Le prove Invalsi sono obbligatorie per le scuole?

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Le prove Invalsi sono obbligatorie per le scuole?

Messaggiodi edscuola » 18 marzo 2011, 8:45

Le prove Invalsi sono obbligatorie per le scuole?
di Laura Paolucci (Avvocato dello Stato)

Come ogni anno, da quando l’Istituto Nazionale di Valutazione del Sistema di Istruzione è comparso sulla scena, all’atto della somministrazione agli alunni, volta a volta considerati, delle verifiche degli apprendimenti dallo stesso Istituto predisposte, nel mondo della scuola si scatenano polemiche tendenti più che a mettere in discussione la congruità nel merito delle stesse ad affermare il ruolo ed il coinvolgimento delle istituzioni scolastiche nella somministrazione stessa.

La valutazione – l’idea stessa di valutazione - spaventa. La valutazione esterna spaventa più di quella interna. La paura di possibili ricadute negative sui docenti i cui alunni non abbiano dato buona prova di sé nelle verifiche chiude il cerchio delle reazioni suscitate dal sistema di valutazione.


Queste allora le domande: può l’istituzione scolastica impedire lo svolgimento delle prove INVALSI? Sono queste obbligatorie? O possono queste invece svolgersi solo se le istituzioni scolastiche lo abbiano permesso? E, in questo caso, quali organi avrebbero la relativa competenza decisionale?ù

Cerchiamo di rispondere a queste domande esclusivamente dal punto di vista giuridico, pur consapevoli che, quale che sia la risposta, gli effetti della valutazione saranno tanto più efficaci quanto più condiviso sia il sistema di valutazione.

L’INVALSI: le sue funzioni pubbliche nelle fonti normative

Gli artt. 3 L. 28 marzo 2003, n°53 (norma di delega) e 3 D.Lgs. 19 novembre 2004, n° n. 286 (norma delegata) attribuiscono all’INVALSI la competenza amministrativa ad effettuare, tra l’altro, “verifiche periodiche e sistematiche sulle conoscenze e abilità degli studenti”.

Tali verifiche sono strumentali al “progressivo miglioramento ed armonizzazione della qualità del sistema di istruzione” (come emerge dall’art. 3, lett. b) L. n. 53/2003). Esse si distinguono nettamente dalle verifiche strumentali alla “valutazione periodica e annuale degli apprendimenti e del comportamento degli studenti”, che lo stesso art. 3, lett. a) L. n. 53/2003 (poi ripreso sul punto dal D.Lgs. n. 59/2004) assegna alla competenza amministrativa dei “docenti delle istituzioni di istruzione e formazione frequentate”.


E’ significativo notare come i due differenti tipi di valutazione da svolgere entrambe sugli studenti (degli apprendimenti e del comportamento, da un lato e delle conoscenze e abilità, dall’altro lato) siano distinti espressamente (per finalità e per “chi” se ne occupa) all’interno di una medesima disposizione legislativa.

La valutazione (delle conoscenze e abilità degli studenti) operata dall’INVALSI e la valutazione (degli apprendimenti e del comportamento) operata dai docenti hanno finalità differenti, sebbene condividano la finalità ultima di elevare il “prodotto” apprendimento.Tale funzione (quella di valutazione delle conoscenze e abilità degli studenti quale elemento rilevante per la valutazione della qualità del sistema di istruzione) è prevista per la prima volta (ed attribuita all’INVALSI) solo con la riforma del 2003 (L. n. 53/2003 e d.lgs. n. 286/2004).

Per convincersi di tutto ciò, oltre alla lettura dell’art. 3 della L. 53/2003, basterà confrontare sinotticamente e diacronicamente la trasformazione delle funzioni dell’Istituto, a partire dalle funzioni attribuite originariamente al Centro Europeo di Documentazione Educativa.

L’art. 290 D.lgs. n. 297/1994 prevedeva:“Il Centro europeo ha il compito di curare la raccolta, l'elaborazione e la diffusione della documentazione pedagogico-didattica italiana e straniera e di condurre studi e ricerche sugli ordinamenti scolastici di altri Paesi con particolare riguardo a quelli della Comunità europea e sull'attività in campo educativo delle organizzazioni internazionali. In particolare il Centro europeo dell'educazione attende a studi e ricerche: a) sulla programmazione e sui costi dei sistemi educativi; b) sulla educazione permanente ed educazione ricorrente anche con riferimento ai rapporti tra formazione e occupazione; c) sui problemi dell'apprendimento e della relativa valutazione; d) sull'innovazione educativa e sull'aggiornamento del personale ispettivo, direttivo e docente; e) sull'impiego delle tecnologie educative”.

L’art. 1 D.lgs. n. 258/1999 prevede:“Il Centro europeo dell'educazione, di cui all'articolo 290 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, …, è trasformato in «Istituto nazionale per la valutazione del sistema dell'istruzione», di seguito denominato Istituto……... L'Istituto, al quale sono trasferite le risorse del Centro europeo dell'educazione, ….. In particolare, l'Istituto valuta l'efficienza e l'efficacia del sistema di istruzione nel suo complesso ed analiticamente, ove opportuno anche per singola istituzione scolastica, inquadrando la valutazione nazionale nel contesto internazionale; studia le cause dell'insuccesso e della dispersione scolastica con riferimento al contesto sociale ed alle tipologie dell'offerta formativa; conduce attività di valutazione sulla soddisfazione dell'utenza; fornisce supporto e assistenza tecnica all'amministrazione per la realizzazione di autonome iniziative di valutazione e supporto alle singole istituzioni scolastiche anche mediante la predisposizione di archivi informatici liberamente consultabili; valuta gli effetti degli esiti applicativi delle iniziative legislative che riguardano la scuola; valuta gli esiti dei progetti e delle iniziative di innovazione promossi in ambito nazionale; assicura la partecipazione italiana a progetti di ricerca internazionale in campo valutativo e nei settori connessi dell'innovazione organizzativa e didattica.



L’art. 3 D.Lgs. n. 286/2004, nell’attuare la delega della ricordata L. n. 53/2003, amplia il quadro delle competenze dell’Istituto nazionale per la valutazione del sistema dell'istruzione, dopo averlo ribattezzato come Istituto Nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione (INVALSI).

L'Istituto: “a) effettua verifiche periodiche e sistematiche sulle conoscenze e abilità degli studenti e sulla qualità complessiva dell'offerta formativa delle istituzioni di istruzione e di istruzione e formazione professionale, anche nel contesto dell'apprendimento permanente. Per la formazione professionale le verifiche concernono esclusivamente i livelli essenziali di prestazione e sono effettuate tenuto conto degli altri soggetti istituzionali che già operano a livello nazionale nel settore della valutazione delle politiche nazionali finalizzate allo sviluppo delle risorse umane; [...] c) svolge attività di ricerca, nell'àmbito delle sue finalità istituzionali; d) studia le cause dell'insuccesso e della dispersione scolastica con riferimento al contesto sociale ed alle tipologie dell'offerta formativa; e) assume iniziative rivolte ad assicurare la partecipazione italiana a progetti di ricerca europea e internazionale in campo valutativo; f) svolge attività di supporto e assistenza tecnica all'amministrazione scolastica, alle regioni, agli enti territoriali, e alle singole istituzioni scolastiche e formative per la realizzazione di autonome iniziative di monitoraggio, valutazione e autovalutazione; g) svolge attività di formazione del personale docente e dirigente della scuola, connessa ai processi di valutazione e di autovalutazione delle istituzioni scolastiche”.

La valutazione dell’INVALSI è funzionale dunque alla finalità di “progressivo miglioramento e dell'armonizzazione della qualità del sistema educativo” (artt. 3 della L. n. 53/2003 e 1 D.Lgs. 286/2004).

Non a caso l’INVALSI opera in qualità di ente strumentale allo svolgimento di una funzione che spetta per legge allo Stato e per esso al Ministro (art. 1 L. n° 53/2003).


Le prove quindi hanno una “vocazione” esterna alla singola istituzione scolastica, servono (devono servire, non possono servire che) ad operare riflessioni in termini sistemici (al fine di una successiva ed eventuale ricaduta su norme o azioni di carattere generale: ad es. programmi, indicazioni didattiche e metodologiche, benchmarking, ecc.): si veda l’art. 3 comma 3 D.lgs. 286/2004: “Gli esiti delle attività svolte ai sensi del comma 1 sono oggetto di apposite relazioni al Ministro, che ne dà comunicazione alla Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281. Le relazioni riferiscono sui risultati e possono segnalare indicatori ritenuti utili al miglioramento della qualità complessiva del Sistema”.


Nessuna disposizione normativa attribuisce invece all’INVALSI un potere di intervento sulle istituzioni scolastiche o sui docenti i cui allievi abbiano ottenuto risultati più scadenti: la “restituzione dei risultati” alle istituzioni scolastiche (“i dati rilevati...appartengono esclusivamente alla singola scuola alla quale verranno restituiti nel modo più disaggregato possibile, cioè secondo la distribuzione delle risposte domanda per domanda”: così testualmente la “lettera di adesione” al Sistema Nazionale di Valutazione del febbraio 2009), costituisce passaggio necessario ad ogni processo valutativo ed ha lo scopo di stimolazione della discussione interna sui risultati, al fine di individuare i punti di forza e di debolezza, di migliorarne l’efficienza o di consolidare i risultati raggiunti, ecc.



L’INVALSI e le istituzioni scolastiche: funzioni degli enti e relazioni organizzative fra gli stessi come oggetto di riserva di legge.

Sotto il profilo formale, comunque, la competenza dell’INVALSI a distribuire agli studenti test per la verifica delle conoscenze e abilità degli stessi deriva dalla legge e, cioè, correttamente dall’unica fonte normativa che (in base alla Costituzione: art. 97, 1° comma) ha la “forza” giuridica di creare gli enti e le loro funzioni, gli organi e le loro competenze (riserva relativa di legge).

Nessuna norma attribuisce questa competenza (diversa essendo la valutazione periodica dell’apprendimento e del comportamento degli studenti spettante ai docenti) alle istituzioni scolastiche. Né conseguentemente agli organi amministrativi (organi collegiali e dirigente scolastico) che tali istituzioni compongono né al personale docente a titolo “individuale”.



Nessuna norma attribuisce “frazioni” di questa competenza né alcun “ruolo” amministrativo alle istituzioni scolastiche i cui studenti siano coinvolti nelle verifiche in questione.

Detto in altre parole, la legge non attribuisce alle istituzioni scolastiche (e dunque agli organi amministrativi di queste o al suo personale docente) un ruolo decisionale in materia.

La relazione organizzativa fra INVALSI e istituzioni scolastiche è qualificabile dunque in termini di autonomia.


Se il legislatore avesse voluto introdurre una relazione organizzativa tra INVALSI ed istituzioni scolastiche diversa da quella, qualificabile in termini di autonomia, derivante dalla attribuzione di funzioni amministrative distinte e parallele, attesa la riserva di legge in proposito, avrebbe dovuto prevedere e disciplinare tale diversa relazione, individuando esplicitamente il ruolo reciproco svolto da un lato dall’INVALSI e dall’altro lato dalle istituzioni scolastiche. Detto in altre parole, avrebbe dovuto prevedere un procedimento amministrativo unitario tendente all’esercizio dell’attività valutativa (determinazione delle prove; forme, tempi e modalità di somministrazione; ecc.), specificando l’allocazione delle competenze decisionali in capo all’uno e agli altri enti: le formule avrebbero potuto esemplificativamente essere, immaginando un determinante ruolo decisionale delle istituzioni scolastiche nell’attuazione della funzione di valutazione rimessa all’INVALSI, quella della funzione consultiva obbligatoria (determinazione delle prove da parte dell’INVALSI, previa espressione di un parere delle istituzioni scolastiche), fino ad arrivare a immaginare la possibile valenza vincolante di detta funzione consultiva (parere conforme, cioè positivo).

Altra forma di relazione organizzativa avrebbe potuto essere espressa in termini di coordinamento, ad es. attraverso lo strumento della convenzione o accordo tra l’INVALSI e le scuole, individuando poi l’oggetto del coordinamento e quindi dell’accordo (il contenuto delle prove o più banalmente il tempo ed il modo della somministrazione delle stesse). Oppure, più semplicemente, tale ipotetica legge avrebbe dovuto attribuire un potere di veto alle istituzioni scolastiche circa la somministrazione delle prove ai propri alunni.

Nulla di tutto ciò, però, è stato previsto.
A questo proposito, potrà significativamente rilevarsi come la disposizione del comma 2, dell’art. 1 del D.lgs. n. 286/2004 (che prevede che al conseguimento degli obiettivi del “progressivo miglioramento e dell'armonizzazione della qualità del sistema educativo definito a norma della legge 28 marzo 2003, n. 53” “concorrono l'Istituto nazionale di valutazione di cui all'articolo 2 e le istituzioni scolastiche e formative, nonché le regioni, le province ed i comuni in relazione ai rispettivi ambiti di competenza”) non disciplina una cogestione nell’attività di valutazione degli apprendimenti spettante all’Invalsi da parte delle istituzioni scolastiche, ma, a conferma al contrario dell’autonomia delle rispettive attività di valutazione in materia, prevede forme di coordinamento attraverso “accordi ed intese” in relazione ad un distinto quanto specifico oggetto che è la “valutazione dell’offerta formativa” al fine della “condivisione dei dati e delle conoscenze”. Afferma infatti la disposizione che l’INVALSI e le istituzioni scolastiche, ma anche le Regioni, le Province ed i Comuni “provvedono al coordinamento delle rispettive attività e servizi in materia di valutazione dell'offerta formativa attraverso accordi ed intese volti alla condivisione dei dati e delle conoscenze”.Se così non fosse, infatti, e si volesse attribuire alla norma una necessaria cogestione nell’intera attività dell’INVALSI da parte delle istituzioni scolastiche, a tale cogestione dovrebbero partecipare anche le regioni, le province ed i comuni, citate assieme alle istituzioni scolastiche che come soggetti interessati alla questione.

Lo scopo della norma è invece quello di prevedere che soggetti diversi (INVALSI, istituzioni scolastiche, enti locali) interessati alla qualità del sistema formativo coordino le “rispettive competenze in materia di valutazione dell’offerta formativa”. Dove “concorrere” e “coordinare” da un lato non significa cogestire un’attività valutativa ordinaria (possibilità esclusa dalla riserva delle “rispettivi ambiti di competenza” contenuta nella disposizione), ma gestirla autonomamente per condividerne i risultati e dove l’oggetto del coordinamento è l’”offerta formativa”.

Per come è disegnata dalla legge, la competenza amministrativa in ordine alle verifiche ed alle prove determinate dall’Invalsi (così come in generale l’intera sua competenza amministrativa) è “allocata” esternamente alle istituzioni scolastiche.

La collaborazione richiesta alle istituzioni scolastiche può essere di tipo meramente materiale nei limiti delle determinazioni variamente adottate dall’INVALSI: distribuzione dei test, vigilanza durante lo svolgimento, raccolta e spedizione, ecc. Nel corso degli anni, peraltro, l’INVALSI ha ridotto le attività richieste in proposito alle istituzioni scolastiche, ad esempio affidando, in tutto o parzialmente, l’attività di somministrazione dei test e di vigilanza durante lo svolgimento della prova non ai docenti in servizio presso le scuola, ma personale esterno.

Paradossalmente, l’INVALSI potrebbe, volendolo, “scavalcare” completamente le istituzioni scolastiche nella realizzazione della propria funzione istituzionale, decidendo di somministrare le prove in un “luogo” diverso dalle sedi e dai plessi scolastici: una simile scelta sarebbe più “complicata” dal punto di vista organizzativo e certamente più costosa, ma sarebbe compatibile con la normativa sopra ricordata.



Ne deriva che è metodologicamente scorretta sul piano giuridico l’impostazione della questione in termini di uso di discrezionalità da parte degli organi dell’istituzione scolastica: la questione, se affrontata in seno di collegio dei docenti, non dovrebbe essere proposta all’ordine del giorno nè successivamente gestita come se quell’organo avesse un potere deliberativo in proposito. Gli organi pubblici, in particolare quelli collegiali, in tanto legittimamente si occupano di temi e ne discutono collegialmente in quanto abbiano (recte in quanto la legge assegni) una competenza amministrativa in materia ed un connesso ruolo. Al di fuori di tale presupposto, ogni decisione assunta sarà inficiata da incompetenza (quale vizio di legittimità dell’atto amministrativo) e così le azioni ulteriori che a tale decisione conseguissero. D’altro canto, la mera discussione del tema senza attivazione della funzione deliberativa è parimenti rischiosa: non in termini di legittimità dell’atto, quanto in termini di corretta ed efficace gestione delle risorse umane (dovere facente capo al dirigente scolastico), essendo che il tempo trascorso per la partecipazione agli organi collegiali rientra fra i doveri di servizio “quantificati” dalla contrattazione collettiva (art. 29, 3° comma, CCNL Comparto Scuola 29 novembre 2007) e che tale partecipazione si suppone funzionale al potere deliberativo dell’organo.

Tale premessa normativa e la sua conseguenza giuridica non sono smentite dalla circostanza che il Ministero dell’Istruzione da un lato (si vedano, da ultimo, le Direttiva nn. 74 e 75 del 2008), e soprattutto l’INVALSI dall’altro lato (si veda la “lettera di adesione” al Sistema Nazionale di Valutazione del febbraio 2009) non si siano espressi, nella presentazione dei progetti di rilevazione degli apprendimenti degli alunni, in termini di doverosa adesione agli stessi da parte delle istituzioni scolastiche, preferendo un approccio soft, di sollecitazione ed invito.

La valutazione de iure condendo...ma non troppo
La valutazione è sul piano legislativo un elemento dell’organizzazione pubblica che tocca il tema della qualità dei servizi, ivi inclusi quelli resi nel sistema scolastico (artt. 2, 4, 25, 45 D.Lgs. n. 165/2001; D.Lgs. n 286/1999): essa misura oggetti diversi, il personale, sotto il profilo della qualità delle prestazioni, e le strutture, in relazione agli obiettivi assegnati così come i risultati, dall’efficienza al soddisfacimento dell’utenza.

L’attuazione di sistemi di valutazione presso le pubbliche amministrazioni è avvenuta “a macchia di leopardo”, fra fughe in avanti e limbiche fasi di arresto. La L. n 15/2009, tesa “all'ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e alla efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni”, torna prepotentemente sul tema, imponendo modifiche ed integrazioni alla disciplina del sistema di valutazione delle strutture e dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche, “con la finalità di assicurare elevati standard qualitativi ed economici dell'intero procedimento di produzione del servizio reso all'utenza tramite la valorizzazione del risultato ottenuto dalle singole strutture”, prevedendo, da un lato, l’obbligo di valutazione di tutto il personale non escluso il dirigente, con garanzia a questo di autonomia nel valutare i propri collaboratori. Ogni amministrazione è obbligata a declinare gli obiettivi da raggiungere per ciascun anno e a consuntivo a verificare quanta parte degli obiettivi sia stata effettivamente conseguita, anche con riferimento alle diverse sedi territoriali. E’ previsto dall’altro lato il potenziamento secondo le modalità stabilite dalla contrattazione collettiva di strumenti di valorizzazione del merito e metodi di incentivazione della produttività.

Si potrà dunque discutere sul “quomodo” della valutazione (peraltro, solo nelle sedi a ciò deputate), ma non certamente sull’”an”: la funzione svolta dall’INVALSI, nel misurare il “prodotto” della formazione (in termini di apprendimento degli studenti, si inserisce in tale quadro, rinvigorito dalla L. n. 15/2009.

E’ del resto auspicabile (oltre che ora imposto a chiare lettere dalla stessa legge) che si possa passare dalla valutazione della “qualità complessiva del sistema educativo” alla valutazione di ciò che è ad essa strumentale, in termini di prestazioni professionali del personale docente e dei dirigenti scolastici, ciascuno nell’ambito della specificità delle ispettive competenze. Ciò è tanto più necessario, ove si ponga mente che l’Italia è l’unico paese europeo, assieme alla Romania ed alla Lettonia, a non avere attivato alcuna modalità di valutazione né individuale né collettiva degli insegnanti (dati riferiti all’a.s. 2006/2007 tratti da Eurydice Italia, Bollettino Informazione Internazionale, Livelli di responsabilità e autonomia delle scuole in Europa, aprile 2009, http://www.indire.it/eurydice/content/index).
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