Una scuola a colori

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Una scuola a colori

Messaggiodi edscuola » 30 aprile 2010, 12:33

da l'Unità

Una scuola a colori

di Gabriella Gallozzi

Vogliamo una scuola colorata» gridano i bimbi e i maestri per le strade di Roma. Sono costretti a scendere in piazza anche loro contro la nefasta riforma Gelmini che, tra i tanti danni, ha pure messo un tetto alla presenza di studenti «stranieri» nelle scuole. Sono i piccoli e piccolissimi del Celio Azzurro, storico asilo nel centro di Roma che della multiculturalità ha fatto da sempre la sua bandiera. Poco più in là, nella periferia capitolina, Ostia, entriamo nell’Istituto tecnico Toscanelli, frequentato in gran numero da «stranieri» di seconda generazione. Figli di immigrati, ormai italianissimi, che ci raccontano le loro storie di integrazione tra conflitti e tensioni familiari. Stiamo parlando di due «illuminanti» documentari che ci dicono che la multiculturalità esiste. È una ricchezza e una speranza per il futuro, anche in questa Italia sopraffatta dalla Lega. Ed esiste nelle scuole, nonostante i sindaci che negano la mensa ai bambini. Sono Sotto il Celio azzurro di Edoardo Winspeare e Fratelli d’Italia di Claudio Giovannesi, entrambi passati allo scorso Festival di Roma ed entrambi in uscita nelle nostre sale, rispettivamente oggi e il 7 maggio. E già questa è una notizia vista l’abituale difficoltà che trovano i documentari ad arrivare nei cinema. In questo caso a portarceli sono Fabulafilm e Cinecittà-Luce.

Due diversi sguardi d’autore che ci accompagnano attraverso un’idea di educazione alla convivenza e alla tolleranza che ha proprio nella scuola le sue fondamenta. Così come da vent’anni sostengono e praticano i maestri del Celio Azzurro, un modello di esperienza culturale e didattica all’avanguardia che dovrebbe essere sostenuta dalle istituzioni e, invece, deve combattere quotidianamente per la sua sopravvivenza, messa a rischio da costanti difficoltà economiche e disinteresse. «Siamo come i panda, in via d’estinzione», dice davanti alle telecamere di Winspeare, Massimo Guidotti, fondatore di questa prima realtà multiculturale a Roma. Oggi trasformata quasi in un «fortino» di resistenti. L’intolleranza crescente si coglie nei racconti dei genitori dei tanti piccoli alunni provenienti da tutte le parti del mondo che ci parlano di un peggioramento del clima rispetto agli anni passati. Ma Sotto il Celio Azzurro non è tanto una denuncia del montante razzismo, quanto al contrario la dimostrazione di come un mondo migliore sia possibile. In questa piccola oasi di tolleranza, infatti, si condivide tutto. Anche i problemi delle famiglie. I genitori stessi sono coinvolti nella vita scolastica. Li vediamo mentre parlano delle loro vite: come si sono conosciuti, com’erano da bambini, cosa fanno, cosa amano. E in una sorta di gioco di gruppo, l’uno prende in prestito l’identità dell’altro, per raccontarla a sua volta, per conoscersi, condividere e non sfiorarsi semplicemente all’entrata o all’uscita della scuola. Insegnanti, bambini e genitori diventano un’unica grande comunità. E l’entusiasmo, in primo luogo dei maestri, è contagioso. Di loro scopriamo le vite attraverso il loro album di foto. Uno scorrere di immagini a ritroso, fino a vederli bambini anche loro. Perché qui al Celio la prima regola è invertire il cannocchiale per vedere il grande che diventa piccolo. E affrontare ogni infanzia per quello che è.

Dell’universo dell’adolescenza multietnica, invece, ci racconta Fratelli d’Italia, il documentario di Claudio Giovannesi che ci propone in chiave italiana il percorso compiuto dal francese Laurent Cantet ne La classe, Palma d’oro a Cannes. Qui siamo ad Ostia, tra le mura di un Istituto tecnico, a seguire le giornate sui banchi di tre giovani extracomunitari di seconda generazione. Il primo è Alin, rumeno, 17 anni, pochissima voglia di studiare, proprio come tanti suoi coetanei italiani, ma convinto di essere discriminato dagli insegnanti: «a professorè – dice in perfetto romanaccio – m’ha messo cinque perché so’ rumeno». E poco valgono i tentativi dell’«eroica» professoressa di coinvolgerlo in ogni modo, lui preferisce le corse in motorino con la fidanzata, nonostante le sfuriate dei suoi genitori che lo vorrebbero sui banchi. Poi c’è Masha, una diciottenne bielorussa adottata da una famiglia italiana. Il suo problema non è l’inserimento a scuola, ma il fratello rimasto nel paese d’origine che vorrebbe ritrovare. E ancora, il più italiano di tutti, è Nader sedicenne egiziano che per la sua famiglia, mussulmana osservante, ha una colpa incancellabile: essere fidanzato con una ragazza italiana e comportarsi come tutti i suoi coetanei.
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