I precari protestano. Ma quanti sono esattamente?

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I precari protestano. Ma quanti sono esattamente?

Messaggiodi edscuola » 3 settembre 2009, 7:46

da www.ilsussidiario.net

SCUOLA/ I precari protestano. Ma quanti sono esattamente?
Fabrizio Foschi giovedì 3 settembre 2009


I sindacati confederali stimano che in seguito all’applicazione del Piano programmatico del Ministro Gelmini (settembre 2008), nel quale erano iscritte le linee guida della successiva azione governativa, concernenti: la revisione degli ordinamenti scolastici; la riorganizzazione della rete scolastica e la razionalizzazione delle risorse umane delle scuole, sarà bloccata la riassunzione di circa 25/30.000 unità di personale tra insegnanti a tempo determinato e personale Ata (bidelli, segretarie e tecnici scolastici). I docenti supplenti che, dopo anni di incarichi, resteranno a casa senza stipendio sarebbero quasi 18.000.

Una prima osservazione riguarda il fatto che siamo su livelli decisamente più bassi rispetto ai dati diffusi dalla Cgil qualche mese fa che facevano riferimento alle difficoltà di 130.000 docenti precari e 75.000 precari non docenti impegnati nella scuola.

Ad ogni modo, sempre di persone che vedono allontanarsi la possibilità di un posto fisso si tratta. Ma da quali tagli risulterebbe il numero cui si è accennato?

Da una combinazione tra rideterminazione dell’organico e riconduzione di tutte le cattedre di scuola secondaria a 18 ore, come è previsto dal Contratto di lavoro sottoscritto anche dai sindacati.

Lo Schema di regolamento relativo alla scuola dell’infanzia e al primo ciclo di istruzione (“Revisione dell’assetto ordinamentale, organizzativo e didattico della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione”) è stato approvato dal Consiglio dei Ministri in data 27.2.2009. La nuova normativa introduce, a partire dall’anno scolastico che sta per cominciare (2009-2010), il modello dell’insegnante unico secondo le differenti articolazioni dell’orario scolastico settimanale a 24, 27, e sino a 30 ore, nei limiti delle risorse dell’organico assegnato, e conserva il modello delle 40 ore, corrispondente al tempo pieno.

Risulta cancellato il modulo e il sistema delle compresenze: una manovra che prima o poi doveva essere attuata, sebbene comporti non poche difficoltà per le scuole a rientrare in questo schema. I sindacati parlarono di un effetto corrispondente a circa 15.740 docenti in meno nella scuola primaria per il 2009-2010.

Il Piano programmatico del Ministro Gelmini prevedeva una riduzione dell’organico di scuola primaria con il solo orario obbligatorio di 10.000 unità, a cui devono esserne aggiunte 4.000, risultanti dalla riduzione degli insegnanti specialisti lingua inglese. Ci sono però anche gli esuberi, pari a circa 6.000 soprannumerari di ruolo, che dovrebbero garantire un’estensione del tempo pieno.

Quanto ai docenti di scuola secondaria di I grado, il contenimento fissato dal Piano era di circa 17.000 unità per il 2009-2010 (tra rideterminazione dell’organico e riconduzione di tutte le cattedre a 18 ore). Il numero proclamato dai sindacati era di 16/17.000 unità.

Ora, come s’è accennato, le cifre complessive si sono ulteriormente ridotte, segno di una capacità delle scuole, se vogliono, di concepire la propria autonomia anche come difesa degli organici esistenti.

Il precariato è comunque la drammatica conseguenza di un sistema di reclutamento, a cui per anni l’amministrazione centrale con il complice sostegno dei sindacati (confederali in testa) ha ancorato il rapporto tra domanda e offerta di lavoro, che si potrebbe definire per lento scivolamento dalle graduatorie degli abilitati al posto a tempo indeterminato (i concorsi si sono diradati), per cui nella scuola si è avuto accesso sulla base della composizione delle cattedre (arte nella quale i sindacati sono maestri) più che sui numeri effettivi degli alunni.

La cosa ha egregiamente funzionato in un periodo di vacche grasse; ora che la scuola in parte ha cessato di essere un bacino di occupazione funziona molto meno.

Bisogna ricordare, ad ogni modo, che la cifra media di alunni per insegnante (circa 10.7 in Italia; tra i 12 e i 15 in Europa) fu posta sotto i riflettori di una politica scolastica che mirava alla razionalizzazione degli organici dal “Quaderno bianco sulla scuola”, pubblicato nel settembre 2007 a cura dei ministri dell’Istruzione e dell’Economia del governo Prodi: Fioroni e Padoa-Schioppa. In questo documento si precisava che «l’elemento dominante della maggior spesa pubblica per studente della scuola italiana si conferma il rapporto insegnanti/studenti». Si auspicava, dunque, la «diminuzione di un punto nel rapporto insegnanti/studenti (…) che determina una riduzione di circa 70mila unità nel fabbisogno insegnanti».

Le attuali misure di riduzione del personale sono l’applicazione degli stessi criteri (per certi aspetti imprescindibili da un qualunque discorso nuovo sulla professione docente) e tra l’altro messe in pratica non tramite la forma del “licenziamento”, come sbandierato talvolta da formazioni politico/sindacali molto legate alle vecchie logiche assistenzialistiche, bensì utilizzando i pensionamenti e il blocco parziale del turn-over.

L’analisi della situazione del precariato non sarebbe completa se non si tenesse conto, inoltre, di due dati di fatto molto importanti.

Il primo riguarda le assunzioni a tempo indeterminato di personale scolastico che, in attesa del completo prosciugamento delle graduatorie provinciali degli abilitati, continuano ad essere operative per alcune classi di concorso. Per l’a.s. 2009-2010 la previsione è di immettere su posti fissi 8.000 unità di personale docente, più altre 8.000 Ata.

La seconda novità è offerta dai “contratti di disponibilità”, di cui è imminente la sottoscrizione a cura di Ministero dell’Istruzione, Ministero del Lavoro, Inps e Regioni per estendere al personale precario della scuola (personale docente ed Ata), gli ammortizzatori sociali consistenti nel sostegno al reddito nella misura dell’80% della retribuzione per la durata di 8 mesi, relativamente ai periodi non lavorati. La condizione per accedere al sostegno al reddito, sarebbe quella di vantare 52 settimane lavorative nell’anno in corso più 2 settimane nel biennio precedente.

Si tratta in totale di numeri significativi che potrebbero comportare una soluzione almeno parziale della difficile situazione in cui versano tanti lavoratori della scuola.

Da tutto questo si deduce che per affrontare seriamente il problema del precariato occorre, sulla base di una comprensione storica del fenomeno che impedisce di attribuire a vanvera colpe e responsabilità, far convergere energie e responsabilità su una strategia che oltre a prendere in considerazione l’oggi, mira a impedire che il fenomeno, domani, si riproduca all’infinito.
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