formazione, contatti con
le scuole per il coordinamento di progetti didattici, attività di ricerca e sperimentazione,
pubblicazioni - riviste, quaderni didattici, libri, siti web ecc ).

Percorsi di formazione iniziale, abilitazione all’insegnamento
e modalità di reclutamento

Tipologia della formazione generalista e specialistica

Facciamo presente che l’art. 2, comma 416, della legge finanziaria 2008, ha rinviato a un
regolamento del ministro/ Miur la definizione dei requisiti, delle modalità di formazione dei
docenti e del reclutamento, prevedendo comunque l’accesso alla professione attraverso
concorsi pubblici da bandire ogni due anni nei limiti delle risorse disponibili. In relazione a
ciò è stato abrogato l’art. 5 della legge 53/03. Ci appare perciò fuorviante recuperare
(come fa il testo in esame) buona parte dei contenuti dell’art. 5 della legge 53/03 e di
dover esprimere un parere su una materia la cui disciplina è regolata da un decreto
ministeriale.
Comunque ribadiamo la nostra posizione.

Per la complessità del ‘mestiere’ e per le competenze oggi richieste al docente, è
necessario che il percorso di studio comprenda una laurea triennale, più un biennio di
specializzazione, specificamente rivolto all’insegnamento. Naturalmente il percorso di studi
è uguale per i docenti di ogni ordine e grado, compresi gli insegnanti della scuola
dell’infanzia: ciò che cambia sono i crediti. Andrebbero perciò individuati, in base all’ordine
di scuola o alle classi di concorso, il numero di crediti formativi universitari di tipo
disciplinare acquisibili nel corso del biennio specialistico.
Non ci appare chiaro perché il comma 3 dell’art.13 limiti alla formazione degli insegnanti
della scuola secondaria di primo grado e del secondo ciclo il principio secondo cui “le classi
dei corsi di laurea magistrale sono individuate con riferimento all’insegnamento delle
discipline impartite nei relativi gradi di istruzione”. Se non si volesse costruire un percorso
di studi uguale per tutti gli ordini di scuola, andrebbe esplicitamente dichiarato,
argomentando nel merito.
Nel percorso di formazione iniziale andrebbero curate in particolare:

- la qualità degli insegnamenti delle didattiche disciplinari: un conto, infatti, è la
competenza storica o linguistica o matematica, altro conto è la capacità di insegnare ai
vari livelli di scuola la storia, la lingua, la matematica. A tal fine andrebbero valorizzate
le competenze presenti nella scuola: si potrebbero selezionare i docenti attraverso
concorsi pubblici e in base a curricoli che attestino le esperienze maturate sul campo;
- la qualità dei laboratori: ai fini di una didattica laboratoriale è fondamentale che sia
limitato il numero degli studenti e che sia centrale l’apporto della scuola, riservando
l’accesso ai docenti che abbiano effettivamente svolto l’insegnamento specifico per un
certo numero di anni;

- la scelta dei supervisori di tirocinio dovrebbe avvenire sulla base di un concorso
pubblico, con esonero o semi-esonero dall’insegnamento, per un tempo non superiore ai
tre anni. L’esperienza svolta dovrebbe valere ai fini dello sviluppo professionale e per
eventuali altri concorsi;
- andrebbero individuate strutture di consulenza e di raccordo per la progettazione,
realizzazione e monitoraggio dei percorsi formativi in grado di far interagire il sistema
universitario e il sistema scolastico. Tali strutture (regionali e/o provinciali) dovrebbero
assicurare anche il monitoraggio e il coordinamento delle Istituzioni scolastiche nelle
quali si svolge il tirocinio degli specializzandi.
La contrattazione di inserimento formativo al lavoro

Non è chiaro se tutti coloro che hanno conseguito l’abilitazione abbiano diritto al contratto
di inserimento. Non si capisce quale sia il criterio in base al quale i docenti sono assegnati
alle scuole richiedenti; né se i concorsi sono per tutti gli abilitati o solo per quelli che
hanno svolto l’anno di applicazione presso quella determinata scuola. Il testo base sembra
far riferimento solo ai nuovi corsi di formazione dei docenti (quelli definiti dall’art. 13), con
l’esclusione dei vecchi abilitati e di coloro che hanno frequentato le SSIS.
Sarebbe opportuno spiegare in che modo i concorsi indetti dalle scuole si coordinino con la
normativa vigente relativa alle assunzioni nelle pubbliche amministrazioni; quale sia la
tipologia di concorso e quale la forma di pubblicità dei bandi.
Non si comprende la differenza che viene fatta nel testo tra anno di applicazione, tirocinio
e praticantato.
Il Cidi è decisamente contrario ai concorsi di Istituto: li ritiene ingestibili e lontani dalla
tradizione scolastica italiana. Con il rischio, tra l’altro, che si possa configurare la
cosiddetta “chiamata diretta” da parte dei Dirigenti scolastici che aprirebbe la strada a quel
processo di privatizzazione della scuola pubblica, presente in molti passaggi del testo base.
Ribadisce pertanto l’opportunità di prevedere l’accesso all’insegnamento attraverso pubblici
concorsi, su scala nazionale e regionale, a garanzia della trasparenza dei meccanismi di
selezione e di reclutamento e a tutela della libertà di insegnamento: libertà regolata, nel
nostro sistema di istruzione pubblico, proprio dai concorsi pubblici.

Albo regionale e organismi tecnici rappresentativi

Il testo base prevede che dopo il conseguimento del titolo di studio richiesto, nonché
dell’abilitazione all’insegnamento, gli aspiranti docenti siano iscritti a un albo istituito
presso gli Uffici scolastici regionali. Tale albo è tenuto dagli organismi tecnici
rappresentativi regionali ed è distinto in quattro sezioni, corrispondenti agli ordini di
scuola, per classi di abilitazione.
La proposta in esame caratterizza tali albi alla stregua degli albi professionali del lavoro
autonomo tenuti, come viene espressamente detto, dagli Organismi tecnici rappresentativi
che, a loro volta, si caratterizzano come struttura organizzativa degli ordini professionali.
Muterebbe dunque con tale proposta la funzione pubblica/istituzionale degli insegnanti.

L’organismo tecnico rappresentativo, infatti, concentra su di sé prerogative tipiche degli
ordini professionali: oltre a provvedere alla tenuta dell’albo, stabilisce i criteri per la
formazione iniziale, l’abilitazione, il tirocinio, il reclutamento dei docenti, definisce gli
standard professionali, redige e aggiorna il codice deontologico, formula proposte e pareri
in merito agli obiettivi del sistema di istruzione, ai criteri di valutazione, esercita poteri
disciplinari sugli iscritti agli albi regionali, tiene una relazione annuale sullo stato della
funzione docente.


Non si spiega però a chi competa la determinazione del numero dei componenti, né se i
componenti siano eletti: si utilizza la formula “dell’adeguata rappresentanza” e “ della
designazione da parte delle associazioni”, senza alcun riferimento al principio di
rappresentatività. Non si dice per quali motivi possa essere esercitata l’azione disciplinare
degli iscritti all’albo. Né si capisce come tutto ciò sia compatibile con la normativa vigente
e con i principi costituzionali.
Certamente, come in tutte le professioni libere, il lavoro degli insegnanti presenta forti
tratti di autonomia decisionale e progettuale e un alto grado di responsabilità. Ma gli
insegnanti esercitano la loro libertà all’interno di un progetto condiviso e sulla base di
finalità stabilite da leggi e sulla base di un mandato costituzionale. È da questo insieme di
norme che si delinea l’ambito della autonomia professionale e della libertà di
insegnamento dei docenti.
Non siamo perciò d’accordo a considerare gli insegnanti “liberi professionisti”.

(3 febbraio 2008)
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