PROFESSIONE INSEGNANTE: Appello ai media

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PROFESSIONE INSEGNANTE: Appello ai media

Messaggiodi edscuola » 27 settembre 2010, 11:20

Appello ai media del Responsabile nazionale di Professione Insegnante, prof Libero Tassella

“Le scuole sono la nostra scommessa”, ha affermato di recente Roberto Natale della Federazione Nazionale della Stampa, denunciando la crisi dell’informazione e una eccessiva “coincidenza della agenda politica italiana con quella dei giornalisti”.
Anche a nostro avviso è necessario richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica democratica all’assunzione di responsabilità e a un atteggiamento ineludibile e improcrastinabile verso il devastato mondo della scuola.
Siamo governati da un inedito regime reazionario di massa per il quale la democrazia e le sue forme sono ostacolo insormontabile.
Un regime che ha indebolito il Parlamento, la magistratura, l’informazione e, soprattutto, la scuola.
Ad essa va restituito uno spazio di ampia discussione che televisione e giornali non le concedono.
Perché raccontare la scuola significa anche sollevare un problema che altrimenti rischia di rimanere sconosciuto, significa richiamare alle proprie responsabilità nei confronti di un licenziamento di massa che non ha precedenti nella storia della nostra Repubblica, significa lanciare un grido d'allarme quando persino la nostra azione, l'azione di chi fa la scuola e la vuole migliorare è resa difficile dall’ostracismo e dall’insensibilità delle parti sociali e della politica.
Per questo Professione Insegnante è impegnata in un'azione di stimolo costante nei confronti dei mass media affinché non tralascino di informare sulla condizione in cui versa la scuola statale. Condizione che si riflette sulla qualità dell’istruzione, sulle aspettative della Nazione e della sua futura classe dirigente, e, cosa più importante, sulle attese di migliaia di lavoratori che non sanno più se riusciranno a garantire i pasti principali alla propria prole.
La nostra speranza è che i media italiani accettino la sfida di raccontare la scuola vera, non quella filtrata dai comunicati edulcorati del ministro Gelmini attraverso le reti di regime.


Libero Tassella ( Responsabile Nazionale Associazione Professione Insegnante)




Spunti di riflessione di Professione Insegnante rivolta alla Stampa sulla situazione della scuola statale italiana.

La grande ferita

Probabilmente, andandola a cercare, si potrebbe trovare la data di nascita del recente interesse dei media per la scuola, trattata come malato terminale di cui si attende l’inevitabile fine. I casi limite di sovraffollamento di classi, lo sciopero della fame di alcuni colleghi, le proteste collettive hanno finalmente fatto notizia.
La scuola però non è solo questo, è un sistema ampio e variegato, che è cambiato lentamente ma inesorabilmente dalla riforma Gentile in poi (qualcuno addirittura la fa risalire alla legge Casati) con qualche legge e in parte anche senza le leggi, sulla base della nostra società, la società dell’immagine (nel senso di oggetto per la vista e nel senso di mera apparenza) e della complessità. Ha vissuto nel suo insieme di una tensione continua verso la democrazia, l’integrazione, ma anche verso l’appiattimento, a volte, quando gli obiettivi non erano raggiunti. Fino a pochi anni fa, nonostante le risorse non fossero mai tutte quelle richieste, alla scuola venivano forniti finanziamenti per gestire la complessità di esigenze che grandi istituti e piccoli “fari di sicurezza”, cioè i numerosi piccoli “punti di erogazione del servizio” – amministrativamente parlando - sparsi sul territorio presentavano.
In questo sistema, che aveva trovato un suo equilibrio, dal 2005 si sono operati tagli di risorse che in nessun conto hanno tenuto la sedimentazione di buone pratiche avvenuta; le scuole hanno fatto fronte prima con le risorse accumulate, poi con i sacrifici di attività e servizi (in pratica con una riduzione progressiva delle varie forme educative), infine ora, nelle situazioni limite care alla cronaca, è emersa questa procedura dei tagli: ferite varie che si accumulano sul corpo del grande organismo.
In alcuni ambiti è evidente lo scollamento fra la legge riconosciuta (scuola legale) e la realtà esistente (scuola reale), come nel caso del limite di venti persone nelle classi con un disabile grave: limite infinite volte trascurato e beffato dalla stessa amministrazione che solo a parole riconosce la legge ma nella pratica la beffa impunemente. E da qui si può partire con la descrizione di tanti ambiti del sistema scuola in cui il detto e il fatto vanno in direzioni opposte, dalla tutela della sicurezza, alla cura dell’insegnamento scientifico e tecnologico, che nei fatti è stato il primo ad essere penalizzato nelle superiori.
A questo impoverimento, già prefigurato nel famoso discorso di Calamandrei in difesa della Scuola pubblica del 1950 ([il partito dominante] Comincia a trascurare le scuole pubbliche, a screditarle, ad impoverirle), si è voluto dare il nome di riforma Gelmini, ma non meritava nemmeno quello di “mantenimento”, e cura dimagrante è termine eufemistico.
Con tutto questo non vogliamo dire che la scuola sta morendo, è viva e vivace, ci lavorano migliaia di persone, bene o male i nostri ragazzi diventano donne e uomini, ma un sistema vivo necessariamente ha bisogno di risorse.
Senza risorse, o con risorse sempre più carenti, il sistema langue, si autolimita, emergono senza remissione gli aspetti più brutti, i tratti impossibili, quello che quando non è dramma, e non lo è quasi mai grazie alla sensibilità di chi ci lavora, sono beffa. Questo vorremmo che si mostrasse nelle trasmissioni che con l’autunno ritornano nelle programmazioni televisive: non il degrado come una esibizione di spazzatura, ma il continuo e costante, pericoloso impoverimento delle nostre scuole, sistema di istruzione vasto, complesso e ricco di esperienza.

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