"Una riforma scolastica che premi la meritocrazia"

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"Una riforma scolastica che premi la meritocrazia"

Messaggiodi edscuola » 26 febbraio 2009, 17:28

Giornale di Vicenza, 25 febbraio 2009

"Una riforma scolastica che premi la meritocrazia"

Non è vero che il mondo della scuola sia restio alle innovazioni. Prendiamo il discorso della meritocrazia. Dopo il fallito (e maldestro) tentativo del ministro Berlinguer, da una decina di anni non se n’è più parlato. Adesso però si può dire che i tempi siano maturi per avviare una riforma che vada in questa direzione.

Lo confermano in modo inequivocabile alcune ricerche uscite da poco, che hanno avuto ampio riscontro mediatico, da cui emerge con chiarezza il bisogno di novità espresso dai docenti italiani per uscire dall’impasse di una situazione sempre più demotivante. Valutazione e meritocrazia cessano di essere un tabù, e bisogna prendere atto di un significativo cambiamento culturale.

Gli studi effettuati con metodo statistico sono stati commissionati da tre soggetti ben diversi, che perseguono scopi eterogenei: un sindacato di dirigenti scolastici, l’Anp, un sindacato di insegnanti, la federazione Gilda-Unams, una rivista specialistica, La Tecnica della Scuola (le relazioni sono pubblicate sui rispettivi siti internet). Ciò che colpisce e fa riflettere è la straordinaria convergenza dei risultati che emerge facendo una semplice analisi comparata.

Il primo punto riguarda l’introduzione di criteri di avanzamento di carriera basati sul merito del singolo e non soltanto sull’anzianità, come avviene adesso. L’idea incontra il favore del 66% dei docenti, e la stessa percentuale è indicata da due diverse indagini. Altri dati mostrano percentuali molto simili: per esempio, la maggior parte degli intervistati ritiene che un indicatore importante di giudizio sia il livello di apprendimento degli studenti e il lavoro svolto in classe, oltre naturalmente ai titoli vari, competenze professionali e aggiornamento. L’anzianità, guarda caso, sta agli ultimi posti, mentre si registra una apertura al gradimento di famiglie e studenti.

Sulla questione di chi dovrebbe valutare il lavoro dei docenti, risulta chiaramente che le preferenze dei professori vanno ad un esperto esterno o ad un organismo collegiale piuttosto che al dirigente scolastico, forse perché, prima di valutare i docenti, i dirigenti dovrebbero essere sottoposti essi stessi e prioritariamente alla valutazione di risultato, inerente alla propria qualifica, ma che finora non ha trovato attuazione, pur trascorso un decennio. Per entrambe le categorie il ministro Gelmini ha comunque disposto delle direttive affinché si mettano a punto dei sistemi di valutazione.

Quello che invece sembra essere in crisi è il modello di rappresentanza sindacale: ben il 63% degli interpellati è favorevole ad un’area contrattuale di soli docenti, vista la specificità del loro ruolo, che potrebbe essere meglio valorizzato. Va detto che la categoria insegnante non è molto sindacalizzata, il 46% infatti non è iscritto. Tuttavia fra gli iscritti, due terzi appartengono ai Confederali, che sono i più restii alle novità, che stanno andando avanti anche in campo legislativo. Proprio in questi giorni, alla Commissione Cultura della Camera, si stanno esaminando i vari disegni di legge presentati per modificare lo stato giuridico dei docenti e gli organi di governo delle istituzioni scolastiche. Due in particolare, uno di Valentina Aprea del Pdl e l’altro di Angela Napoli del Pd, svolgono una analisi e prospettano delle soluzioni in gran parte coincidenti, segno che almeno in teoria un’intesa bipartisan è possibile, basterebbe sgomberare il campo dai pregiudizi ideologici in nome di un sano pragmatismo.

Nella premessa si evidenzia che il processo di “proletarizzazione” dei docenti è stato generato sia dal numero impressionante, sia da una eccessiva “contrattualizzazione” del rapporto di lavoro, che ne ha esaltato la funzione impiegatizia piuttosto che l’autonomia e la responsabilità professionale. Si arriva a proporre un’area contrattuale autonoma a livello regionale e non più di scuola, con la conseguente soppressione della RSU. Anche sulle altre proposte i due progetti di legge convergono: la carriera docente dovrà essere fondata su standard professionali, valutazione, sviluppo, specializzazione, responsabilità per i risultati, con una articolazione in tre livelli e relativa retribuzione per merito.

È naturale che in particolare Cgil, Cisl e Uil siano “fermamente contrari” e critichino aspramente la proposta in discussione come una azione di “esproprio” di prerogative sindacali. Tuttavia non si può negare che per il sindacato sia arrivato il momento di un ripensamento del proprio ruolo e di una ridefinizione del sistema delle relazioni e della rappresentanza. Circa la metà degli insegnanti (percentuale molto simile nelle due indagini che hanno posto il quesito), ritiene che i sindacati abbiano risposto poco efficacemente alle esigenze della categoria. Quanto alla RSU di scuola, non era nel sondaggio, ma credo che i docenti, in modo trasversale, siano propensi a considerarla una “mostruosità” organizzativa, come viene chiamata senza eufemismi nel disegno di legge in esame.

L’importante è che si arrivi ad una conclusione condivisa, trovando il giusto equilibrio fra professione docente definita per legge e contrattazione sindacale “snella”, che sarebbe nell’interesse comune.

Infine un’ultima osservazione per gli esterofili: non esiste un modello importabile per l’Italia. I paesi della U.E. hanno sviluppato, specialmente nell’ultimo decennio, politiche scolastiche secondo schemi diversi, che vanno contestualizzati nelle specifiche realtà. Anche le pratiche valutative, sia degli apprendimenti degli studenti, sia del lavoro dei docenti, sono molto variegate e ancora in evoluzione. In ogni caso spetta all’Invalsi fare studi in materia e presentare un progetto di valutazione per il sistema scolastico italiano nel suo complesso, vedremo quali saranno le proposte.

Anna Bellesia
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