La sentenza del Tar del Lazio che ridimensiona le competenze degli insegnanti di Religione all’atto degli scrutini ci sembra motivata da una perseverante ostilità di ordine ideologico che non ha niente a che fare con il clima formativo che dovrebbe contrassegnare la scuola.
Non è vero, anzitutto che la sentenza lascia fuori gli IRC in toto dagli scrutini: forse questa prospettiva sarebbe gradita a qualche anima che di laico ha solo il nome, ma che è mossa da un anticlericalismo fuori stagione. In realtà il Tar ha solo escluso che essi possano partecipare “a pieno titolo alle deliberazioni del consiglio di classe concernenti l’attribuzione del credito scolastico agli alunni che si avvalgono di tale insegnamento”.
Resta la gravità per alcuni ordini di motivi:
- Primo, perché la cultura religiosa e i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano (revisione del Concordato del 1985): è su questa base che si fonda l’insegnamento della Religione Cattolica, che ha finalità educative e culturali che si inseriscono a pieno titolo tra gli obiettivi di apprendimento consapevole che la scuola deve fornire ad ogni alunno.
- Secondo, perché l’insegnamento della Religione Cattolica, proprio perché ha come scopo la piena conoscenza del cattolicesimo, è seguito, in molte scuole, anche da non cristiani: colpendo l’IRC si indebolisce una importante veicolo di integrazione.
- Terzo, impedendo l’attribuzione del credito scolastico agli insegnanti di Religione in sede di scrutinio, si danneggiano anche coloro che non hanno scelto questo insegnamento ma si sono avvalsi di attività alternative. Il loro impegno, dunque, non avrà alcun seguito e valutazione.
È proprio il caso di dire: “Dai troppo zelanti ci guardi Iddio…”
FABRIZIO FOSCHI
Presidente nazionale
DIESSE (Didattica e Innovazione Scolastica)