ANP: La scuola nella XVI legislatura

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ANP: La scuola nella XVI legislatura

Messaggiodi edscuola » 28 febbraio 2008, 8:50

La scuola nella XVI legislatura
Proposta Anp

1. Una scuola per quale Paese.
Nel dibattito sulla condizione della scuola, tutti si dicono d’accordo sulla valenza strategica
dell’istruzione per il futuro del Paese. Ma quando si va alle scelte da compiere ed agli strumenti
per metterle in atto, ci si divide su tutto.
La sensazione è che la radice del dissenso sia più profonda: che non attenga cioè alla scuola
quanto al modello di Paese che si ha in mente.
Una profonda contraddizione ha segnato gli ultimi dieci anni: da una parte si è scelto, anche a
livello costituzionale, il modello della sussidiarietà e delle autonomie; dall’altra si è praticato un
fortissimo neocentralismo. Con il risultato di aumentare nettamente i costi della
amministrazione e di far scendere ulteriormente l’efficienza dell’apparato pubblico.
La scuola è uno dei casi particolari di questa contraddizione. Dichiarata autonoma nel 1997,
inserita come tale nel nuovo testo costituzionale del 2001, non è mai stata tanto etero-diretta
e soffocata da direttive e vincoli come negli ultimi anni. Emblematico il fatto che vi siano state
in dieci anni tre riforme degli ordinamenti, tutte rimaste sulla carta ed abrogate “a priori”,
prima di qualunque verifica della loro eventuale efficacia. E sono rimasti inascoltati i periodici
allarmi dell’OCSE sul crescente distacco del nostro sistema di istruzione nei confronti
internazionali con Paesi che la scelta dell’autonomia l’hanno fatta (e praticata) davvero.
L’Anp afferma che è giunto il momento di una svolta. Una svolta che non richiede l’ennesima
legge sugli ordinamenti, ma solo l’attuazione delle norme fondamentali che già esistono, solo
alleggerite da tutta la sovrastruttura di natura secondaria e amministrativa che si è incrostata
su di essa fino a soffocarla.
Occorre dare fiducia al Paese ed occorre dare fiducia alla sua scuola. Occorre chiamare
ciascuno alla responsabilità di contribuire al buon funzionamento dei servizi che lo riguardano.
Il centralismo ha fallito. Non ha garantito l’uguaglianza delle opportunità, non ha garantito
l’efficienza e non ha neppure ridotto le disuguaglianze locali e sociali: basti pensare all’abisso
che divide, nelle rilevazioni OCSE-PISA, il Nord-Est dalla Sardegna.
La verità è che il centralismo, nelle attuali condizioni storiche, economiche, culturali e politiche,
non può funzionare. Va semplicemente superato, attuando la Costituzione. Esiste anche una
legge, da tutti dimenticata, di attuazione del Titolo V: basta applicarla.
Il primo passo, il più importante, da compiere è quello di attuare con coerenza le
scelte costituzionali adottate: un Paese che pensa nel futuro ed agisce nel passato
non ha prospettive e non è in grado di darle al proprio sistema formativo.
Ad una tale coerenza non giovano le contrapposizioni pregiudiziali di schieramento:
serve un patto civile. A tutte le parti che scendono in campo in vista della XVI
Legislatura repubblicana, l’Anp chiede di sottoscriverlo: che si tratti di larghe intese
complessive (se tale sarà la volontà degli elettori), o di uno spazio civile sottratto
alle contese di parte, se sarà confermata la logica maggioritaria. Di questo spazio
protetto deve far parte anche la scuola.
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2. Quali leggi per la scuola
Alla scuola non servono nuove leggi: ne ha già troppe, stratificate e contraddittorie. Serve
liberare (dalle sovrastrutture in cui è stata ingabbiata) l’unica vera riforma di cui abbia bisogno
e che già esiste sulla carta: quella dell’autonomia.
Per far questo, servono alcune, poche, condizioni di contesto:
- la determinazione di obiettivi di apprendimento in termini di competenze verificabili, sul
modello utilizzato dagli organismi internazionali di rilevazione, di cui anche l’Italia fa parte;
- la messa a regime rapida di un sistema nazionale di rilevazione degli apprendimenti. I
risultati devono essere restituiti alle scuole e servire al riorientamento della loro attività. La
norma base già esiste: basta attuarla, dotando l’INVALSI delle risorse necessarie e di
direttive chiare;
- l’introduzione di un sistema di test nazionali periodici, al termine delle scansioni principali
dei percorsi di studio;
- un sistema di valutazione sistematica delle prestazioni professionali di tutto il personale
della scuola, accompagnato dalle opportune azioni di formazione in servizio;
- un sistema di carriera professionale dei docenti, basato sulla valutazione del merito
individuale e che incida in modo significativo sia sulla retribuzione che sullo status;
- la radicale potatura degli ordinamenti esistenti, eliminando tutti quelli volti al controllo
centrale delle procedure e rafforzando quelli rivolti al monitoraggio dei risultati;
- la restituzione alle scuole della piena autonomia nel governo delle proprie risorse, ivi
incluse quelle di personale;
- un notevole incremento delle risorse finanziarie per le spese diverse da quelle di personale,
da attribuire alle scuole su base capitaria (una quota per alunno) e sotto forma di budget
indiviso.
Il sistema centrale deve assegnare obiettivi da raggiungere, attribuire i mezzi per
farlo (risorse e strumenti di governo), e verificare i risultati. Con le conseguenti
assunzioni di responsabilità, in positivo ed in negativo, per gli operatori. La scuola
non cresce se non è messa in condizione di decidere e di rispondere.
Inoltre:
- i piani di studio esistenti vanno ridotti drasticamente di numero, accorpando tutti quelli che
si collocano all’interno di una stessa area formativa e derubricando ad opzioni alternative
le differenze interne;
- l’orario obbligatorio di insegnamento va ridotto a non più di mille ore l’anno, di cui almeno
un quarto (nelle scuole secondarie superiori) costituito da opzioni. Attualmente, alcuni
indirizzi superano le 1200;
- Il numero delle materie da seguire contemporaneamente per ciascun alunno non deve
superare le otto;
- contenuti, metodi, tempi vanno totalmente rimessi all’autonomia delle scuole: con l’unico
vincolo di raggiungere alle scadenze periodiche dei test nazionali i risultati di competenze
minimi attesi. E con il mandato di ottenere risultati significativamente superiori al minimo
per il venti per cento almeno dei propri studenti.
- le scuole per cui, nelle rilevazioni INVALSI, si accertino apprendimenti inferiori alle attese
ed alle medie di riferimento (per territorio, per tipologia di istituto, ecc.) dovrebbero
obbligatoriamente adottare una strategia di rientro, da comunicare alle famiglie e da
completare entro tre anni. Rimessa alla loro autonomia, ma con assunzione di
responsabilità per dirigenti e docenti.
- gli istituti tecnici e professionali devono fruire di una specifica autonomia per le proprie
scelte di formazione: margini più ampi per le opzioni (almeno il quaranta per cento negli
ultimi tre anni), organi collegiali che vedano la presenza di rappresentanti del mondo
produttivo di riferimento, flessibilità nel calendario scolastico, alternanza scuola lavoro.
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3. Quali docenti per la scuola autonoma
Da troppo tempo, la gestione delle risorse umane nella scuola non ha più nulla a che vedere
con le necessità di un apprendimento di qualità e la natura di un servizio di formazione
funzionale allo sviluppo del Paese.
Da otto anni non si svolgono concorsi: e l’ultimo è stato in realtà un esame di abilitazione a
ruoli aperti, che si trascina ancora oggi una coda di quasi trecentomila aspiranti alla nomina. I
quali scorrono lentissimamente verso il ruolo unicamente sulla base dell’anzianità di servizio e
del trascorrere del tempo. Nessuna differenza per il merito o le competenze, che nessuno si è
più preoccupato di accertare. Il precedente concorso – l’ultimo a ruoli chiusi – risaliva ad altri
otto anni prima. Questo significa che da sedici anni non si fa più un vaglio serio circa la
preparazione e i prerequisiti di chi aspira all’insegnamento. Si fa solo gestione del precariato.
Quando arriva il loro turno, gli insegnanti vengono attribuiti alle scuole dall’amministrazione,
senza alcun riguardo al piano formativo di ciascuna di esse e solo scorrendo le graduatorie. Il
risultato è che le scuole non possono elaborare un proprio progetto che risponda alle istanze
del territorio, poiché il progetto lo fanno gli insegnanti che casualmente vi sono assegnati.
Il trattamento economico è modesto in assoluto ed ha tutte le connotazioni di un salario
impiegatizio: aumenti solo per anzianità, ad intervalli di sei-sette anni, non connessi al merito
ed alle prestazioni, né tanto meno all’eventuale demerito. Nella pratica un disincentivo a fare di
più e meglio.
La cosiddetta incentivazione equivale al 3% scarso del monte salari; è distribuita in seguito a
contrattazione e non sulla base di valutazione delle prestazioni; è commisurata solo alla
quantità delle ore prestate e non ai risultati ottenuti; non si accompagna ad alcuna
valutazione. Di fatto, è una modesta integrazione salariale, che tende a distribuirsi con criteri
di equità e non di efficacia.
Il quadro è completato da un sistema disciplinare di fatto inesistente, o comunque fortemente
inceppato dalle procedure ed esposto ad infinite istanze di contenzioso. A docenti cui si nega lo
status e la retribuzione da professionisti, che non vengono riconosciuti per il merito, dei quali si
incentiva solo il disimpegno, è comprensibile che si offra la contropartita di non rispondere dei
propri errori. Ma questo non fa che saldare il cerchio di una condizione non professionale. Non
è con questa filosofia di gestione delle risorse umane che si assicura la qualità della scuola.
L’Anp sostiene una linea del tutto diversa.
- Gli aspiranti alla docenza devono essere formati in sede universitaria in stretto
collegamento con le scuole (anche attraverso il tirocinio valutato), abilitati e certificati con
esami pubblici ed iscritti in albi professionali;
- le scuole devono poter attingere a questi albi per la chiamata diretta dei docenti di cui
hanno bisogno, nei limiti dell’organico assegnato, ma con libertà di scelta di quelli che
risultino funzionali al proprio progetto ed ai bisogni del territorio;
- si deve istituire, per legge, una carriera professionale dei docenti, che preveda almeno tre
livelli, a numero chiuso, adeguatamente differenziati sotto l’aspetto retributivo. Dall’uno
all’altro si procede per selezione comparativa, basata sulla valutazione dei risultati e sulla
formazione, nei limiti dei posti disponibili. Alle funzioni di coordinamento e di
collaborazione interne alle scuole si deve poter accedere solo dai livelli successivi a quello
iniziale;
- il lavoro dei docenti deve essere valutato, sia ai fini della progressione di carriera che ai
fini dell’incentivazione economica; la quale non deve essere oggetto di contrattazione, ma
strumento di gestione, sia pure con le opportune forme di trasparenza;
- deve istituirsi un codice deontologico della professione docente, specificamente disegnato
per la funzione; su di esso deve fondarsi un nuovo codice disciplinare, che non riguardi più
unicamente mancanze di tipo amministrativo o impiegatizio, ma responsabilità connesse
con la natura professionale del compito. Le procedure devono essere snelle e trasparenti;
svolgersi interamente all’interno della scuola di appartenenza; gli eventuali ricorsi essere
ammessi solo in sede giurisdizionale.
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In sintesi, occorre porre le condizioni per reclutare i migliori ed i più motivati, non
solo i più anziani. Occorre valutare e riconoscere il merito; occorre retribuirli come
professionisti ed essere esigenti nei loro confronti in misura corrispondente alle
contropartite che si offrono. Lo scambio al ribasso fra alti numeri di assunti,
retribuzioni modeste e responsabilità nulle ha generato l’attuale situazione di
emergenza educativa.
4. Quali dirigenti per una scuola efficace
Secondo la norma, il dirigente della scuola è il solo responsabile della gestione delle risorse
finanziarie e strumentali ed esercita autonomi poteri di direzione, coordinamento e
valorizzazione delle risorse umane. La realtà è alquanto diversa:
- le risorse strumentali (cioè, sostanzialmente, gli edifici e gli impianti) sono di proprietà
degli Enti Locali, i quali assicurano anche (quando possono) la manutenzione ordinaria e
straordinaria. E’ sotto gli occhi di tutti la situazione di un gran numero di scuole, nelle quali
sembra essere difficile persino la semplice messa a norme di sicurezza. Questo accade per
mancanza di fondi, ma anche per incuria, o per la lontananza del soggetto gestore, che si
traduce in inefficienza e discontinuità degli interventi;
- le risorse finanziarie assegnate alle scuole hanno subito un taglio del 70% dopo il 2001.
Gran parte di quelle che arrivano sono (o erano) vincolate a specifici fini: a tal punto che
solo lo 0,4% della spesa ministeriale per l’istruzione era affidato alle scelte delle scuole
autonome e dei loro dirigenti (valutazione MPI relativa al 2006).
La finanziaria 2007 ha in parte modificato le regole, introducendo un unico capitolo di
entrata nei bilanci scolastici. Si è trattato di una scelta apprezzabile in linea di principio,
ma che non si è accompagnata ad una realistica valutazione dello stanziamento
necessario, confermato nella stessa misura dell’anno precedente. Il risultato è stato
paradossale: tolti i vincoli di destinazione, le spese per le supplenze (drasticamente
sottofinanziate) hanno assorbito tutte le risorse disponibili, comprese quelle provenienti
dai contributi delle famiglie: ed a volte neppure questo è bastato. Ciò in quanto le regole
per il conferimento delle supplenze sono vincolate da un regolamento ministeriale e da
accordi sindacali, che non tengono alcun conto del budget disponibile e che quindi non
permettono di “fermarsi” fino a quando non si sono coperte tutte le assenze o non si è
esaurita la disponibilità finanziaria. Di autonomia del capo di istituto in questo ambito, non
si vede traccia;
- le risorse umane sono governate soprattutto dai contratti nazionali e da quelli integrativi,
oppure dagli uffici periferici dell’Amministrazione. Non è nella disponibilità del capo di
istituto nessuna delle leve di governo normalmente disponibili per la gestione del
personale: non il reclutamento, non la valutazione, non l’incentivazione e neppure la
disciplina (i suoi poteri diretti in questo campo sono limitati al rimprovero scritto).
Sono invece tutte vigenti ed applicate le norme che prevedono la responsabilità legale del
dirigente: da quelle per la sicurezza a quelle per la tutela dei dati sensibili, da quelle per il
contenzioso di lavoro a quelle per la comunicazione dei contratti ai centri per l’impiego. Tutte
norme per la cui inosservanza sono previste pesanti sanzioni pecuniarie, che il dirigente
sostiene personalmente, essendogli fatto divieto di porle a carico dei bilanci delle scuole. Ci si
trova, quindi, in una situazione di responsabilità senza poteri, o con poteri molto limitati.
Quel che l’Anp ritiene necessario è che – come in ogni sistema ben regolato – le
responsabilità si accompagnino ai poteri per farvi fronte. Il che significa, nel caso della
scuola:
- il finanziamento deve essere onnicomprensivo e privo di vincoli, ma determinato sulla base
della serie storica del fabbisogno di spesa e non della speranza di realizzare consistenti
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economie). Si considera auspicabile che il criterio di base sia quello capitario,
eventualmente integrato da correttivi di compensazione per situazioni di particolare criticità
ambientale o sociale;
- la manutenzione ordinaria degli edifici deve essere affidata al dirigente della scuola,
insieme con una dotazione finanziaria anch’essa determinata sulla base della serie storica
(del fabbisogno e non delle assegnazioni effettive);
- si deve progressivamente passare al reclutamento diretto del personale da parte delle
scuole, con l’intervento diretto (anche se non esclusivo) del dirigente, entro i limiti di
organico assegnati. In prima istanza, questa facoltà deve riguardare tutto il personale con
rapporto a tempo determinato e tutto quello necessario per l’attuazione della quota locale
del curricolo (20%);
- tutto il personale deve essere valutato, con il concorso del dirigente, sia ai fini dello
sviluppo di carriera (vedi sopra), sia per individuare e correggere tempestivamente
eventuali criticità professionali o comportamentali;
- le risorse attribuite per l’incentivazione devono essere utilizzate sotto la responsabilità del
dirigente, che sarà valutato per i risultati ottenuti;
- il sistema disciplinare va gestito dal dirigente a livello di scuola, per tutte le tipologie di
sanzioni previste dall’ordinamento e dai contratti, fatta salva la possibilità di ricorso alle
tutele ordinarie previste dalle leggi sul lavoro.
5. Quale trattamento per i dirigenti
Nei quasi otto anni trascorsi dall’attribuzione giuridica della qualifica dirigenziale ai capi di
istituto, ben tre governi (di diversa estrazione politica: Amato nel 2000, Berlusconi nel 2001,
Prodi nel 2007) hanno assunto e rinnovato l’impegno alla loro equiparazione economica
rispetto agli altri dirigenti delle pubbliche amministrazioni. Impegno finora non onorato e del
quale non vi sono neppure le premesse nella Finanziaria 2008.
Sembra perfino inutile elencare le ragioni a sostegno della richiesta: le mansioni sono quelle di
tutti gli altri dirigenti; il profilo è definito dal D.Lgs 165/01 come collocato all’interno della
qualifica dirigenziale dell’amministrazione scolastica periferica; la nota sentenza del Consiglio di
Stato n. 13/2004 ribadisce tale collocazione; la descrizione delle funzioni contenuta nell’art. 25
del citato DLgs. 165; e si potrebbe continuare.
Va aggiunto che i dirigenti delle scuole, in quanto collocati al vertice delle rispettive
amministrazioni, esercitano funzioni e responsabilità che molti loro colleghi dei Ministeri non
hanno: dalla titolarità del rapporto di lavoro ai fini prevenzionistici, alla titolarità dei rapporti
sindacali, alle responsabilità per la tutela dei dati, al contenzioso.
A fronte di tutto questo, la loro retribuzione di posizione è tuttora collocata su livelli molto
lontani da quelli medi della dirigenza amministrativa, con ingiusta penalizzazione.
Penalizzazione che si ripercuote su un’implicita, ma non per questo meno evidente,
collocazione gerarchica nei confronti degli uffici periferici dell’amministrazione. E che si
traduce, a sua volta, in una deminutio dell’autonomia dell’ufficio cui sono preposti, cioè delle
scuole.
La richiesta che ne consegue è semplice e lineare: si assicurino, fin dal prossimo
contratto, le risorse economiche necessarie a chiudere un divario ingiustificabile. I
semplici rinnovi contrattuali quadriennali hanno rivelato i loro limiti, in quanto si limitano ad
applicare la stessa percentuale di maggiorazione a basi di partenza diverse. In conseguenza,
ad ogni contratto, la forbice, anziché ridursi, si allarga maggiormente.
Occorre quindi un intervento ad hoc, che prima allinei le retribuzioni a quelle degli altri profili
dirigenziali; e solo dopo si potrà attuare la logica del recupero parallelo dell’inflazione
programmata.
Febbraio 2008
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Iscritto il: 3 ottobre 2007, 11:30

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