ANDIS: Documento 7 marzo 2008

Rassegna Stampa e News su Scuola e Sindacato

ANDIS: Documento 7 marzo 2008

Messaggiodi edscuola » 10 marzo 2008, 16:04

ELEZIONI POLITICHE 2008
DOCUMENTO DEL DIRETTIVO NAZIONALE ANDIS

Di fronte alla prossima scadenza elettorale – che presenta molti elementi di novità sul fronte degli schieramenti, ma che non sembra invece assumere nei contenuti tutta la drammaticità dei problemi che attraversano la scuola italiana - l’ANDIS ritiene utile e necessario sottoporre a tutte le forze politiche il punto di vista su tali questioni dei dirigenti scolastici, cioè di chi è chiamato a coniugare quotidianamente le aspirazioni delle comunità con le concrete disponibilità delle risorse umane, normative ed economiche.

L’EMERGENZA FORMATIVA NEL NOSTRO PAESE

L’ANDIS ritiene che il problema fondamentale sia quello di rispondere, con la più ampia convergenza possibile, all’emergenza formativa che attraversa il nostro paese, ricostruendo un patto di rinnovata fiducia tra le famiglie, gli studenti, il sistema delle imprese, gli operatori scolastici, i media e il mondo della politica.
Educare alla cittadinanza - uno dei temi forti delle Indicazioni Nazionali per il primo ciclo – significa formare al principio di responsabilità verso la cura di ciò che possiamo individuare come bene comune, inteso come centralità della persona, dialogo tra le identità e le diverse ragioni e culture, rispetto delle regole del vivere e del convivere. Per molti versi, infatti, siamo in un periodo caratterizzato dal prevalere della cultura dell’interesse e del diritto individuale, della non curanza verso l’etica pubblica, in cui il modello di genitorialità dominante è quello di assicurare ai figli un appagamento soggettivo e non quello di farli crescere nel rispetto dei valori comuni. D’altra parte, richiamare il “valore educativo” della scuola vuol dire prendere atto del fatto che, se compito specifico della scuola è quello di istruire, non si può ignorare il peso determinante che hanno gli orizzonti ideali, i grandi riferimenti, i comportamenti di cui la professionalità docente è veicolo. Dice Umberto Galimberti, nel libro "L'ospite inquietante" (Feltrinelli), che una delle cause più profonde del disagio giovanile delle cui manifestazioni sono piene le cronache, sta nel disinteresse emotivo e intellettuale dell'insegnante, che finisce con il trasmettere allo studente, tra i banchi di scuola, “solo quanto di più lontano e astratto c'è in ordine alla sua vita, in quella calda stagione dove il sapere non riesce, per difetto di trasmissione, a diventare nutrimento della passione e suo percorso futuro". Ciò rimanda al recupero di un impegno civile e umano senza di cui è impossibile un impegno riformatore.
A questa emergenza non si risponde tanto con misure ordinamentali – peraltro continuamente rimesse in discussione – ma aggredendo i nodi cruciali della serietà, dell’equità e dell’utilità della formazione ai fini della crescita umana e civile delle persone, nell’ambito di un più generale recupero del merito come fattore di mobilità sociale.

“Serietà” non vuol dire, come troppo spesso si equivoca, ritorno al passato, ma recupero di un impegno soggettivo e di una professionalità qualificata nel quadro delle indicazioni offerte dall’Unione Europea, misurandone i risultati e liberando chi vi opera dall’assillo burocratico di un contenzioso amministrativo più attento ai cavilli burocratici che alla legalità.

“Equità” vuol dire che la Repubblica deve saper garantire ad ogni cittadino le stesse opportunità assicurando a tutti un servizio di qualità. Per esempio, partendo dalla ormai improrogabile generalizzazione della scuola dell’infanzia e dal soddisfacimento del bisogno sociale del tempo-scuola come tempo necessario per compensare il condizionamento sociale e le “nuove povertà culturali”, che il rapporto PISA confermano essere drammaticamente presenti in Italia assai più che negli altri paesi OCSE, appare opportuno lo sviluppo del modello pedagogico del tempo pieno.

“Utilità” vuol dire ristabilire un equo rapporto tra meriti acquisiti a scuola e collocazione nella scala del riconoscimento sociale e retributivo: per questo è necessario che le forze sociali e politiche riconoscano nei fatti la centralità della conoscenza: da un lato razionalizzando con coraggio e decentrando il sistema del finanziamento alle scuole; dall’altro restaurando il principio delle assunzioni per merito e non per appartenenze, in tutti i campi della pubblica amministrazione e dell’imprenditoria privata.


L’AUTONOMIA AL BIVIO: RILANCIO O FALLIMENTO

Non si tratta di un problema solo italiano. In realtà sta emergendo con tutta la sua forza nel mondo l’interrogativo circa il modo con cui oggi si possa rispondere ad una domanda formativa sempre più complessa in un contesto sociale in cui l’incertezza del futuro, il crescente deficit educativo delle famiglie (vecchie e nuove), la crisi delle modalità di apprendimento connesse alla parola scritta sequenzialmente organizzata provocano nei giovani una caduta verticale di motivazione.
Uno degli esiti più significativi di un recente Convegno ANDIS cui hanno partecipato esperti europei, è stato proprio l’identificazione dell’autonomia come lo strumento-chiave adottato un tutta l’Unione Europea per adattare flessibilmente l’offerta formativa ad una utenza sempre più differenziata sia in rapporto alle diverse provenienze sociali e culturali, sia in relazione alla compresenza di diverse qualità dello sviluppo tecnologico e del mercato del lavoro, sia al diffondersi di percorsi formativi sempre meno sequenziali. Ciò non implica affatto (non deve implicare) l’adozione di politiche di disinvestimento e di incentivazione di vere e proprie “apartheid” di fatto, come per molti versi sembra stia accadendo nel nostro paese a causa della incapacità di operare scelte che non siano di puro e semplice contenimento della spesa. Al contrario, si tratta di porsi all’altezza di una sfida che chiede di ragionare non in termini di percorsi lineari ma ricorrenti, riorganizzando il sistema per metterlo in grado di riconoscere e valorizzare le competenze acquisite in diversi contesti, con particolare riferimento alla questione – drammatica nel nostro paese – dell’educazione degli adulti.
Proprio per questo è necessario ed urgente riproporre il valore culturale di fondo della decentralizzazione e dell’autonomia intese come articolazioni dello stato democratico capaci di leggere ed interpretare il mutamento sociale, di insegnare attraverso la progettazione, di organizzare e gestire le risorse economiche e di personale (come già nel regolamento dell’autonomia!) in maniera coerente a questa impostazione, di mettere in campo strumenti di valutazione dei risultati conseguiti e delle prestazioni. Questo è il modo specifico con cui la scuola oggi può concorrere alle scelte che indirizzano in un modo piuttosto che in un altro lo sviluppo di un certo territorio e può esercitare un ruolo politico, insieme a tutta una serie di altri attori: dagli enti locali alle imprese, dalle associazioni sindacali alle strutture sanitarie…
Per esercitare questo ruolo, tuttavia, appare necessario che il soggetto scuola trovi forme autonome di rappresentanza che non si identificano in organi collegiali territoriali - che afferiscono più alla sfera della partecipazione che della gestione – ma in un associazionismo che, come quello espresso dagli Enti Locali negli ultimi anni - costituisca per i decisori politici e per la stessa Amministrazione una indispensabile interlocuzione tecnica.

AUTONOMIE E DECENTRALIZZAZIONE

E’ chiaro che l’autonomia scolastica ha senso solo in un quadro di reale decentralizzazione dell’ordinamento e di attuazione piena del Titolo V della Costituzione, che assegna alle Regioni e alle Province le competenze sulla programmazione dell’offerta formativa e sull’assegnazione delle risorse. Non è compatibile con questa prospettiva il permanere di una struttura centrale che abbia compiti diversi dall’indirizzo e dal controllo. Gli Enti Locali, il mondo del lavoro, della ricerca, della scuola e della Formazione Professionale sono chiamati in questo scenario alla costruzione di forme integrate di collaborazione tra saperi, tecnologie e territori e in questo senso dovrebbe anche andare una seria riforma degli organi collegiali. La presenza di un ambito in cui si discutono le domande e si decidono e si contribuisce a decidere le strategie formative non contrastano affatto, ma anzi presuppone, l’esercizio pieno delle competenze professionali specifiche dei docenti e dei dirigenti, in una dimensione che è del tutto incompatibile con il permanere di derive individualistiche e disgregatrici.

L’autonomia però deve essere messa in condizione di funzionare. Se non si vuole che prendano sempre più piede impossibili nostalgie centralistiche, vanno radicalmente modificati i criteri per l’assegnazione delle risorse, rompendo il legame storico con l’organizzazione per classi e cattedre; vanno riconosciute le funzioni di coordinamento didattico e organizzativo; va rapidamente creata una rete di servizi (amministrativi, di supporto alla ricerca e alla didattica, per il contenzioso) che supportino il lavoro delle singole istituzioni scolastiche; va incoraggiato e valorizzato il processo di costruzione dell’associazione delle scuole autonome.

La Conferenza Unificata Stato-Regioni va riconosciuta non soltanto come indispensabile interlocutore ma come strumento prezioso di rinnovamento e patrimonio di competenze ed esperienze, spesso assai più aggiornate di quelle del ministero e sempre più direttamente a contatto con le urgenze della realtà sociale e produttiva. Il processo di trasferimento delle competenze previsto nel master-plan recentemente approvato va rapidamente implementato con le necessarie misure di accompagnamento e di razionalizzazione delle strutture periferiche dello Stato. La Conferenza Unificata va anche sostanzialmente coinvolta nel processo di riforma dell’istruzione tecnica e professionale, realizzando una sintesi tra le competenze tecniche degli specialisti della formazione e quelle di chi, dall’interno delle diverse filiere produttive, segnala le caratteristiche dei profili più avanzati, che conferiscono i vantaggi competitivi più forti e stabili. Come ha dimostrato in maniera forte e condivisa il convegno ANDIS tenutosi nello scorso novembre a Legnano, è necessaria un’analisi attenta dei diversi mix tra tecnologia e scienza che caratterizzano i diversi processi produttivi di beni e servizi e la costruzione sul territorio di imprese integrate in cui la formazione culturale (non l’addestramento puro e semplice!) venga riconosciuta nel suo valore professionale, e il lavoro sappia esplicitare la sua valenza formativa.
Questo vuol dire abbandonare il mito di una scuola autosufficiente e capace – in virtù del valore automotivante delle discipline – di restaurare antiche regole e rassicuranti uniformità.

4. IL RUOLO DELLO STATO E LA VALUTAZIONE DI SISTEMA

Il rilancio dell’autonomia esige che lo Stato, nel quadro della definizione dei Livelli Essenziali di Prestazione, definisca urgentemente le competenze-chiave ai diversi livelli di scolarità non come semplice repertorio, ma come esiti formativi necessari a garantire i diritti di cittadinanza e i livelli-soglia per l’accesso al lavoro. Le competenze identificate nel Regolamento dell’Obbligo di Istruzione, così come i traguardi forniti dalle Indicazioni Nazionali per il primo ciclo, vanno perciò verificate nel loro intreccio con le abilità e le conoscenze, secondo quadro previsto dalle Raccomandazioni europee.
Su questa base va effettuata una coerente valutazione del sistema da parte di un organismo, effettivamente indipendente dall’Amministrazione che

• incentri la sua attività di ricerca sulla definizione di parametri di valutazione, per mettere le scuole nella condizione di autovalutarsi e fornisca consulenza su come devono essere allocate le risorse perché si ottengano risultati più equi e migliori;
• utilizzi personale personale tecnico specificamente formato a tal fine;
• istituzionalizzi un sistema di testing per valutare gli alunni in determinati momenti del corso di studi o in determinate classi. E’ importante che, sia pure con scansione non necessariamente annuale, la verifica riguardi l’intero universo delle scuole;
• renda pubblici i risultati delle valutazioni , mettendo in luce il peso e le relazioni tra le risorse disponibili, i processi di insegnamento/apprendimento e le caratteristiche del territorio.
5. LA VALUTAZIONE DEL PERSONALE E LA VALORIZZAZIONE DELLE PROFESSIONALITA’
L’autonomia, d’altra parte, deve potersi avvalere della prestazione di professionisti della formazione autorevoli, colti e socialmente riconosciuti.
Il dirigente scolastico è non solo il garante della legittimità e della correttezza degli atti e delle procedure, ma anche il professionista che garantisce la finalizzazione dell’organizzazione al conseguimento dei risultati e la presenza della scuola nella programmazione dell’offerta formativa sul territorio. Su questi aspetti deve avere a disposizione strumenti e poteri coerenti e quindi deve essere valutato da un organismo terzo. E’ doveroso sottolineare – senza alcun accento corporativo – che appare del tutto ingiustificabile che non sia stata ancora attuata l’equiparazione retributiva dei dirigenti scolastici con le altre dirigenze dello stato.
Il docente che opera nella scuola autonoma è il professionista riflessivo critico che fa della sua competenza disciplinare un terreno di continua investigazione, di continua esplorazione nel tentativo di dare risposte alle domande cruciali: che cosa è importante insegnare? Perché è importante insegnarlo? Come è possibile trasformare l’insegnamento in apprendimento efficace per una generazione che è immersa nella civiltà dell’immagine e che corre il rischio di avere con la cultura un approccio di tipo solo consumistico? Ciò significa collocare davvero al centro la relazione con gli studenti e di fare riprendere la zona di “ricerca e sviluppo” della scuola autonoma il ruolo che ha drammaticamente perso negli ultimi anni.
Il personale ATA, che ha visto radicalmente mutare il proprio profilo in questi ultimi anni a causa dell’informatizzazione del servizio e dell’accresciuta necessità di documentazione di tutta l’attività scolastica, deve trovare una fisionomia tecnica adeguata alle nuove necessità
Non va infine trascurato il problema della dirigenza tecnica e per la quale di recente è stato bandito un concorso che, se teoricamente avrebbe potuto mettere un freno alle nomine politiche, che a parere dell’ANDIS non dovrebbero in nessun caso oltrepassare la soglia della prima fascia, dall’altro prescinde completamente dalla necessaria ridefinizione di un profilo professionale che oggi affastella funzioni tra loro diverse come quelle del formatore, del valutatore e dell’ispettore amministrativo-contabile. Su questo tema, il giudizio dell’ANDIS è quindi nettamente negativo e viene ribadita la richiesta di una seria e radicale revisione della figura in direzione del sostegno dell’autonomia nell’ambito di una possibile articolazione dell’area della dirigenza scolastica.

Perché questa valorizzazione delle scuole autonome sia possibile, è assolutamente necessario realizzare due condizioni: da un lato attuare forme di valutazione delle prestazioni individuali negli stessi termini in cui essa avviene in qualunque altra alta professionalità: il giudizio dei pari, degli utenti e dell’Amminstrazione; dall’altro ridefinire le modalità di prima formazione e di reclutamento del personale.
Per raggiungere questo obiettivo non basta il ripristino, pur necessario, di meccanismi concorsuali rigorosi, ma è indispensabile creare un circolo virtuoso di collaborazione tra la ricerca accademica, le professionalità della scuola e l’associazionismo professionale, come ormai non avviene ormai più da tempo. Per quanto riguarda il nodo cruciale della questione docente, si tratta infatti di formare e selezionare degli specialisti non corrispondenti a un profilo di libero professionista, il quale da solo intrattiene dei rapporti contrattuali più o meno negoziati con dei soggetti, ma ad un profilo di operatore altamente qualificato inserito all’interno di un apparato organizzato finalizzato alla progettazione e alla realizzazione di un servizio pubblico.

NON RIPARTIRE DA ZERO

Occorre cambiare molte cose, ma la scuola non può ripartire da zero ad ogni cambio di governo. E’ necessario invece individuare, a partire da quello che c’è, alcune questioni nodali su cui verificare la possibilità di realizzare la più ampia convergenza:

1. Mentre è matura la generalizzazione della scuola dell’infanzia, occorrerà riprendere la discussione sugli assetti organizzativi ed ordinamentali del primo ciclo, sia sulla base dei risultati della sperimentazione biennale delle Indicazioni per il curricolo, sia sulla base dell’indagine OCSE-PISA (che assegna all’Italia uno degli ultimi posti ai quindicenni) e dell’indagine PIRLS (che assegna il quarto posto all’Italia alla classe di età dei nove anni)
2. Un piano di effettiva realizzazione degli obiettivi previsti dal regolamento dell’obbligo di istruzione dotandolo da un lato di un piano di formazione obbligatoria che parta dalle buone pratiche e le diffonda; dall’altro, che renda possibile la necessaria flessibilità organizzativa con l’introduzione di forme di organico funzionale. In tale contesto, pur nel rispetto del principio che tutti i debiti debbono essere recuperati, va rivista la normativa sul recupero dei debiti, che appare difficilmente sostenibile sul piano organizzativo e quindi scarsamente efficace,
3. Uno sviluppo aperto e visibile, con un ruolo reale della Conferenza Unificata, della questione relativa alla riforma dell’istruzione tecnica e professionale quinquennale, riconoscendo alle regioni la titolarità della FP, fermo restando l’obbligo di rispetto delle competenze, conoscenze e abilità fissate nel regolamento dell’obbligo di istruzione e facendo salva la possibilità che le Regioni possano realizzare convenzioni con gli istituti statali in funzione di supplenza della mancanza di adeguate strutture di FP. In tale contesto è necessaria la stabilizzazione e la generalizzazione di corsi di istruzione tecnica superiore non accademica, non come prolungamento degli attuali istituti tecnici, ma come consorzi tra scuole, imprese e centri di trasferimento tecnologico
4. Il completamento del decreto istitutivo dei Centri Autonomi per l’Istruzione degli adulti con la definizione di criteri specifici di assegnazione dei dirigenti scolastici e l’adozione di forme specifiche di reclutamento e di stato giuridico, sia per quanto riguarda i docenti.
5. il trasferimento alle regioni delle competenze relative all’assegnazione delle risorse a completamento di quelle relativa alla programmazione dell’offerta formativa territoriale, contestualmente alla declinazione da parto dello Stato dei Livelli essenziali delle Prestazioni e dei necessari strumenti di controllo.
6. Il rafforzamento perciò – e l’adozione di misure tali da renderlo effettivamente “terzo” - dell’INVALSI, affidandogli i compiti sopra delineati di valutazione di sistema
7. La riforma dello stato giuridico dei docenti introducendo forme di valutazione, valorizzazione dei meriti professionali e diversificazione delle funzioni, obbligatorietà della formazione in servizio
8. L’equiparazione della dirigenza scolastica con le altre dirigenze dello stato
9. L’adozione di Centri di servizio a sostegno delle scuole autonome, con particolare riferimento al contenzioso
10. L’adozione di una legge a sostegno dell’associazionismo delle scuole autonome

L’impegno che si chiede al nuovo governo, quale che sia la sua composizione, è di assumere il mondo della formazione, i suoi operatori e i suoi utenti, come interlocutori essenziali non solo sul versante sindacale della contrattazione delle condizioni di lavoro, ma anche su quello della discussione e delle definizione delle politiche educative. Negli ultimi anni si è dovuto registrare uno scadimento da parte dei decisori della capacità di ascoltare e comprendere il punto di vista di chi è chiamato a tradurre in pratica le scelte e ne vede professionalmente le implicazioni organizzative.
E’ vero che a volte questa necessità di fare i conti con la realtà rischia di trasformarsi in pregiudiziale diffidenza verso il cambiamento, ma è anche vero che è noto come il dirigente sia la figura-perno dell’innovazione: ascoltarlo e convincerlo, perciò, non è un lusso ma una necessità.
(approvato all’unanimità)
Vico Equense, 7 marzo 2008
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