Quel gran genio è un bimbo infelice

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Quel gran genio è un bimbo infelice

Messaggiodi edscuola » 4 settembre 2009, 17:10

da LASTAMPA.it

IL PESO DEL TALENTO

Quel gran genio è un bimbo infelice


Incompresi, isolati e poco aiutati dalla scuola: così l'Italia rischia di perdere i "baby-prodigio"


DANIELA DANIELE

ROMA
Lo sguardo perso nel vuoto e l’aria perennemente annoiata. Ma a volte anche l’impossibilità di stare fermo al banco. Oppure l’isolamento, la scontrosità. E una curiosità sconfinata, che non dà requie all’interlocutore. Atteggiamenti che un insegnante non deve ignorare e che, soprattutto, non si cancellano con una punizione ben assestata. Perché quel ragazzino o quella bimba che paiono tanto diversi dagli altri potrebbero rientrare nella categoria che un tempo veniva detta dei «bambini prodigio» e che oggi la scienza considera nella sfera dei «soggetti plusdotati».

Una realtà che, secondo statistiche, riguarda l’8-10 per cento della popolazione studentesca. L’alta percentuale ancor più mette in risalto il nulla che in Italia viene fatto per occuparsi in modo adeguato di questi piccoli geni, rispetto all’attenzione che invece dimostrano da tempo altri Paesi, in Europa e altrove.

«Ci siamo anche noi», è lo slogan che farà da motivo conduttore, oggi, al primo convegno nazionale dedicato allo sviluppo del potenziale di questi giovani soggetti. A organizzarlo, il Dipartimento di psicologia dell’Università di Pavia.

Nel nostro Paese, non siamo attrezzati per aiutare i piccoli con particolari talenti. «Mancano strutture, leggi, insegnanti formati per lavorare con questi ragazzi», spiega Anna Maria Roncoroni, coordinatrice del laboratorio di ricerca sul talento e la plusdotazione dell’ateneo pavese.

Quando ci si riferisce all’8-10 per cento della popolazione di bambini e adolescenti non si parla, però, soltanto dei geni. Ma, comunque, di minori che hanno elevante capacità cognitive, che possono essere anche eccezionali, con un quoziente intellettivo superiore alla media (130) o con talento specifico in un campo, anche extrascolastico (per esempio la musica o l’arte in genere). Qualità che hanno tutti i diritti di essere riconosciute e valorizzate.

Cosa che, nella maggior parte dei casi, non avviene. Con conseguenze non di poco conto. «Se l’ambiente non aiuta il ragazzo o la ragazza a sviluppare le proprie potenzialità - continua la dottoressa Roncoroni - si rischia che i soggetti più dotati tendano all’isolamento, a sentirsi incompresi. In una parola, diversi».

Come si scopre un piccolo plusdotato? Nei Paesi attenti a queste tematiche, si fa la valutazione dinamica, ovvero non soltanto legata ai test: ci sono colloqui, questionari, giochi tra i bambini e vengono coinvolti genitori e insegnanti. E si è anche capito che lo sviluppo cognitivo non va di pari passo con quello emotivo: insomma, sono piccoli geni, è vero, ma fanno capricci proprio come tutti gli altri bambini.

Il rapporto con i compagni dipende dal carattere del soggetto. Ci sono i saputelli, maltollerati, ma anche quelli che mettono le loro capacità al servizio dei meno dotati. Di certo, costringere i talenti a una vita scolastica legata al modello frontale (insegnante in cattedra, allievi ingabbiati nei banchi) non potrà che avere effetti negativi per tutti. Emilia Costa, docente di Psichiatria a La Sapienza di Roma li elenca: «Depressione, isolamento, ma anche ansia, aggressività, irrequietezza». Il rischio, ricorda Luca Poma dell’osservatorio “GiùleManidaiBambini” è che «finiscano per essere giudicati affetti dalla sindrome da iperattività e trattati con psicofarmaci».

Creando le condizioni adatte allo sviluppo di talenti eccezionali, si avranno persone più equilibrate. «Anche se - ammette Anna Maria Roncoroni - uno Stato pensa soprattutto a generare una popolazione di futuri dirigenti o di buoni artigiani». Ma la logica di una civiltà basata sull’interesse economico si scontra con l’imprevisto: la nascita di un piccolo genio.
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