da Il Messaggero
Il prof non ricorda: genitori a colloquio con la foto dei figli
Difficile per alcuni docenti collegare volti e nomi
di Luca Brugnara e Veronica Cursi
ROMA (9 dicembre) - Quei 450 alunni a settimana, il professore di religione fa davvero fatica a ricordarseli. Soprattutto i primi mesi di scuola, quando con un’ora a settimana e 18 classi da seguire, collegare volti e voti diventa difficile. Nessun problema. Perché per ovviare a possibili defaillance durante i colloqui con i genitori (ed evitare figuracce tipo «mi scusi ma in questo momento non ricordo proprio chi è suo figlio»), nelle scuole medie romane, al primo anno di corso, i docenti hanno ideato un escamotage davvero infallibile: il colloquio fotografico.
Di cosa si tratta? All’inizio dell’anno ai genitori di ogni alunno si chiede di portare una fotografia dello studente che poi, a scelta della scuola, viene inserita nel registro o utilizzata durante i colloqui in modo da visualizzare in un attimo l’alunno. «Una prassi consolidata» alla media Settembrini, nel quartiere Trieste, dove quest’anno c’è una foto per ognuno dei 260 ragazzi delle prime medie.
«Segno dell’attenzione dei professori verso gli studenti», spiega la preside Simona Pianese che ricorda come a richiedere le foto siano «in particolare i docenti di scienze motorie, educazione fisica e religione che hanno una o due ore a settimana e dunque dalle 9 fino alle 18 classi, per cui ricordare tutte le facce è davvero impossibile». Una richiesta sempre più diffusa nelle scuole capitoline, che in queste settimane ha lasciato sorpresi i genitori alle prese con i primi colloqui. «Da noi sono anni che adottiamo questo metodo - spiega la preside della media Esopo, Ada Maurizio - Una richiesta che riguarda in particolare insegnanti di educazione fisica, educazione artistica, musica o religione che a volte devono seguire fino a 9 classi, con poche ore settimanali per ognuna. Ovviamente le foto vengono conservate nel registro, nel massimo rispetto della privacy». «Perché memorizzare i volti di 200 alunni può essere davvero difficile», parola di Marina Todini, preside della media Majorana, al nuovo Salario, dove «ci sono insegnanti che per completare una cattedra di 18 ore seguono anche 10 classi, vedendo gli alunni per una o due ore ogni settimana.
La fotografia è uno strumento d’aiuto in più. Quest’anno ad esempio c’è una docente che si è fatta un quaderno con le foto di tutti i suoi alunni in modo da essere più preparata quando i genitori vengono a chiedere informazioni sul rendimento del figlio». E in effetti, con tanti giovani da seguire contemporaneamente, non è semplicissimo ricordarsi subito di tutti. «Da noi questa prassi non avviene in maniera specifica - afferma il preside della scuola Leonori, Massimo La Rocca - ma quando un professore ha fino a 10-12 classi, soprattutto all’inizio dell’anno, è normale che possa chiedere una foto per capire meglio di chi si tratta».
Colloqui con foto invece alle medie Gramsci, Mattei e Platone, mentre alla Pagano si adottano altri metodi di memorizzazione. «L’insegnante di religione - ricorda la preside Gemma Pozio - ha chiesto di mettere il nome sul banco, per associarlo meglio al ragazzo». Foto per associare voti e volti, prof che devono seguire anche 18 classi a settimana. E il rapporto alunno-insegnante dove va a finire? Sorpresi ma non contrari al colloquio fotografico i genitori.
«Quando il professore di educazione artistica mi ha domandato la foto - racconta Paola Rinaldi, mamma di una ragazza dell’istituto comprensivo Montezemolo - sul momento mi è sembrato strano. Poi però mi sono detta che non è semplice memorizzare tante facce in un paio di mesi stando con loro poco tempo e poi si tratta di materie secondarie. Nel corso degli anni il rapporto si crea comunque».
Così la pensa anche Mariella Gagliardi, mamma di una studentessa della media Bramante, dove anche qui la foto è un escamotage frequentemente adottato: «Per un attimo mi sono chiesta a cosa servisse una foto durante i colloqui. Poi mi sono resa conto che oggi è diverso rispetto ai miei tempi». «Anche perché - conclude Bruna Pandori, mamma di Giacomo, alla media La Giustiniana - non è semplice identificare un ragazzo che si vede per una o due ore alla settimana, con una decina di classi da tenere. Ammetto che la richiesta mi ha sorpreso. Ma se serve per identificare lo studente non ci trovo niente di male».