Società Linguistiche: mozione “Cota ed altri n. 1-00033”

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Società Linguistiche: mozione “Cota ed altri n. 1-00033”

Messaggiodi edscuola » 26 novembre 2008, 18:26

SIG - Società Italiana di Glottologia
SLI - Società di Linguistica Italiana
AItLA - Associazione Italiana di Linguistica Applicata
GISCEL - Gruppo di Intervento e Studio nel Campo dell’Educazione Linguistica

A chi ne ha la competenza

Ogg.: Nota tecnica alla mozione “Cota ed altri n. 1-00033”.

Le Società scientifiche sopraelencate, attive nel campo delle scienze del linguaggio in tutti i suoi
ambiti teorici, descrittivi, metodologici e applicati, presentano la seguente Nota tecnica a proposito
del contenuto della mozione “Cota ed altri n. 1-00033” pubblicata alle pp. 133-137 del n. 64 degli
Atti Parlamentari – Camera dei Deputati, XVI Legislatura, Allegato A Resoconti relativi alla seduta
del 9 ottobre 2008. Alla Nota fa seguito un Allegato contenente una serie di osservazioni dettagliate
sul contenuto della mozione in oggetto. Su queste osservazioni dettagliate si basa quanto sostenuto
nella presente Nota.
La mozione “Cota ed altri n. 1-00033” risulta non chiara nelle premesse, poco perspicua nel
metodo, inefficace nella soluzione per le ragioni appresso esplicitate.
In premessa, la mozione:
a. tratta la competenza in italiano e i diversi gradi del suo costituirsi come effetti indifferenziati ed
equivoci della provenienza, della cittadinanza e della stanzialità sul territorio, usando questi
diversi aspetti relativi alla persona come fossero equivalenti e parimenti influenti sulla
conoscenza di una lingua;
b. accomuna fasce di età diverse, non tenendo conto che nella scuola primaria è ancora in corso il
processo di acquisizione spontanea di una lingua e che nella scuola media si devono attivare
strategie di apprendimento per lo sviluppo di competenze linguistiche specifiche per lo studio
delle discipline;
c. fornisce dati statistici sulla presenza complessiva di alunni immigrati, senza differenziare tra
neo-arrivati, presumibilmente non italofoni ma di esigua consistenza numerica, e residenti da
lungo tempo con gradi differenziati di italofonia, che rappresentano la maggioranza;
d. assume le difficoltà di lettura e scrittura come deficit di competenza linguistica in italiano.
Nel metodo, la mozione:
a. non specifica il tipo di conoscenze — linguistiche o altre — di cui si richiede la verifica in test e
prove di valutazione;
b. propone test e prove di valutazione in lingua italiana per bambini e ragazzi non-italofoni;
c. propone una scadenza di ingresso nella scuola con rischio di esclusione dalle classi regolari di
alunni pervenuti oltre quella data anche se parlanti l’italiano;
d. propone una scadenza di ingresso nella scuola col rischio di una persistente esclusione dalle classi
regolari per gli alunni che, non avendo superato i test, sono i più bisognosi di inclusione tra pari
parlanti l’italiano.
Nella parte propositiva la mozione:
a. impegna il Governo a istituire “classi ponte” per l’apprendimento della lingua italiana;
b. non specifica gli obiettivi linguistici delle “classi ponte” e nel “curriculo formativo essenziale”
elenca invece temi e comportamenti relativi all’ambito dell’educazione civica;
c. non considera inoltre con quali strumenti linguistici possano accedere a quei contenuti allievi
parlanti di lingue diverse e di età nella quale è ancora agli esordi il processo di apprendimento di
lettura e scrittura.
Per ovviare alle incongruenze e alla conseguente inefficacia dei provvedimenti auspicati dalla
mozione in oggetto, le sopraelencate Società scientifiche, in linea con alcune considerazioni finali
della mozione in oggetto, avanzano le seguenti proposte:
a. prevedere forme di sostegno linguistico affidato a personale specializzato — l’insegnante di
italiano L2 — la cui presenza nelle scuole andrebbe garantita in numero proporzionale alla
presenza di alunni stranieri, e la cui utilizzazione dovrebbe riguardare sia il normale temposcuola
nelle classi per favorire l’ “immersione”, sia i corsi pomeridiani di approfondimento e
perfezionamento della lingua italiana;
b. promuovere la sinergia positiva instauratasi tra i centri di ricerca, le scuole e il territorio, per
coinvolgere gli allievi non-italofoni e le loro famiglie in un processo produttivo di interscambio
linguistico e culturale;
c. verificare le ricadute sociali positive nel medio e lungo termine dei progetti di accoglienza di
allievi non-italofoni nelle scuole, giustificando così l’impiego delle necessarie risorse.
Le Società scientifiche sopraelencate invitano pertanto coloro che ricoprono incarichi di
rappresentanza a riformulare la mozione qui in discussione in termini più consoni alla realtà dei fatti
e a promuovere iniziative legislative atte a meglio coordinare le iniziative già in atto presso
numerosi Uffici Scolastici Provinciali ai fini dell’integrazione scolastica e linguistica di allievi non
italofoni.

Allegato alla Nota tecnica di SIG, SLI, AItLA, GISCEL
A. Il problema
La materia oggetto della mozione è, nei suoi termini più generali, l’inserimento di allievi bambini e
adolescenti non-italofoni nelle classi della scuola primaria e secondaria di primo e secondo grado
corrispondenti al loro stadio di sviluppo linguistico, cognitivo e sociale, con l’obiettivo di favorirne
la massima integrazione scolastica, primo passo verso la conquista di una piena cittadinanza.
Le Società scientifiche sopraelencate rilevano a questo riguardo come il problema sia posto in
termini non chiari e parzialmente fuorvianti nelle premesse della mozione.
(a) Il gruppo di destinatari della mozione, ovvero allievi non-italofoni, non è definito in maniera
univoca, come si converrebbe a un testo normativo. In particolare si nota l’alternanza di
espressioni quali “alunni stranieri” (l’espressione più utilizzata, p. es. p. 133, colonna 2,
capoverso 1), e di: “alunni con cittadinanza non italiana” (p.es. p. 134, colonna 1, capoverso
2); “nomadi” (p.es. p. 134, colonna 1, capoverso 4); “minori di origine immigrata che nascono
in Italia o comunque frequentano l’intero percorso scolastico” (sic!, p. 134, colonna 2,
capoverso 3, e altrove); “bambini immigrati” (p.es. p. 124, colonna 2, capoverso 6); “bambini
stranieri, ma anche nomadi o figli di genitori con lo status di rifugiati politici” (p. 135.
colonna 1, capoverso 1); “studenti non italiani” (p. 135, colonna 2, capoverso 5); “molte
diverse cittadinanze” (p. 136, colonna 1, capoverso 2 e altrove). La terminologia utilizzata
accomuna provenienza geografica, origini familiari, possesso di cittadinanza e carattere di
stanzialità o meno sul territorio, oscurando così il tratto rilevante che è quello della
conoscenza della lingua italiana, che distingue, ancorché a livelli diversi, parlanti che hanno la
lingua italiana come lingua materna da parlanti che non hanno l’italiano come lingua materna.
(b) Il gruppo di destinatari della mozione, inoltre, non è definito in maniera univoca per quanto
riguarda le fasce di età. Nel caso delle fasce di età relative alla scuola primaria, il contatto con
l’italiano L2 avviene quando è ancora in corso l’acquisizione della lingua materna, e quando
le competenze linguistiche da sviluppare sono soprattutto le abilità comunicative
interpersonali di base, che possono essere sviluppate nell’arco di due o tre anni, se favorite dal
contatto con i pari, poiché riguardano una lingua concretamente legata al contesto
comunicativo. Nelle fasce di età più alte, corrispondenti alle classi della scuola secondaria di
primo e secondo grado, il contatto avviene in condizioni cognitive, sociali e linguistiche
diverse: l’acquisizione della lingua materna è quasi del tutto stabilizzata ed emerge la
necessità di acquisire competenze linguistiche in italiano L2 più elaborate e sofisticate di
quelle interpersonali di base. Per poter studiare, comprendendo ed esprimere attraverso la
lingua attività cognitive fortemente astratte e indipendenti dal contesto di comunicazione,
l’allievo straniero ha bisogno di un periodo di formazione di 4 o 5 anni. In ragione di queste
diverse condizioni di contatto con l’italiano occorrerà sfruttare in misura diversa l’input
nativo spontaneo offerto in classe dagli insegnanti e dai compagni e l’input derivante dall’uso
dell’italiano per lo studio, necessario ad acquisire conoscenze.
(c) Il gruppo di destinatari della mozione, infine, non è definito in maniera univoca per quanto
riguarda la sua consistenza in termini statistici. Le percentuali riportate a p. 133 (colonna 2,
capoversi 1, 2, 3), a p. 134 (colonna 1, capoversi 1, 3, 5, 6) vanno scorporate per rendere
conto del gruppo effettivo di allievi che, essendo da poco o appena entrati in contatto con
l’italiano, affrontano il problema dell’apprendimento dell’italiano, con le differenze relative
alle fasce d’età illustrate al punto (b) qui sopra. Poste queste considerazioni, i dati relativi al
successo scolastico di allievi “stranieri”, secondo la terminologia delle premesse della
mozione in oggetto, riportati alle pp. 134 (colonna 1, capoverso 1), 135 (colonna 2, capoverso
2 e 5) e 136 (colonna 1, capoverso 1), abbisognano di essere scorporati e rianalizzati per poter
essere utilizzati con profitto ai fini di una migliore comprensione del problema affrontato.
Analogamente vanno riconsiderate, alla luce delle osservazioni qui avanzate le affermazioni
contenute alla p. 133, colonna 1, nei capoversi 2, 3, 4.
(d) Il problema che si vuole affrontare è riassunto nell’espressione “diverso grado di
alfabetizzazione linguistica” (p. 133, colonna 1, capoverso 2 delle premesse). L’espressione si
riferisce però alle capacità di lettura e scrittura in una determinata lingua —qui si intende
l’italiano— e non designa quindi il problema nella sua interezza, che è quello della
competenza linguistica in italiano. Non si tiene poi in nessun conto il fatto che gli allievi non
italofoni sono in realtà spesso mediamente alfabetizzati in una o più lingue diverse
dall’italiano. Tali lingue sono scarsamente valorizzate nell’orizzonte linguistico della nostra
scuola, che è orientata a favorire l’acquisizione di lingue comunitarie.
Le premesse alla mozione in oggetto contengono anche osservazioni di fatto non pertinenti e quindi
irrilevanti per il problema toccato e che non vale qui la pena di commentare. Si tratta di: (i) la
“grande attualità” dei dati “sulla presenza di alunni nomadi” (p. 134, colonna 1, capoverso 4); (ii)
“le gerarchie istituzionali ecc.” (p. 135, colonna 1, capoverso 3); (iii) “la pedagogia interculturale
ecc.” (p. 135, colonne 1 e 2, capoversi 4 e 1 rispettivamente).
B. Il metodo
Le Società sopraelencate rilevano che il metodo proposto per affrontare il problema e rispetto al
quale la mozione vuole impegnare il Governo è piuttosto incongruente rispetto all’obiettivo di
favorire la promozione dell’acquisizione dell’italiano ai fini, almeno dichiarati, di una armonica
integrazione.
(a) Del tutto inappropriato appare il perno della proposta, ovvero la subordinazione
dell’autorizzazione all’ingresso degli studenti “stranieri” (ovvero: non italofoni) al
superamento di test e specifiche prove di valutazione (p. 136, colonna 1, ultimo capoverso).
Tali prove —si dice— riguardano l’accesso alle scuole di ogni ordine e grado, ma di esse non
si specifica l’obiettivo, ovvero se mirino a testare la competenza linguistica in italiano o altri
tipi di conoscenze, senza per altro considerare le diverse competenze, abilità e conoscenze da
presupporre in base all’età degli allievi. Se, come si è argomentato nella parte A di questo
Allegato, pur non essendo chiaro quale sia il gruppo di destinatari inteso nella Mozione,
questo va individuato negli allievi non-italofoni neo-arrivati, ne deriva anche il problema della
lingua in cui formulare i test.
(b) Molto problematica nella fase applicativa è la scadenza del 31 dicembre di ogni anno per
l’ingresso di allievi “stranieri” (cioè non italofoni) nelle scuole del Paese (p. 136, colonna 2,
capoverso 2). Tale scadenza, obbligatoriamente in relazione con i test e le prove di
valutazione non meglio specificati di cui si è detto qui al punto (a), si traduce in un dannoso
ritardo per gli alunni che non dovessero superare i test entro quella data. Questi, stando alla
proposta della Mozione in oggetto, dovranno rimanere in classi separate per tutto il resto
dell’anno scolastico, classi nelle quali evidentemente non sono previsti i normali contenuti
disciplinari. In tal modo si approfondiscono le distanze e i dislivelli, viene meno la fruizione
di input e di interazione linguistica con i coetanei italofoni e le “classi di inserimento”
diventano di fatto, al di là delle intenzioni, delle “classi differenziali” in cui viene
momentaneamente sospeso, o pericolosamente reinterpretato, il diritto all’istruzione sancito
dalla nostra Costituzione, oltre che da dichiarazioni internazionali sui diritti dei bambini,
anzitutto dalla “Convenzione sui diritti dell’infanzia”, varata nel 1989 dall’Organizzazione
delle Nazioni Unite.
(c) Le “classi ponte” di cui si propone l’istituzione per gli allievi “stranieri” (cioè non italofoni)
che non superano le prove e i test di cui si è detto al punto (a) di questa sezione (p. 136,
colonna 2, capoverso 1) sono apparentemente limitate all’insegnamento dell’italiano. Questo
deve però essere commisurato con i diversi tipi di apprendimento specifici di età diverse, con
l’importanza dell’input dei pari e l’accelerazione alla socializzazione/integrazione che questo
rappresenta. Inoltre in esse dovrebbero essere inseriti bambini e ragazzi di età e livelli di
apprendimento anche molto diversi tra loro. Infatti non è plausibile che ci possano essere
classi omogenee per età e/o livello vista l’esiguità dei numeri, che porterebbe a prevedere
classi di una o due unità. Tutto ciò rende la proposta inefficace e inattuabile.
(d) L’incongruenza della proposta della mozione è aggravata dall’indicazione di un “curricolo
formativo essenziale” delle classi ponte (p. 136, colonna 2, capoverso 3 e sgg.). Qui scompare
la lingua italiana e si elencano temi oggetto di studio (punto a della lista) insieme a
comportamenti (punti b, d, e) che sono anche oggetto dell’iter scolastico “standard” di allievi
italofoni di certe fasce d’età nell’ambito più generale dell’educazione civica. La proposta non
considera con quali strumenti linguistici possano accedere a quei contenuti gli allievi, per
definizione parlanti di lingue diverse e di età nella quale è ancora agli esordi il processo di
apprendimento di lettura e scrittura. Ciò aggrava l’inefficacia e l’inattuabilità della proposta
della Mozione, anche senza tener conto di formulazioni incomprensibili in questo contesto
come il riferimento all’ “interdipendenza mondiale” indicato come punto c) del curriculo.
C. Le proposte
Le Società sopraelencate sono consapevoli che da anni (almeno dalla C.M. 8/9/1989, n. 301) il
problema di alunni non italofoni nelle classi è all’attenzione delle scuole e delle istituzioni
territoriali, che hanno risposto proponendo soluzioni differenziate. Non a caso l’Osservatorio
nazionale per l’integrazione degli alunni stranieri e l’educazione interculturale attivato presso il
Ministero dell’istruzione nel suo rapporto del 2007 specifica le azioni da intraprendere come segue:
“La prima necessità è quella di portare a sistema e di diffondere la conoscenza delle situazioni positive e
consolidate, in termini di: modalità di
collaborazione interistituzionale (protocolli tra enti locali e scuole, vademecum operativi); azioni
realizzate; integrazione delle risorse; elaborazione e diffusione di materiali e strumenti; coinvolgimento
delle associazioni, delle comunità immigrate, delle famiglie straniere; coinvolgimento dei mediatori
culturali, formazione degli operatori e dei docenti” (v. www.istruzione.it).
Il riordino della materia è, dunque, auspicabile purché fatto a partire dalle esperienze maturate sul
campo, generalizzando le buone pratiche ed eliminando errori e inefficienze. Da anni sono in atto
iniziative di inserimento degli alunni non-italofoni nelle classi da parte di soggetti istituzionali
(scuole, Centri Territoriali Permanenti) grazie all’apporto finanziario degli Enti locali e al sostegno
organizzativo di molti Uffici Scolastici Regionali e Provinciali. Tali iniziative sono sempre state
accompagnate da momenti di formazione degli insegnanti nell’ambito di corsi di aggiornamento
diffusi in tutto il territorio nazionale, nonché da piani di alfabetizzazione linguistica diversificati per
livello di competenza in italiano L2 e per lingua materna degli apprendenti. Si ricordano qui, a puro
titolo di esempio: il progetto pilota Azione Italiano L2: lingua di contatto, lingua di culture che ha
coinvolto nel biennio 2004-2005 21 centri universitari; il progetto ALIS “Apprendimento
dell’italiano lingua seconda”, che è stato avviato fin dal 1998 dall’Ufficio scolastico provinciale di
Bergamo in collaborazione con la locale Facoltà di Lingue e letterature straniere e ha addestrato
maestri e insegnanti di ogni disciplina all’insegnamento in classi multilingui; l’esperienza di ricerca
e formazione Qui è la nostra lingua condotta dall’Università di Roma Tre in collaborazione con il
Comune e destinata a insegnanti e alunni della città di Roma.
La sinergia positiva instauratasi tra i centri di ricerca e le scuole ha inoltre portato all’istituzione
di Master universitari, di primo e di secondo livello, resi possibili anche dal retroterra di conoscenze
acquisito in diverse iniziative di ricerca di base sulle tappe e le modalità dell’acquisizione spontanea
dell’italiano (anzitutto il ‘Progetto Pavia’, dal nome dell’Università capofila, cui hanno collaborato
nel tempo le università di Pavia, Bergamo, Milano-Bicocca, Modena-Reggio, Padova, Siena,
Verona, Vercelli).
Da queste esperienze è emerso ed è stato confermato il risultato che l’acquisizione di una L2 è
tanto più ‘facile’, rapida, completa quanto più giovane è l’età del soggetto apprendente, e quanto più
piena è l’immersione nella nuova realtà linguistica e culturale. Tale ‘piena immersione’ (studiata
fuori d’Italia in paesi tradizionalmente bilingui come il Canada) facilita non solo il processo di
acquisizione della lingua seconda, ma anche i processi di socializzazione e di reciproca conoscenza,
premessa indispensabile alla costruzione di una società complessa e multietnica come si avvia a
diventare l’Italia. È pertanto opportuno che si continui ad immettere i bambini e gli adolescenti nonitalofoni
nelle classi normali. Inoltre si dovrebbe poter disarticolare le classi in certi momenti
attentamente programmati dell’attività scolastica, quando certi contenuti disciplinari,
linguisticamente troppo impegnativi, escluderebbero di fatto i non-italofoni neo-arrivati dalla loro
corretta fruizione. Ma con tutta evidenza esistono nelle classi ore di educazione fisica, di inglese o
altre lingue straniere, di matematica, di informatica e certo di altro, che potrebbero essere
immediatamente accessibili a tutti, con qualche forma di sostegno.
Le criticità emerse nell’attuale sistema possono essere affrontate prevedendo forme diversificate
di sostegno linguistico affidato a personale specializzato, con l’istituzionalizzazione della figura
dell’insegnante di italiano L2, la cui presenza nelle scuole andrebbe garantita in numero
proporzionale alla presenza di alunni stranieri, e la cui utilizzazione dovrebbe riguardare non solo il
normale tempo-scuola, ma anche i corsi pomeridiani di lingua italiana, alla cui frequenza sarebbero
obbligatoriamente tenuti, su decisione del consiglio di classe, tutti gli allievi che hanno poca o nulla
conoscenza dell’italiano, e che si potrebbero immaginare aperti anche ai genitori degli alunni.
Tenendo conto che tutti i docenti veicolano contenuti attraverso la lingua italiana, svolgendo la
duplice funzione di insegnante disciplinare e insegnante di italiano L2, occorrerebbe prevedere una
formazione adeguata nella didattica dell’italiano L2 per tutti i docenti di ruolo.
Un tale approccio al problema avrebbe come risultato la promozione dell’accoglienza del neoarrivato
, facendo tesoro delle esperienze positive già attuate, estendendole a tutto il territorio
nazionale, con il vantaggio di razionalizzare la spesa richiesta per affrontare l’integrazione degli
allievi non italofoni neo-arrivati. Oggi molte istituzioni scolastiche si organizzano autonomamente a
tale riguardo, chiedendo finanziamenti e/o insegnanti di supporto (“facilitatori linguistici”) alle
realtà territoriali. L’allestimento di Laboratori permanenti di Lingua italiana, dislocati in modo
razionale nel territorio, appoggiati a singole scuole ma con un bacino di utenza più vasto, come già
sperimentato nei comuni di Firenze e Padova, costituirebbe un’organizzazione più coerente e più
proficua delle risorse impegnate. I Laboratori verrebbero frequentati dopo l’orario scolastico da
allievi non italofoni provenienti da diverse realtà scolastiche, che, divisi in gruppi omogenei per età
e livello di competenza dell’italiano, seguirebbero corsi di lingua appositamente strutturati e
finalizzati sia alla prima comunicazione sia al primo incontro con le discipline scolastiche.
Tali proposte si inseriscono nell’alveo di iniziative già in atto da tempo per superare il problema
affrontato dalla Mozione in ottemperanza ai fini istituzionali della scuola, agente primo di sviluppo
linguistico, trasmissione di conoscenze, aggregazione sociale in preparazione alla vita adulta, e per
sua natura aliena dalla “politica di «discriminazione transitoria positiva», a favore dei minori
immigrati” propugnata a p. 234, colonna 2, penultimo capoverso. Tali iniziative hanno trovato
recentemente sistematizzazione sia nelle “Linee guida per l’accoglienza e l’integrazione degli
alunni stranieri” emanate dal Ministero dell’Istruzione, dell’università e della ricerca scientifica nel
febbraio 2006, sia in “La via italiana per la scuola interculturale e l’integrazione degli alunni
stranieri”, documento emanato dal Ministero della Pubblica Istruzione nell’ottobre 2007, a cura
dell’Osservatorio nazionale per l’integrazione degli alunni stranieri e per l’educazione
interculturale.
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