Manifestazione 31 ottobre 2012
cosa chiediamo
La crisi esplosa a livello mondiale nel settembre 2008 ha messo a nudo le criticità di un modello di sviluppo caratterizzato, nello scenario della globalizzazione dei mercati, dalla crescita incontrollata dell’economia finanziaria.
Un modello squilibrato e iniquo già nella sua fase espansiva, basti pensare all’enorme aumento della distanza tra ricchi e poveri che ne è derivata, e ancora più ingiusto ora che i costi più pesanti della crisi che esso stesso ha generato vengono scaricati sulla collettività, e di fatto posti sulle spalle dei più deboli.
Anche in Italia, ove la crisi, a lungo colpevolmente minimizzata, ha colpito un Paese già caratterizzato da:
- un debito pubblico tra i più alti del mondo, dopo un decennio di sostanziale stagnazione economica e con una rilevanza dell’evasione fiscale e dell’ economia sommersa senza pari in Europa;
- un sistema di welfare sociale fragile e disomogeneo, che già nel 2008, prima della crisi, vedeva l’Italia, tra i 27 Paesi dell’Unione Europea:
• al 23° posto nella spesa in favore dei disabili;
• al 25° posto nella spesa a sostegno della disoccupazione;
• al penultimo posto nella spesa a sostegno della famiglia e della natalità;
• ultima nella spesa per il contrasto alla povertà e all’esclusione sociale;
Un contesto che, di fronte alla crisi più pesante dal dopoguerra, che i più convergono nel considerare strutturale piuttosto che ciclica, avrebbe richiesto di affrontare le necessarie scelte di rigore con un respiro più ampio, capace di ripensare il sistema in una ottica di lungo periodo e di equità.
Si è invece scelto, in Europa e in Italia, come chiesto dai mercati finanziari, un approccio tutto inscritto nella cornice del modello economico e finanziario che è andato in crisi: quello pressoché esclusivo delle politiche di rigore finalizzate a rimettere in ordine i conti pubblici, attraverso scelte di taglio lineare della spesa e di pesante incremento dell’imposizione fiscale, con la conseguente progressiva riduzione di quote di reddito per una fascia ampia di lavoratori e di cittadini, certamente non i più abbienti.
E’ il Welfare ad essere individuato come il principale ostacolo all’ordine dei conti; si è detto prima che “la ricreazione è finita”, e poi che “abbiamo vissuto sopra le nostre possibilità”, ed è al welfare che ci si riferiva. E come un lusso, o uno spreco, che non ci si può più permettere, è il welfare ad essere stato progressivamente smantellato in questo Paese.
Prima il sostanziale azzeramento dei Fondi per le Politiche Sociali e per la non autosufficienza, la famiglia, l’infanzia, i giovani, l’inclusione degli immigrati, il taglio ai trasferimenti agli Enti locali. Poi i nuovi pesanti tagli alla spesa sanitaria previsti in agosto nella Legge di Spending Review.
Ora il DdL Stabilità del Governo, che oltre una ulteriore riduzione della spesa sanitaria e delle risorse degli Enti locali, prevede inoltre l’ aumento di 6 punti dell’Iva per le cooperative sociali, rischia di dare il colpo di grazia ai servizi sociali territoriali ed a milioni di persone e famiglie.
Scelte e politiche che, proprio perché il Paese ha bisogno di recuperare rigore, produttività, competitività, e di riprendere a crescere, consideriamo:
- miopi, quando non pericolose, poiché non affrontano e non destinano risorse né al sostegno dei redditi più bassi, né agli investimenti necessari alla crescita, mentre occorrerebbe calcolare i costi materiali, umani e occupazionali derivanti dalla mancanza di una politica preventiva di promozione sociale in termini di spesa assistenziale, previdenziale, sanitaria. Ci accorgeremmo, così come sta avvenendo per la politica di tutela del territorio, che i costi per riparare i danni sono di gran lunga superiori a quelli occorrenti per attuare una politica di prevenzione e di rispetto dei diritti;
- inique, poiché pongono il tema delle compatibilità e della sostenibilità interamente a carico del lavoro, dei servizi ai cittadini, dell’indebolimento dei loro diritti fondamentali, mentre minimo o pressoché nullo è il contributo richiesto a chi detiene grandi patrimoni, alle rendite finanziarie, ai redditi più alti, a quella estesa fascia di evasione fiscale che tuttora caratterizza il Paese. Si sta vivendo una situazione paradossale che non si era mai verificata: al pesante aumento delle tasse corrisponde una diminuzione dei servizi e delle tutele;
- profondamente discutibili nelle scelte di priorità; ancora da definire sono le misure di effettivo contrasto alla corruzione, all’illegalità e all’evasione, che pure pesano enormemente sull’economia italiana e sulle finanze pubbliche, ancora troppo frammentato ed indefinito il percorso ipotizzato di riduzione dei costi del sistema politico; e viceversa si sono confermati compatibili ingenti impegni di risorse per la difesa e i nuovi sistemi di armamento.
Nei fatti, dopo quasi 4 anni, dopo il minimalismo, dopo le ripetute manovre di rigore nella spesa, la crisi in cui il Paese si dibatte, lungi dall’essere in via di superamento, si va piuttosto aggravando.
L’incidenza del debito pubblico sul PIL non è mai stata così alta, l’economia è da tempo stabilmente in pesante recessione. Si allargano i settori e territori in cui la tenuta delle imprese è messa in discussione, sia per il calo della domanda pubblica e privata che per le rigidità di accesso al credito, che non si sono attenuate nonostante le robuste iniezioni di liquidità disposte a favore delle banche, mentre, aldilà degli annunci, niente di rilevante è migliorato quanto ai ritardi nei pagamenti pubblici alle imprese.
La flessione dei consumi interni si acuisce, e viene segnalata come la più rilevante dal dopoguerra. Né potrebbe essere altrimenti, a fronte
- delle centinaia di migliaia di posti di lavoro persi, della diffusione del lavoro precario e di una disoccupazione giovanile e femminile mai così alta;
- della pesante diminuzione del potere d’acquisto delle retribuzioni da lavoro dipendente, sia pubblico che privato e delle pensioni;
- dell’estendersi (per la prima volta dopo molti anni) della fascia di popolazione in condizioni di povertà assoluta, e dell’aumento delle persone e delle famiglie che si sono impoverite in modo significativo
Sentiamo la responsabilità, oltre che la necessità, di chiederci e di chiedere quale futuro si prospetta ai cittadini di questo Paese, e quale Paese potrà uscire dalla crisi.
E’ necessaria una forte correzione della rotta, orientata a impostare un nuovo percorso di sviluppo, nel quale
- la promozione dello sviluppo umano sia non corollario residuale ma parametro sostanziale per le scelte di politica economica e finanziaria;
- la difesa e la garanzia dei diritti fondamentali dei cittadini, alla salute, al lavoro, all’istruzione, a un ambiente sostenibile, alla sicurezza, alla possibilità di vivere in autonomia e dignità la propria vita e a partecipare con responsabilità alla promozione dei beni comuni non sia effetto subordinato e incerto delle politiche economiche e finanziarie, ma ne costituisca il fine e l’obiettivo primario, come la Costituzione prevede.
Serve, a tal fine, che sia effettivamente messa in discussione e superata la sciagurata e davvero datata visione del welfare come solo costo, da tagliare nei momenti di crisi.
Non la teoria ed il richiamo al passato, ma l’evidente nesso tra crescita economica e sviluppo del welfare in contesti sociali più forti del nostro, impone di riconoscere che il welfare e le politiche sociali:
- producono in concreto e direttamente valore economico e occupazione; le centinaia di migliaia di occupati, in larga prevalenza donne e giovani, le decine di migliaia di persone svantaggiate inserite al lavoro, le molte migliaia di imprese diffuse in tutte le aree del Paese, testimoniano che sviluppare welfare e politiche sociali significa dare un contributo sostanziale all’economia del Paese e alla sua crescita.
- supportano con i servizi le persone e le famiglie nelle responsabilità di cura, e rendono nei fatti percorribile l’obiettivo di sviluppare i tassi di occupazione, in primo luogo femminile, che è imprescindibile per la crescita economica del Paese.
- generano legami sociali ed inclusione, cioè coesione e capitale sociale, che anche autorevoli ministri di questo governo hanno riconosciuto essere condizioni necessarie perché la stessa crescita economica sia possibile.
È dunque necessario, e urgente, che gli investimenti per lo sviluppo delle politiche sociali entrino a pieno titolo tra gli interventi finalizzati alla ripresa economica, escludendoli dai vincoli dei patti di stabilità.
Chiediamo al Governo, alle forze politiche, alle Istituzioni di ogni livello di avere coraggio e respiro strategico nella definizione di un rinnovato patto sociale che tra i suoi obiettivi sostanziali ponga:
- il contrasto alla povertà e alle disuguaglianze che si estendono nel Paese e ne mettono in discussione la stessa unità;
- l’innovazione e lo sviluppo del welfare e del sistema di protezione sociale;
- l’attuazione del principio della sussidiarietà come declinato in Costituzione, promuovendo in ogni modo la partecipazione dei cittadini, singoli e associati, nella prospettiva non di una riduzione ma di un allargamento di uno “spazio pubblico” fondato sulla convergente responsabilità delle Istituzioni, dei soggetti sociali e dei cittadini per la tutela e lo sviluppo dei beni comuni.
Sono necessari e urgenti atti concreti che
- definiscano i Livelli Essenziali delle Prestazioni Sociali, scelta cardine di un graduale superamento delle profonde differenze esistenti tra il Centro Nord e il Mezzogiorno, e quadro di riferimento imprescindibile per coerenti politiche di intervento nel sociale da attuare con decisione pur se con la necessaria gradualità;
- mettano mano al rifinanziamento del Fondo Nazionale delle Politiche Sociali, che resta l’unico strumento di finanziamento dei diritti soggettivi e delle politiche sociali nelle Regioni e nei Comuni, recuperando, seppur gradualmente, il miliardo di euro tagliato alle Regioni negli ultimi anni;
Chiediamo che il Governo, in un quadro di necessaria individuazione di priorità, d’intesa con le Regioni e gli Enti Locali:
- presenti il Piano nazionale per la non autosufficienza e avvii il ripristino del Fondo nazionale cancellato nel 2011;
- presenti il Rapporto Sociale Nazionale a complemento del Programma Nazionale di Riforma (PNR), affinché possano avviarsi in concreto misure finalizzate alla riduzione della povertà e dell’esclusione sociale;
- fissi un percorso graduale per raggiungere su tutto il territorio nazionale i tassi di copertura dei servizi per l’infanzia previsti dal QSN (12%) e da Lisbona (33%).
Inoltre è urgente che l’Italia recepisca la direttiva europea sui tempi di pagamento da parte delle PPAA, e vi dia concretamente seguito applicativo.
Siamo nel pieno di una crisi profonda, che cambia il contesto nel quale tutti viviamo e operiamo, e per uscirne in positivo è certamente necessario un impegno largo e comune, in cui trovino spazio effettivo la valorizzazione del ruolo e la ricerca di ogni possibile sinergia con i soggetti sociali ed economici, quali noi siamo, disponibili a spendersi per il perseguimento dell’interesse generale, in un’ottica di matura sussidiarietà fondata sulla responsabilità e la condivisione.
Ma ciò non fa venir meno una responsabilità pubblica, precisa ed ineludibile, cui vogliamo richiamare la politica e le Istituzioni, ad ogni livello: attuare politiche concrete che investano sul futuro del Paese, sulla sua capacità di crescere mettendo al centro le condizioni di vita, l’autonomia e la dignità delle persone, i giovani anche con un servizio civile qualificato e di massa, in coerenza con il dettato costituzionale.
Non si può fare senza investire nel sociale.
E dunque le risorse debbono essere ricercate, attraverso scelte su più piani, articolate nel tempo, coerenti e convergenti con gli obiettivi capaci di dare fiducia e prospettiva a un Paese che appare sempre più ripiegato su se stesso.
Si tratta di operare per destinare allo sviluppo del welfare quote adeguate delle risorse che possono derivare da:
- un costante contrasto all’evasione ed elusione, e politiche fiscali più eque, che prevedano un adeguato contributo anche alle rendite finanziarie e ai grandi patrimoni;
- un effettiva e concreta lotta alla corruzione ed all’illegalità;
- una costante e reale riduzione degli sprechi e delle inefficienze, reimpostando una efficiente e coesa filiera istituzionale;
- misure chiare e percepibili di superamento degli eccessi ormai insopportabili nei cosiddetti “costi della politica”;
- una riorganizzazione degli assetti del sistema sanitario e sociale, di cui, in relazione all’evoluzione dei bisogni di salute dei cittadini, siano assi portanti l’integrazione socio sanitaria e un più equilibrato ed efficace rapporto tra ospedale e territorio, sottoponendo altresì a verifica anche il sistema degli accreditamenti di Ospedali e Case di Cura privati;
- da scelte di progressiva riduzione delle spese militari;
- dal pieno e produttivo utilizzo delle risorse europee.
Roma, 16 ottobre 2012
Altramente; ANPAS - Associazione Nazionale Pubbliche Assistenze; ARCI; Arciragazzi; ASC - Arci Servizio Civile Nazionale; Associazione Antigone; Associazione Nuovo Welfare; Auser; CGIL; Cilap-Eapn Italia; Cittadinanzattiva; CNCA; Conferenza Permanente per la Salute Mentale nel Mondo “Franco Basaglia”; Consiglio Nazionale Ordine Assistenti Sociali; Coordinamento Nazionale Nuove Droghe; Federconsumatori; FISH - Federazione Italiana per il Superamento dell’handicap; Fondazione Franca e Franco Basaglia; Forum Droghe; Forum Nazionale Salute Mentale; FP-CGIL; Gruppo Abele; Grusol; Handy Cup Onlus; INCA; IRES; Itaca - Associazione Europea degli Operatori Professionali delle Tossicodipendenze; Jesuit Social Network Italia Onlus; La Bottega del Possibile; Legacoopsociali; Mama Africa Onlus; Opera Don Calabria; Psichiatria Democratica; La Rivista delle Politiche Sociali; SOS Sanità; SPI-CGIL; Stop OPG; Uisp; UNASAM; Università Del Terzo Settore