Severità, non riforme

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Severità, non riforme

Messaggiodi edscuola » 4 dicembre 2007, 11:55

da La Stampa
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4/12/2007 - ANALISI

Severità, non riforme

LUIGI LA SPINA

TORINO Bisogna smetterla di guardare al passato col tipico lamento nostalgico: la scuola d’élite, per fortuna, è scomparsa; quindi è comprensibile che la cultura media dei nostri liceali sia inferiore a quella di una volta. Bisogna evitare generalizzazioni ingiuste: nel nostro Paese ci sono professori eccellenti, aule dove si studia seriamente e, perciò, i nostri migliori studenti sono più bravi dei loro coetanei stranieri.

Bisogna guardare al futuro: il confronto, non solo con le nazioni emergenti del mondo, ma con l’Europa, rivela che l’incapacità della scuola italiana di preparare i nostri giovani alla competizione internazionale è drammatica, crescente e, se continua così, irreversibile.

I risultati Ocse Pisa, la ricerca forse più attendibile e indicativa sulle competenze applicative degli studenti in tutto il mondo, saranno ufficialmente comunicati oggi. Ma le anticipazioni sono largamente sufficienti per concludere che la vera emergenza italiana è quella della formazione dei nostri ragazzi e che il declino italiano sarà inarrestabile se la consapevolezza delle conseguenze di questa emergenza non saranno chiare a tutti. La classifica sulle conoscenze dei quindicenni italiani è sconfortante: su 57 Paesi Ocse e non Ocse siamo scesi al 36° posto, battuti largamente anche dalla Spagna e superando, tra i Paesi europei, ancora di poco, Portogallo e Grecia. Ma, se la tendenza continuerà inalterata, la prossima ricerca triennale Pisa ci vedrà sconfitti anche da loro.

In questi ultimi anni scuola e università italiane sono state subissate da una serie continua di riforme. Un terremoto di provvedimenti che ogni ministro dell’Istruzione si è sentito in dovere di applicare alle già deboli strutture scolastiche del nostro Paese. Le cure, forse perché sbagliate, forse perché contraddittorie, forse per mille altri motivi, non hanno avuto l’effetto sperato. Come tutti i professori universitari constatano ogni giorno, i giovani che entrano negli atenei sono sempre più ignoranti. La sintassi (e magari la grammatica) è un oggetto misterioso nei loro scritti, le regole elementari dell’algebra e della geometria sono sconosciute. Qualche anno fa, il preside di Lettere, a Torino, propose un esame di italiano, con un tema, un riassunto e una prova di grammatica e sintassi, come condizione indispensabile per ottenere la laurea. Pochi giorni fa, il rettore dell’ateneo torinese ha annunciato l’istituzione di corsi estivi di recupero per affrontare l’ingresso all’università. Il suo collega, al Politecnico, si è detto disposto a finanziare lezioni suppletive nella scuola secondaria, pur di assicurare un livello minimo accettabile di conoscenze scientifiche a chi volesse iscriversi ai corsi universitari.

A questo punto, è chiaro che il problema non è più quello di proporre altre riforme. Né quello di continuare solamente a sollecitare maggiori finanziamenti per scuola e università. Ci vuole un capovolgimento di mentalità fra tutti coloro che sono coinvolti in questa drammatica situazione. Occorre che i genitori protestino vivacemente non perché i loro figli studino troppo, ma perché studino poco e male. Che i presidi, con le opportune garanzie per evitare azioni discriminatorie e ingiuste, abbiano la possibilità di impedire che nelle loro scuole alcuni professori, palesemente ignoranti e ignavi, continuino a compromettere il futuro dei ragazzi a loro affidati. Che i risultati della maturità siano valutati con attenzione per un giudizio sulla capacità degli insegnanti di mettere in condizione i loro allievi di affrontare la prosecuzione degli studi. C’è, infine, un problema politico grave. Se un parlamentare non ottiene il denaro per costruire un ponte nel suo paese, minaccia di non approvare la Finanziaria e di far cadere il governo. Perché ha paura della reazione dei suoi compaesani, capaci, alla prossima legislatura, di non votarlo più. Se, per conseguenza, non ci sono più soldi per una scuola migliore, non otterrà la riconoscenza dei nipoti di quei compaesani. Secondo voi, che cosa sceglierà?
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