Con gli studenti dell'Onda

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Con gli studenti dell'Onda

Messaggiodi edscuola » 15 novembre 2008, 8:37

da LASTAMPA.it

Con gli studenti dell'Onda


In oltre duecentomila in piazza per l'università mentre la Cgil viene isolata e abbandonata anche dagli studenti


FLAVIA AMABILE

Non è stata solo una manifestazione quella che ieri ha portato a Roma duecentomila studenti da tutt’Italia per protestare contro i tagli all’università decisi dal ministro dell’Istruzione Maria Stella Gelmini. E’ stata una sapiente riscrittura delle regole auree dei cortei in vigore dal Sessantotto in poi: dal rifiuto del palco e di ogni sponsorizzazione politica allo spezzettamento dei cortei. E, alla fine, si è avuta la sensazione di assistere alla messa in scena di una sorta di rappresentazione teatrale.

Tutti sapevano che la prova era difficile, si temeva lo scontro, la provocazione, un ripetersi degli incidenti di due settimane fa quando a piazza Navona volarono sedie, cinture e manganelli, e in tanti rimasero feriti. E, allora, gli organizzatori hanno adottato una strategia diversa: hanno blindato il corteo con un servizio d’ordine interno rigorosissimo e concordato con le forze di polizia alcune fughe controllate rispetto al percorso stabilito, quelle verso i «palazzi del potere»: la Camera, palazzo Chigi, il Senato. Quanto agli studenti di destra hanno preferito sfilarsi e organizzare un loro piccolo sit-in nel pomeriggio davanti al ministero dell’Istruzione.

E, quindi, avuto il via libera delle forze dell’ordine, è stato abbastanza semplice organizzare il resto, la parte teatrale: la calata dell’Onda che dai due più importanti atenei romani più o meno centrali - la Sapienza e Roma Tre - si riversa in mille rivoli in tutta la città fino a lambire per l’appunto i luoghi del potere.

Ci riescono in pieno. Basta vedere l’effetto creato dalle decine di migliaia di giovani che scendevano giù per via Cavour, un fiume di voci, slogan, colori, striscioni: «Berlusconi, se hai i capelli lo devi alla ricerca», oppure «Notizie Ansa: dispersa la Gelmini ma mancano i soldi per la ricerca». A tratti da un lato si unisce uno spezzone separato a ingrossare il corso d’acqua principale. Proseguono tutti insieme fino a piazza Venezia dove, come un’onda che si infrange contro uno scoglio, alcuni (pochi) si dirigono verso piazza Navona, altri verso i palazzi del potere. E’ lo sfondamento concordato in precedenza.

Se si osserva la manifestazione di ieri sotto questa prospettiva, diventa più difficile anche infilarsi nel solito gioco della guerra dei numeri. I manifestanti sostengono di essere almeno duecentomila, la questura parla di trentamila, ma in genere per capire chi ha ragione si usa come riferimento la capacità dei manifestanti di riempire la piazza di arrivo.

Questa volta, semplicemente, non esiste una piazza di arrivo. Non lo è piazza Navona, lasciata alla Cgil e al suo corteo sindacale che gli studenti hanno volutamente evitato. E quindi il leader della più influente organizzazione dei lavoratori, Guglielmo Epifani, abbandonato nei giorni scorsi anche dalla Cisl, avverte: «Chi non c’è sbaglia, ogni volta che provano a isolarci gli va male. Però questo perseverare è diabolico». Ma ad ascoltarlo c’è quel mondo che gli studenti rifiutano. Ci sono la politica, il sindacato, le bandiere, Fausto Bertinotti e Paolo Ferrero che sfilano sotto braccio dopo mesi di liti. E, invece, loro, gli studenti, fin dall’inizio del corteo avvertono: «Via le bandiere delle organizzazioni, noi siamo noi, siamo l’Onda, e basta».

L’Onda, infatti, è altrove. Circonda la Camera. Qualcuno prova a gridare «Assassini, assassini» alla polizia, qualcun altro si copre il volto con un cappuccio ma vengono neutralizzati immediatamente. L’ordine è colpire con la fantasia. Ecco gli studenti di Firenze che improvvisano uno strip-tease davanti a Montecitorio per far capire di essere rimasti in mutande. Oppure qualcuno sventola delle banconote: «Volete anche queste?». Qualcuno si fa prendere un po’ la mano, si arrampica su un muro e scrive «No 133» su un muro di un palazzo di piazza Montecitorio. E le forze dell’ordine lasciano fare.
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