da La Stampa
5/10/2007
In fuga dalla scuola
MARCO DEMARIE*
Che i genitori abbiano a cuore la qualità dell’insegnamento impartito ai propri figli è salutare. Che questa cura si manifesti nella diffidenza per classi e scuole con un’alta presenza immigrata è invece un dato preoccupante, specie se si trasforma in una fuga. Gli allievi immigrati sono la goccia che ha fatto traboccare il vaso d’una scuola sotto stress. Sarebbe sbagliato ignorare le difficoltà che essa pone alla vita scolastica e all’efficacia dell’insegnamento, che vanno affrontate senza ritardi per evitare di rincorrere emergenze e malumori. La presenza di figli d’immigrati nella nostra scuola sta per ampliarsi. Tra sei anni le prime elementari nelle grandi città avranno tra un quarto e un terzo di allievi stranieri. Sono le seconde generazioni, i bambini d’origine immigrata nati in Italia, cui vanno aggiunti quelli che arrivano con le famiglie o per ricongiungimento.
Il problema della lingua italiana riguarda principalmente i ragazzi stranieri nati e scolarizzati all’estero, non le seconde generazioni. Serve un piano straordinario per attivare in questa fase corsi d’italiano, dentro gli edifici scolastici, fuori dalle ore curriculari. Poniamo fine alla pratica distruttiva di collocare ragazzi e ragazze non pienamente italofoni in classi inferiori rispetto alla loro età. Sappiamo che il ministero stenta ad assegnare alle scuole i budget necessari. Gli enti locali fanno ciò che possono. La diffidenza delle famiglie nasce anche dal constatare che raramente le risorse sono adeguate a sostenere le buone intenzioni politiche. Mobilitiamo allora tutte le energie possibili, anche extrascolastiche. Un aiuto importante può venire dal volontariato e dal terzo settore: in parte già avviene. Le fondazioni bancarie e la nuova Fondazione per il Sud possono essere partner di esperimenti pilota per sostenere le esperienze migliori.
Il problema è la disciplina? Vero, ma è dubbio che dipenda principalmente dalla presenza di stranieri. Al contrario, talvolta i ragazzi stranieri e le loro famiglie considerano la scuola italiana lassista. C’è un diffuso smarrimento dell’idea di disciplina come valore educativo. Un evidente limite di cultura civica in Italia si manifesta nei comportamenti dei ragazzi, nel deficit d’autorevolezza dei docenti, nell’atteggiamento di molti genitori, pronti a mobilitarsi contro ogni provvedimento di censura. Il problema sono i contenuti dell’insegnamento? La scuola italiana ha certo limiti negli insegnamenti di base: nelle materie scientifiche e nelle lingue straniere si tratta di veri deficit. Ma qui gli stranieri non c’entrano, anzi a volte sono loro a chiedere programmi più impegnativi.
Il punto è dunque migliorare la qualità della scuola italiana. Solo così anche la grande goccia immigrata vi troverà posto. Qualche segnale nelle ultime settimane è giunto: il Quaderno Bianco dei ministeri dell’Istruzione e dell’Economia è un passo importante; il ministro Fioroni ha assunto impegni per maggiori risorse. Gli alunni immigrati non sono una minaccia, in maggioranza vogliono la scuola, forse più di molti ragazzi italiani. Attenzione, però: la scuola dev’essere luogo di educazione umana, culturale, civica, fornitrice di metodo e competenze effettive. Non un’agenzia di servizi multiculturali. Le pratiche interculturali devono essere un mezzo, non un fine, per la formazione ampia della persona. Ci sono la società e il mondo del lavoro là fuori, verso i quali la scuola deve accompagnare giovani preparati e responsabili. Evitare separatezze culturali e etniche sarà meglio per tutti.
*direttore della Fondazione Giovanni Agnelli