da LASTAMPA.it
INTERVISTA
Berlinguer "Ma la mia riforma non è stata un fallimento"
ANDREA ROSSI
TORINO
Offeso? Niente affatto. Sono abituato a ragionare oggettivamente. E oggettivamente dico che il “3+2” non è stato un fallimento. È un processo irreversibile. Se qualcuno pensa di tornare indietro sbaglia. Di più: ci allontana dall’Europa». Luigi Berlinguer, europarlamentare del Pd, è il “papà” della riforma che ha plasmato l’Università degli ultimi dieci anni. La stessa che, secondo il ministro Gelmini ha prodotto troppi corsi, professori e sedi, spese eccessive e poca qualità.
Davvero le critiche del ministro Gelmini non l’hanno colpita?
«Preferisco analizzare i fatti».
I fatti dicono che la sua riforma scricchiola.
«Non è vero. Si doveva rendere “europeo” il nostro sistema universitario: in Italia ci si laureava in media a 27 anni e mezzo, contro i 21 degli altri paesi. Oggi l’età si è abbassata, il 60 per cento dei laureati ha svolto uno stage aziendale (eravamo al 30) e l’Università si è aperta al mondo del lavoro».
Ma il quadro complessivo è peggiorato.
«Alcuni dati testimoniano il contrario. Dal 2004 la percentuale di chi frequenta le lezioni è raddoppiata. L’Ocse ci accusava di avere pochi laureati; sono passati da 172mila del 2001 a 293mila del 2008». Sì, ma tanti si laureano due volte: triennale e specialistica. «Vero. Però ci sono più persone con un titolo di studio. Tanti con la vecchia laurea quadriennale ottocentesca non si sarebbero nemmeno avvicinati all’Università. Infine tra i “dottori” del 2008, il 72 per cento non ha nessun genitore laureato».
E le spese? Si è creato un pachiderma?
«L’Italia non spende troppo. Spende male. E investe una cifra irrisoria nella ricerca».
Il 3+2 arranca proprio alle fondamenta: perché quasi nessuno si ferma dopo i primi tre anni?
«Colpa della nostra pubblica amministrazione, ottocentesca e ottusa, che non vuole riconoscere valore alle lauree “brevi”. Solo le imprese stanno cominciando a farlo».
E le sedi e i docenti, moltiplicati?
«Il ministro ha ragione, ma che relazione c’è tra quest’espansione e la riforma? È come se un agricoltore, per estirpare la gramigna che s’annida nel suo campo di grano, spargesse il diserbante, distruggendo tutto. Semmai vanno puniti certi atenei».
Già, ma chi li sanziona?
«Va cambiata la governance delle università: le scelte di fondo non possono essere decise da organi corporativi, si rischia di non perseguire il bene comune. Poi, valutare i risultati. In questo caso la strada intrapresa dal ministro è giusta».
Pentito della sua riforma?
«Ad aprile 46 ministri si sono riuniti e hanno stabilito di proseguire sulla strada tracciata nel 1998 da quattro “matti”: un tedesco, un francese, un inglese e un italiano. L’italiano ero io. Dobbiamo garantire una laurea di qualità, riconosciuta negli altri paesi e spendibile. Questa è la vera frustata che va data agli atenei italiani. Serve un’Università mondiale, non padana».
Il papà del "3+2"
LUIGI BERLINGUER,OGGI EUROPARLAMENTARE DEL PD, È STATO MINISTRO DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE DAL MAGGIO 1996 ALL’APRILE 2000: IN QUEL PERIODO VARÒ LA RIFORMA DELL’ATTUALE FORMULA CON LE LAUREE BREVI.