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REGOLAMENTI GELMINI/ 1. Il preside: alle scuole professionali serve meno astrazione e più laboratori
Roberto Pellegatta
martedì 16 marzo 2010
Ci hanno provato nel 1992 e nel 2002 e purtroppo l’Istituto Professionale che esce dal nuovo Regolamento Gelmini ricalca quei modelli e quelle scelte. Come i dati documentano, allora questo collaborò (non certo come unica causa) al lento declino delle iscrizioni. Mi colpisce sempre notare come il “palazzo” sia sempre poco disposto ad imparare dalla scuola reale. Eppure tutte le associazioni artigiane questa volta l’avevano detto chiaro. Confindustria no, perché a loro interessano solo i tecnici.
Invece, ora come allora, si aumentano le discipline teoriche (inserite fisica e chimica al biennio, dopo aver piazzato lì già diritto ed economia), a scapito dei laboratori e di quelle professionali, rimandate al triennio. Poi, meno integrazione con l’alternanza in azienda, salvo la Terza Area delle classi quarte e quinte che però già dall’anno prossimo sparisce anche lì.
Eppure gli Istituti Professionali (con i Tecnici) sono stati da sempre un luogo in cui impresa e artigianato hanno attinto preziose risorse umane, specialmente fino alla fine degli anni ‘80.
Negli ultimi due decenni questi hanno subito un vero e proprio processo di svalutazione rispetto alle scuole che tutti credono “alte” come i licei. Svalutazione che molto spesso ha fatto, soprattutto dei Professionali, una sorta di “parcheggio” per i giovani non portati agli studi teorici.
E’ stato questo l’esito non solo di processi sociali o di riforme sbagliate, ma soprattutto di una deformazione culturale che ha condotto alla attuale discriminazione tra lavoro e cultura, dove solo quest’ultima, umanistica, intellettuale, ha ricevuto la necessaria considerazione. Esattamente l’opposto, ad esempio, della grande e millenaria cultura benedettina o, per venire ai tempi nostri, dei modelli pavoniani o salesiani.
E’ un fatto che la più grave malattia della scuola italiana è l’astrazione, l’enciclopedismo, riflessi dell’assenza di significati; il che lascia in uno studente di oggi la convinzione che, rispetto alla scuola, “la vita è un’altra cosa”. Come preside di un Istituto Professionale (dopo aver fatto esperienza diretta di vent’anni di liceo) vorrei collaborare nel mio piccolo a rivalutare questi luoghi e capisco che la sfida è quella di ridare pari dignità didattica e formativa al lavoro e alla cultura, al fare ed al suo significato, ma soprattutto di aiutare a ritrovare ogni giorno passione ed energia anche nello studio.
Da questo punto di vista, nonostante i gravi limiti che contiene e che non è questo il luogo per descrivere, credo che l’avvio dell’attuale Riordino del secondo ciclo presenti un'interessante, ed in questo momento unica, opportunità. In caso contrario in pochi anni smarriremo il “capitale” sociale, culturale e professionale accumulato nelle esperienze pluridecennali e perderemo la sfida del lavoro e delle professioni di un mondo che nel mutare non ci attende.
In questa prospettiva il lavoro iniziato da tempo a scuola ora si accelera. Fin’ora si è trattato innanzitutto di puntare con decisione ad attività che rinnovassero e rafforzassero l’identità storica della scuola, un glorioso istituto del legno, del mobile e del commercio che ha disseminato la Brianza ed il mondo di ex alunni (l’altro ieri mi è giunta una mail da Bangkok). D’altra parte non c’è rinnovamento senza riscoperta originale di una tradizione ricevuta.
Quindi, a partire da qui, si è trattato di promuove attività che contribuissero ad offrire all’esterno un'immagine dell’offerta formativa più corrispondente alla realtà che ai clichè del “falegname col pennello in mano”: tra queste la meglio riuscita è stato il lavoro per diverse mattinate con gli alunni delle terze medie sui banchi della falegnameria, rivivendo con loro ed in stretta collaborazione con le loro scuole, tutto il percorso progettuale e realizzativo di un oggetto.
Per capire meglio come “innovare” si sono rivelati vitali i rapporti internazionali di questi anni, per favorire il confronto e lo scambio con le esperienze europee più avanzate. Basta andare in Germania, Francia e Spagna per accorgersi come da noi politica, sindacalismo e amministrazione hanno trascurato, dalla fine degli anni ’80, un reale rinnovamento della scuola tecnica e professionale.
Dal punto di vista dell’organizzazione didattica la progettazione tenta di seguire contemporaneamente due binari paralleli: l’accompagnamento delle difficoltà e delle debolezze (specie di energia e motivazione) per il loro recupero; la valorizzazione dei meriti, delle capacità fino alle eccellenze. Sono due componenti indispensabili allo stesso cammino, in certe attività chiamate ad occuparsi fattivamente l’una dell’altra.
Ora, attraverso il Riordino attuale, il lavoro a scuola punta all’utilizzo dei limitati spazi di autonomia e flessibilità, cercando di utilizzare anche le possibilità che scaturiscono dai percorsi di Istruzione e Formazione proposti dalla collaborazione con la Regione Lombardia. I tentativi allo studio: incrementare il sapere pratico e la cultura del lavoro, riducendo l’eccesso di astrattismo con la soppressione di alcune materie del Piano nazionale allo scopo di dare peso a quelle professionali già dal biennio; ridare peso ai laboratori, alle compresenze (laddove necessarie), operando anche con gli spazi orari ridotti a 50’.
Ma la vera sfida, l’abbiamo già visto, è sul piano della metodologia didattica: iniziare a scrivere per competenze e abilità i percorsi dell’imparare, ricercando i continui contatti tra teoria e pratica; individuare le nuove conoscenze scientifiche e tecniche indispensabili per l’insegnamento attivo in quei percorsi; rivedere l’orario delle lezioni per fare spazio a tutto questo.
Anche per questi tentativi si vuole studiare l’avventura dei Dipartimenti, che il Collegio ha già deciso di intraprendere. Non sarà solo questione di aggregare gruppi di materie, ma di imparare da alcuni lavori fatti fin’ora. Infatti iniziare a transitare dalla scuola dei programmi (assolutizzati e conservati dai tradizionali gruppi di materie) alla scuola delle competenze, esige un lavoro di correlazioni disciplinari, di progettazione per temi, ambiti e obiettivi. Questo chiede il tentativo del passaggio dalla collegialità alla cooperazione professionale, dalla frontalità al lavoro attivo, sicuramente la più grande fatica della scuola secondaria di secondo grado, ma quella decisiva, perché si impone dalla realtà dei ragazzi che abbiamo di fronte.
Per le medesime ragioni di realismo abbiamo per ora deciso di non costituire formalmente il Comitato tecnico-scientifico, perché confuso nelle reali finalità, contraddittorio nelle competenze ed estrapolato da un serio riordino della governance delle scuole. D’altra perché esistono già momenti formali ed informali di confronto con i protagonisti del mondo del lavoro locale e nazionale che sarebbe inutile sostituire.
Questi rapporti di una scuola con i suoi partner privilegiati, non sempre facili con un mondo non sempre sensibile alla formazione sono vitali. Ma purtroppo sono resi precari dalla assenza di norme - anche nel nuovo Riordino - e dalla mancanza di risorse sempre più risicate. Quest’anno gli stanziamenti per l’alternanza e per la Terza Area sono un terzo di quelli dell’anno scorso. Eppure si è cominciato a parlare di come ampliare i periodi di lavoro in azienda, che dovranno assumere servire per meglio comprendere quanto acquisito in classe e nei laboratori.
Purtroppo per le stesse ragioni economiche dette sopra la possibilità di stipulare contratti d’opera con esperti del mondo del lavoro e delle professioni resterà un pio desiderio, salvo che Stato o Regioni non decidano di ricominciare ad investire. Sono solo opportunità e percorsi per non fare di questo riordino un occasione sprecata di ripresa di quello che ritengo il più importante ramo dell’istruzione giovanile oggi.