di edscuola » 29 giugno 2011, 12:26
DPR Concorsi Università: audizione Anief in Senato
Si è svolta presso la VII Commissione a Roma il 28 giugno 2011 sul regolamento per l'abilitazione scientifica nazionale per l'accesso al ruolo dei professori universitari. Richiesta la valutazione del dottorato e dell’assegno di ricerca, dei contratti di insegnamento. Denunciata la messa ad esaurimento dei ricercatori.
La memoria Anief su Atto n. 372
Schema di decreto del Presidente della Repubblica recante regolamento per il conferimento dell'abilitazione scientifica nazionale per l'accesso al ruolo dei professori universitari
Onorevole Presidente, onorevoli Senatori
lo schema di decreto sottoposto al parere della Commissione intende avviare le procedure di abilitazione scientifica nazionale per l’accesso alla prima e seconda fascia di professore universitario.
Preliminarmente, pertanto, prima di procedere all’analisi del provvedimento, considerata l’analisi tecnico-normativa fornita e l’impatto della nuova regolamentazione in base all’analisi del quadro normativo nazionale, si intende ribadire la posizione dell’Anief contro la messa ad esaurimento del ruolo dei ricercatori a tempo indeterminato. E’ evidente, infatti, che rispetto a una condivisa linea di indirizzo che avrebbe dovuto portare, dalla lettura veloce delle leggi approvate negli ultimi tredici anni (L. 210/1998, L. 230/2005, D.lgs. 164/2006, L. 1/2009) al riconoscimento di una nuova fascia della docenza relativa alla categoria dei ricercatori, si è deciso di cancellarne (messa a esaurimento) o precarizzarne (contratti a tempo determinato) l’esistenza. Tale azione è tanto più negativa, in un momento di esigenza di forte ricambio del turn - over, dovuta anche ai provvedimenti limitativi della fascia di età di permanenza in servizio dei professori universitari (70 anni), di risanamento finanziario dei debiti contratti dagli Atenei e di continua riduzione delle risorse erogate agli Atenei dall’Amministrazione centrale dello Stato. Peraltro, il continuo ricorso alla contrattazione privatistica per assicurare la costante erogazione dell’attività didattica, visto il rifiuto dell’eccessivo carico didattico opposto dai ricercatori a tempo indeterminato, ben lungi dal rispetto del limite legislativo del 5%, sta mettendo a serio rischio l’intera sopravvivenza del servizio nazionale universitario.
Entrando nel merito del provvedimento, rispetto al contesto normativo comunitario e internazionale, si rivela come sia necessario, tra le premesse e comunque nei criteri generali di valutazione previsti dall’articolo 4, inserire un riferimento esplicito alla Carta europea dei ricercatori ovvero alla Raccomandazione della Commissione delle Comunità europee n. 251 dell’11 marzo 2005 riguardante la carta europea dei Ricercatori e un Codice di condotta per l’assunzione dei Ricercatori, come richiamato, peraltro, dall’articolo 18 (chiamata dei professori) e dall’articolo 24 (ricercatori a tempo determinato) della stessa legge 240/2010. In quest’ottica, i criteri per conseguire l’abilitazione dovrebbero tenere in debito conto tra i titoli di accesso anche lo stretto legame tra l’attività di ricerca e di docenza che è stata oggetto di bandi pubblici e di positive valutazioni comparative periodiche. Il dottorato di ricerca, l’assegno di ricerca (già valutabile per l’accesso diretto al secondo triennio dei contratti a tempo determinato di cui all’art. 24, c. 3, lettera b della legge 240/2010, al cui termine è prevista la possibile chiamata ad associato se abilitato) e il contratto d’insegnamento non sembrano adeguatamente valorizzati pur essendo tutti elementi utili per individuare la qualità della prestazione professionale e la nuova figura del docente/ricercatore, che si affiancano all’insieme delle esperienze maturate, alla creatività e al grado di indipendenza raggiunto nella ricerca svolta, come si dovrebbe evincere dal curriculum e dalle pubblicazioni. Seguendo quanto scritto nella stessa Raccomandazione, inoltre, si consiglia di non adottare un criterio espressamente numerico nel numero delle pubblicazione in entrata (12) o massime da presentare, pur essendo tale facoltà - e non obbligo – prevista dal legislatore.
«Ciò significa che il merito dovrebbe essere valutato sul piano qualitativo e quantitativo, ponendo l’accento sui risultati eccezionali ottenuti in un percorso personale diversificato e non esclusivamente sul numero di pubblicazioni. Pertanto, l’importanza degli indicatori bibliometrici deve essere adeguatamente ponderata nell’ambito di un’ampia gamma di criteri di valutazione, considerando le attività d’insegnamento e supervisione, il lavoro in équipe, il trasferimento delle conoscenze, la gestione della ricerca, l’innovazione e le attività di sensibilizzazione del pubblico. […]Ciò comprende qualsiasi attività nel campo della «ricerca di base»; della «ricerca strategica », della «ricerca applicata», dello sviluppo sperimentale e del «trasferimento delle conoscenze», ivi comprese l’innovazione e le attività di consulenza, supervisione e insegnamento, la gestione delle conoscenze e dei diritti di proprietà intellettuale, la valorizzazione dei risultati della ricerca o il giornalismo scientifico».
Alla stessa riflessione, è pervenuto anche il CUN – i cui documenti che oggi si citano, si duole, non sono stati inseriti nel fascicolo analizzato dal Consiglio di Stato, ma sono stati espressi dopo il suo ultimo parere -, pronto a sottolineare tra i criteri l’originalità, il carattere innovativo, l’importanza e il rigore metodologico della produzione scientifica, la varietà anche interdisciplinare delle tematiche trattate, la rilevanza della collocazione editoriale e la diffusione all’interno della comunità scientifica, ad esempio. Per questa ragione si condivide l’assunto secondo cui
“i parametri di natura quantitativa, ove opportunamente e accuratamente definiti e misurati, comunque, dovranno essere impiegati al fine di definire livelli di soglia per la produzione scientifica, al di sotto dei quali un positivo giudizio di merito possa essere formulato esclusivamente in casi eccezionali, associati a risultati di assoluto valore, la cui peculiarità risulti comprovabile mediante evidenze e attestazioni obiettive” (adunanza del 24.V.2011, prot. 786 del 9 giugno 2011).
Queste osservazioni, ovviamente, servono per non disperdere il patrimonio intellettuale e esperienziale costituito dai tanti ricercatori italiani dalla comprovata esperienza, che secondo quanto scritto nella stessa Raccomandazione, diversamente dai «ricercatori nella fase iniziale di carriera», vantano almeno quattro anni di esperienza nel campo della ricerca (equivalente a tempo pieno) a decorrere dal momento in cui hanno ottenuto il diploma che da accesso diretto agli studi di dottorato, nel paese in cui hanno ottenuto la laurea/il diploma, o sono già titolari di un diploma di dottorato, indipendentemente dal tempo impiegato per ottenerlo.
A tal proposito, si ritiene opportuno anche prevedere la valutazione della tesi di dottorato tra i titoli di accesso, come previsto per la valutazione dei ricercatori a tempo determinato, di cui alla lettera c, articolo 24, della legge 240/2010, e già valutabile tra le pubblicazioni per i concorsi a ricercatore a tempo indeterminato di cui al c. 7, art. 1 della legge 1/2009.
Nell’ottica di valorizzare il rientro anche di quei cervelli che hanno acquisito un dottorato di ricerca all’estero, riconosciuto in Italia, si ritiene opportuno prevedere una specifica valutazione.
Sempre sull’articolo 4, si condivide il rilievo mosso dal Consiglio di Stato, secondo cui il o i decreto/i di cui al comma 3 sono di natura regolamentare, come, peraltro previsto dal comma 2 dell’articolo 16 della legge 240/2010; rilievo accolto dall’ufficio legislativo del Miur il 7 aprile 2011, ma non ancora espressamente indicato nel testo in esame. L’accoglimento di questa lettura, però, costringe ad intervenire necessariamente anche sui tempi tecnici di attuazione della norma nella fase transitoria di cui all’articolo 9, dove, pertanto, si consiglia di prevedere tempi più dilazionati, rispetto rispettivamente ai 30 e ai 90 giorni preventivati. D’altronde, lo stesso regolamento dovrebbe definire, sempre su indicazione del Consiglio di Stato, anche i criteri di accertamento della qualificazione degli aspiranti commissari di cui al c. 5, art. 6. La scelta di raccogliere tutti i pareri necessari all’emanazione dei relativi regolamenti, entro i nuovi tempi riformulati, consentirebbe di eliminare le procedure derogatorie di cui ai commi 2 e 3 dell’articolo 9 e permetterebbe per il prossimo biennio la formulazione di commissioni idonee a svolgere il compito valutativo assegnato, anche alla luce dell’importante contributo apportato dalla comunità scientifica internazionale individuata dall’Anvur.
In sintesi, si richiama l’attenzione sulla necessità di
- Inserire un riferimento alla normativa e al contesto comunitario (v. Raccomandazione delle Comunità europee n. 251 dell’11 marzo 2005)
- Esplicitare la natura regolamentare dei decreti recanti criteri di valutazione dei candidati all’abilitazione scientifica nazionale e della formazione delle commissioni di valutazione
- Non prevedere criteri restrittivi relativi alla valutazione del numero delle pubblicazioni, o comunque, prevedere deroghe ai riferimenti numerici in base a criteri ben definiti
- Prevedere l’esplicita valorizzazione dell’attività prestata da dottore di ricerca, assegnista di ricerca o docente a contratto, come del titolo di dottore di ricerca acquisito all’estero
- Eliminare una gestione della fase transitoria incerta nella formulazione delle commissioni che andrebbe a snaturare il nuovo sistema di reclutamento per il prossimo biennio.