Stupido autoritarismo e idiozia pedagogica

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Stupido autoritarismo e idiozia pedagogica

Messaggiodi edscuola » 30 ottobre 2008, 8:02

da Aprileonline

Stupido autoritarismo e idiozia pedagogica
Roberto Pardini*

La riforma Gelmini non risolve i problemi che affliggono la nostra scuola, che certo non è "il migliore dei mondi possibili". Al contrario offre misure inadeguate sul piano educativo ma anche pratico, scegliendo una serie di provvedimenti che incontrano il successo mediatico, ma che sono reazionari, classisti e inefficaci

Sondaggi. In queste ultime ore sul quotidiano La Repubblica è stato riportato un sondaggio che indica una prevalenza di opinioni contrarie alla riforma della scuola voluta dal governo Berlusconi. Non credo nei sondaggi per vari motivi ma in questo caso ho letto con interesse i dati e i commenti, anche perchè ho provato un certo piacere nel vedere come, dopo una serie di manifestazioni e scioperi, il sentimento popolare si sia decisamente spostato.

Leggendo attentamente, però, si può notare come il giudizio degli italiani registrato dalla rilevazione segnali un diverso atteggiamento verso le molteplici norme contenute nei decreti in via di approvazione. Ad essere particolarmente popolari risultano alcune parti della riforma, in particolare le norme che prevedono il ritorno del grembiule, del voto in condotta e degli esami di riparazione (questa ultima, a dire il vero, già attivata dal precedente governo di centrosinistra e dal ministro Fioroni).

Più problematico il giudizio degli intervistati in merito alla reintroduzione del maestro unico, un'iniziativa dell'esecutivo che spacca a metà il campione tra favorevoli e contrari. Sembra invece poco popolare l'idea di chiudere molte scuole con pochi studenti.

Emerge invece con una certa nettezza come l'immagine del corpo docente abbia recuperato positivamente in termini di credibilità: dato particolarmente significativo in quanto la figura degli insegnanti sembrava essere stata travolta in modo irrecuperabile da una martellante campagna tesa alla loro equazione con i fannulloni, se non di peggio. Come dimenticare le campagne scandalistiche messe in opera da moltissimi media e autorevoli commentatori in questo senso, tese alla delegittimazione dei lavoratori della scuola? Ricordiamo ancora le affermazioni del Presidente del Consiglio su come la scuola in questi anni sia divenuta l'ammortizzatore sociale della sinistra, oppure le campagne a firma autorevole, quali ad esempio quelle di Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera, e via dicendo, perché è meglio fermarsi qui piuttosto che procedere nella lunga elencazione.
Autoritarismo. Da che tipo di provvedimenti è quindi costituita la riforma Gelmini, in parte già attiva e in parte ancora in fieri? Il giudizio dell'opinione pubblica pare distinguere una parte che definiremo repressiva tesa a riportare, a detta dei commentatori e del governo, un clima di maggiore serietà nella scuola. Giudizio comune ai più vuole la scuola come un'istituzione in preda ad una totale indisciplina, minata da episodi incredibili, dove il bullismo rappresenterebbe la visione esterna di una totale mancanza di serietà. Tale mancanza, oltre a generare riprovazioni di tipo generazionale (del tipo del "ma guarda dove siamo arrivati") imputa agli insegnanti una mancanza di autorità che gli deriverebbe, in parte o totalmente, da un'educazione antiautoritaria di tipo sessantottino.

La situazione di disagio disciplinare nella scuola viene anche propagandata a sinistra, si pensi agli interventi di autorevoli commentatori quali il giornalista de La Repubblica Mario Pirani o lo scrittore insegnante Marco Lodoli. Al di là della realtà vera o presunta di disagio, anche ai miei tempi gli insegnanti anziani ritenevano i nostri comportamenti da studenti assolutamente inaccettabili, le variazioni di costume creano sempre conflitti generazionali. Rimane però un dato di fatto ineccepibile, cioè che le misure per risolvere questo problema, ammesso che ci sia, risiedono nelle idee classiche di stupido autoritarismo tipiche di una mentalità reazionaria che in Italia è sempre stata maggioritaria, che per anni cova sotto la cenere di un pensiero democratico corretto, ma che poi finalmente esplode quando al governo si instaura un pensiero populista.

L'autoritarismo per una cultura di sinistra comunista o libertaria è già di per sè qualcosa di sconveniente e inaccettabile, ma in questo caso emerge con evidenza anche la stupidità e l'inutilità dei provvedimenti. Si è spacciato il ritorno del grembiule con l'idea di un ritorno al vestito egualitario, mentre basta recarsi nei supermercati e nelle scuole elementari per notare come si siano diffusi i grembiulini griffati; si dice che il ritorno del voto in condotta costringerà gli studenti ad un comportamento più consono, utilizzando gli stessi argomenti che portano a valutare come positivo il ricorso alla pena capitale come rimedio all'emergenza criminalità.
Pedagogia creativa. La seconda parte di provvedimenti che il governo pare destinato a mettere in pratica in realtà appare come un semplice taglio di bilancio spacciato per necessità pedagogiche.

Anche in questo caso il clima è stato preparato per tempo con opportune campagne mediatiche. I nostri giornali e televisioni infatti, al solito così disattenti a ciò che si muove nelle pieghe della società, sono apparsi molto pronti nel dipingere a tinte fosche lo stato dell'istruzione in Italia. Il punto di partenza sono stati, soprattutto, i famosi test di valutazione OCSE PISA e gli italiani INVALSI. Il giudizio quasi sempre negativo, ad eccezione della scuola primaria, poneva il nostro paese agli ultimi posti nelle statistiche di apprendimento. Ora, chi lavora nella scuola, sia esso docente o dirigente scolastico, sa di che materiali sono fatti i suddetti test. Si tratta di quesiti prettamente nozionistici spesso formulati in maniera inadeguata che vengono somministrati agli studenti senza nessun approfondimento specifico. Spesso durante l'esecuzione di tali test l'attenzione è ai livelli minimi. A nessun operatore della scuola, per quel che so, verrebbe in mente di giudicare tali prove come rappresentative del livello di preparazione per i propri studenti. Inoltre la struttura a test sembra fatta apposta per negare qualsiasi validità a tutte quelle forme di approfondimento che non ritengono essenziale il nozionismo.

In questi anni infatti, in accordo con le moderne e avanzate tecniche didattiche, il mondo della scuola si sta orientando verso un insegnamento teso a valorizzare questioni di metodo di indagine e di studio, in modo da fornire nozioni tecniche che permettano l'approfondimento individuale, che facilitino l'autoapprendimento. In altre parole si preferisce formare un metodo di studio fornendone le basi e gli strumenti generali. E' possibile che in questo modo la scuola abbia perso in parte la capacità di fornire anche nozioni, e questo va sicuramente corretto, ma è altrettanto sicuro che giudicare la qualità dell'apprendimento attraverso i succitati test appare per lo meno non rispettoso delle diverse culture didattiche, per non parlare di un metodo reazionario tout court.

Certo il giudizio così realizzato appare anche strumentale all'idea di distruzione della scuola pubblica attraverso una sua continua denigrazione. L'Unione Europea, in questi anni autrice attraverso le sue agenzie di una continua opera di distruzione del welfare dei vari stati membri, sembra in questo modo avallare l'idea della scuola pubblica come fucina di ignoranza.

Fatta questa premessa di base, nessuno vuole negare che l'insegnamento di qualità è un traguardo che si raggiunge lavorando molto e nessuno nega la necessità di operare per un continuo miglioramento della qualità dell'apprendimento. Il governo però sostiene di voler fare tutto questo attraverso una decisa diminuzione delle ore di studio e di tempo scuola, un aumento del numero di alunni per classe, una diminuzione del numero dei docenti. Come possa sostenere una tale assurdità è un mistero della comunicazione e della faccia tosta.
Proposte di studio. Nel tentativo di operare un elevato risparmio per le casse dello Stato, e nel frattempo di favorire lo sviluppo delle scuole private, il governo per bocca del Ministro Gelmini ha sostenuto che le ore attuali di lezione costituirebbero un impegno troppo gravoso per gli studenti. Ha quindi proposto una diminuzione del monte ore per tutti gli ordini scolastici e per le scuole superiori è allo studio l'idea di passare a cicli di quattro anni al posto degli attuali cinque. L'aiuto alle scuole private è evidente anche nell'idea di abolizione del valore legale del titolo di studio, provvedimento che permetterebbe alle scuole cattoliche e ai diplomifici di eseguire l'esame senza il controllo di autorità delle strutture scolastiche pubbliche. Questo comporterebbe un notevole aumento delle iscrizioni alle private, viste in genere come scuole più facili (diplomifici) o più accoglienti in quanto in grado di decidere in qualche modo la qualità degli studenti discriminandoli in modi diversi, ad esempio attraverso il censo.

In tutta questa manovra di stampo classista rimane forse da salvaguardare solo l'idea della diminuzione del monte ore. Chi scrive infatti è convinto che attualmente gli studenti siano costretti a studiare troppo in troppo poco tempo. Una giornata di sei ore è molto pesante. Questo non significa affatto una diminuzione del numero di ore totali di insegnamento, in quanto si potrebbe pensare ad un aumento del numero di anni di studio. Una proposta potrebbe essere quella di una diminuzione del monte ore annuale compensata oltre le perdite annuali da un aumento del numero di anni di studio. Si potrebbero immaginare un passaggio da tre a quattro anni per la media inferiore, oppure un ciclo di sei anni per le medie superiori, prevedendo una fase di obbligo scolastico almeno fino a sedici o diciotto anni. Inoltre copiando dall'esempio francese si potrebbe prevedere una interruzione settimanale del normale corso delle lezioni, tale giornata verrebbe dedicata a approfondimenti, recuperi, attività alternative, formazione e aggiornamento dei docenti. Ovvio che una riforma di questo tipo richiede investimenti e non tagli.
Scuola di classe. Oggi il mondo della scuola è impegnato in una dura battaglia contro i provvedimenti governativi di riforma. Nel tentativo di opporsi a un attacco all'idea di scuola pubblica che non ha precedenti nella storia repubblicana, gli operatori della scuola non devono dimenticare che la difesa dell'esistente e di ciò che funziona è importante ma non bisogna mai perdere di vista che un atteggiamento di conservazione non è comunque foriero di avanzamenti sociali.

La scuola che ci hanno consegnato non è il migliore dei mondi possibili. Una scuola come la nostra è uno specchio della società: se essa è divisa in classi, allora la scuola per quanto si sforzi di essere un soggetto di promozione sociale, non può che ripetere molti dei meccanismi che opprimono l'esistere quotidiano di chi non ha i mezzi culturali, educativi e economici per vivere in maniera dignitosa.

Chiunque abbia a cuore le sorti della scuola come mezzo per il riscatto delle fasce più deboli della società dovrebbe indagare, ad esempio, la composizione sociale degli studenti delle scuole professionali e in parte di quelle tecniche, per confrontare poi statisticamente questi dati raccolti con la rivelazione compiuta in merito alla composizione sociale dei licei. Si scoprirebbe che le classi ghetto esistono già, e la contrazione continua dei fondi alla scuola continua ad alimentare la distanza qualitativa tra scuole per ricchi e scuole per poveri. Tutto questo nella scuola pubblica è già esistente.

L'opera del ministro Gelmini è un inedito non perchè crea dal nulla una situazione di disagio, ma perchè pone le definitive condizioni per lo smantellamento di ogni possibilità di intervento sociale, atto al miglioramento della funzione democratica della scuola.
Epilogo (per ora). A tutto questo poi si deve aggiungere il dato che circa 150.000 operatori della scuola a tutti gli effetti, alcuni con anni di precariato alle spalle, verranno mandati a casa. Non saranno licenziati, certo non c'è questa necessità, perché basterà non rinnovare i loro contratti. E poi dicono che la precarietà non è un'opportunità.

*Docente scuola superiore
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