DIRPRESIDI: CONTINUA LA GUERRA GIUDIZIARIA
La DIRPRESIDI esprime profondo sconcerto di fronte al decreto del giudice del lavoro di Velletri, del 27.9.11, che ha dichiarato l’antisindacalità della scelta di un dirigente scolastico, con conseguente condanna alle spese, per avere egli escluso dalla contrattazione integrativa d‘istituto le materie elencate nelle lettere h), i) ed m), art. 6, CCNL 29-11-07.
Ha, evidentemente e a giusta ragione, ritenuto il dirigente scolastico che, dopo l’entrata in vigore del d.lgs. 141/11, correttivo-interpretativo della c.d. riforma Brunetta, le predette materie – per come statuito dall’art. 34 del d.lgs. 150/09 – fossero state, indubitabilmente e con immediatezza, attratte nei suoi poteri datoriali in quanto riguardanti, ictu oculi, le determinazioni per l’organizzazione degli uffici, le misure inerenti la gestione dei rapporti di lavoro, in particolare le misure inerenti la gestione delle risorse umane, nonché la direzione e l’organizzazione del lavoro nell’ambito egli uffici.
Il magistrato laziale ha invece deciso – sposando in pieno la stravagante tesi dei sindacati generalisti del comparto scuola – che queste materie non sono solo oggetto di informazione o consultazione (cui eventualmente può seguire un’intesa), mettendo per contro capo a un obbligo di contrattazione (di «contrattazione concordata», a scanso di equivoci!), dovendosi ritenere che le stesse «non rientrino tra le materie demandate dall’art. 34 del d.lgs. 150/09 al potere di definizione unilaterale degli organi di gestione»!!!
E’ di palmare evidenza l’assurdità di questa interpretazione, scorretta ed infedele rispetto all’abbondanza dei dati testuali; sì da spiegare effetti abrogativi – per via giudiziaria – della legge delega 15/09 e del susseguente decreto attuativo 150/09 in parte qua, infine vanificando la citata novella recata dal d.lgs. 141/11.
Ritiene pertanto la DIRPRESIDI che il MIUR deve senza indugi impugnare questo aberrante decreto, a salvaguardia dell’integrità di immagine dell’amministrazione, del rispetto della legge, del prestigio dei dirigenti scolastici perché gli stessi rappresentano in loco l’amministrazione, anzi sono l’amministrazione; magari proponendo al sindacato convenuto il giudizio per saltum in cassazione, che, nell’esercizio della sua funzione nomofilattica, dovrebbe – dopo due anni di altalenanti e contraddittorie sentenze – statuire in via definitiva quali siano le norme di diritto applicabili alla concreta, ed estenuante, fattispecie contenziosa.
Nel frattempo la DIRPRESIDI resta convinta sull’iter che i dirigenti scolastici devono seguire, scontando l’ineludibile rischio di doversi difendere, oltre che dai sindacati di comparto (ex lege «controparte»), dalla stessa amministrazione, se vale ancora l’improvvida nota (AOODGPER 6900/11) dettante minuziose misure «per assicurare un’uniformità di comportamento da parte dei dirigenti scolastici, cui spetta il compito di assegnazione del personale ai plessi e alle sedi staccate»; indirizzata ai direttori generali degli uffici scolastici regionali, supposti superiori gerarchici dei dirigenti scolastici, quindi supposti legittimati al controllo del corretto comportamento dei medesimi, con il conseguente esercizio del potere sanzionatorio in caso di deviazione dagli ordini.
Che fare, allora? Il dirigente scolastico deve aprire formalmente le trattative, nell’apposito tavolo negoziale, con i rappresentanti provinciali delle associazioni sindacali firmatarie del CCNL e con la RSU d’istituto; disdettare il precedente-vigente contratto integrativo se non conforme alle nuove disposizioni imperative; formalizzare una propria complessiva proposta escludente – a suo motivato, e possibilmente verbalizzato, giudizio – le materie (lettere h,i, m – per non dire l – di cui al plurimenzionato art. 6, CCNL 29.11.07) non più contrattabili, senza dover temere denunce per comportamento antisindacale, perché attributario per legge del potere esclusivo di proposta, quindi facoltizzato a qualificare le materie non più oggetto di contrattazione, ovvero a prospettare la propria interpretazione, solo astenendosi dall’agire subito in modo unilaterale qualora la controparte si dimostri pregiudizialmente ostile e/o irremovibile.
In uno o più incontri successivi ravvicinati, in un arco temporale di venti-trenta giorni, se la sua proposta non viene condivisa potrà/dovrà attuare la procedura di cui all’art. 40, comma 3-ter, d.lgs. 165/01, aggiunto dall’art. 54, comma 1, d.lgs. 150/09, che lo legittima a provvedere in via provvisoria sulle materie oggetto di mancato accordo, fino alla successiva sottoscrizione (se mai ci sarà), allegando il fine (generico) di assicurare la continuità e il migliore svolgimento della funzione pubblica.
Certo, non esiste la controprova che così operando il dirigente scolastico possa sentirsi tranquillo, non escludendosi la pretesa di qualche altro giudice adito dalla controparte di imporre comunque una sua interpretazione circa la qualificazione delle materie in concreto contrattabili (e sottratte alla contrattazione), senza timore di invadere – ché non sarebbe la prima volta – un altro potere dello Stato.
Ma l’essere dirigente – e non più funzionario direttivo esecutore di ordini da far eseguire – reca in sé il rischio della decisione. L’importante è che sia adeguatamente motivata, in esito ad una plausibile e coerente attività istruttoria, ciò essendo, in definitiva, la sua sola difesa possibile