«La scuola è il seme del cambiamento»

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«La scuola è il seme del cambiamento»

Messaggiodi edscuola » 19 ottobre 2008, 18:35

da Unità

«La scuola è il seme del cambiamento»
di Enrico Rotelli

Il suo logo è una farfalla, nella cui livrea vive il profilo del continente africano. Un logo che dalle classifiche musicali internazionali è volato sulla Fondazione da lei creata, «Batonga» (www.batongafoundation.org), per dare un’istruzione secondaria o universitaria alle giovani donne di Camerun, Benin, Etiopia, Sierra Leone, perché possano diventare, «le madri del cambiamento» in Africa. Il logo di Angelique Kidjo. Musicista beninese di origine, ma la sua vita si divide tra Parigi e New York, alterna alla musica delle sue radici ai ritmi afroamericani e al jazz, seguendo un filo conduttore: l’impegno per colmare le distanze, attraverso le note, tra sud e nord del mondo, tra donne e uomini del suo continente. Contaminazioni, molte in questo suo viaggio che sembra ripercorrere le rotte degli schiavi, dalla nativa Cotonou ai suoni dei luoghi degli approdi della tratta, affiancata da musicisti come Peter Gabriel, Carlos Santana, Branford Marsalis. Sia nella sua produzione discografica sia nei numerosi eventi concertistici che costellano l’impegno sociale nell’ultimo decennio: Cape Town nel 2003, per la Nelson Mandela Foundation, We are the Future, Roma 2004 al Circo Massimo, il Cd Instant Karma di Amnesty International per il Darfur, nel 2007.
È scesa a Rimini, per le Giornate internazionali del centro Pio Manzù, dove è stata premiata con la Medaglia d’oro del Presidente della Repubblica italiana, per il suo impegno, come Ambasciatrice Unicef (incarico attribuitole nel 2002), al quale ha affiancato la propria fondazione non governativa. Batonga, è una parola che ha inventato lei stessa, molto prima che diventasse il titolo di una delle sue canzoni più note, con le quali è arrivata a ottenere il Grammy Award. I ragazzi del suo Paese non potevano comprenderne il significato, ma per lei simboleggiava il diritto delle donne ad un’educazione. La chiave di volta per innescare un cambiamento profondo nella propria società, il seme di una tradizione che le donne, poi madri, avrebbero «trasferito e fatto crescere da famiglia a famiglia, da generazione a generazione, una tradizione che va a cambiare il futuro per l’Africa».
Lei ha trovato una propria via per sfidare le differenze tra Nord e Sud, per aiutare a crescere il suo Paese. Ce ne parla?
«Ho vissuto in una famiglia povera, dieci figli e papà era l’unico a lavorare. Ho vissuto circondata da persone ancora più povere di noi, ma ricche di saggezza. Con loro ho imparato che si può essere poveri ma ricchi di dignità. E che non è detto che si possa essere poveri e non aiutare gli altri.
Questa infanzia e questa educazione mi ha trasformato in quella che sono oggi. Mia madre mi ha donato questa visione del mondo, che no penso sia mia. Non esistono il terzo o il quarto mondo, ne esiste uno solo, e la razza umana è una. Non ho inventato io questo ma le persone che vivevano con me.
I musicisti tradizionali facevano da ponte tra la società rurale e il mondo politico. Grazie a loro ho capito che potevo fare qualcosa senza avere paura delle conseguenze. E mamma e papà sono esempi perfetti: nonostante 10 figli non so quanti bambini hanno aiutato e mantenuto agli studi. È la musica il collegamento e il legame tra tutto questo».
Quando ha presentato la Fondazione Batonga e i progetti educativi alle ragazze per un’istruzione secondaria e universitaria che sviluppa in diversi paesi africani, ha detto che «educare le ragazze in Africa dà loro la forza e gli strumenti che servono ad essere madri del cambiamento». Ci può spiegare cosa intendeva?
«Mio padre e mia madre hanno sempre insistito perché fossi istruita. Ma a un certo punto con la musica ho cominciato a fare soldi. E sono andata da mio padre dicendogli che avrei proseguito con la musica, lasciando la scuola. Non esiste mi disse: tu non canti più e vai a scuola.
Una madre istruita si batte fino alla morte perché i figli vadano a scuola. Eravamo tre figlie a studiare e i parenti di papà venivano in continuazione a dire “perché le mandi a scuola?, è uno spreco di soldi. Daccele a noi e le faremo guadagnare”. E mia madre controbatteva: “Assolutamente no, se togli le ragazze dalla scuola non avrai più nulla, non avrai più famiglia”.
Ecco perché diventano la madre del cambiamento. Un africano tende a considerare di più il bestiame che la donna. È fondamentale che le donne capiscano l’importanza dell’istruzione, perché domani le madri potranno poi insegnare ai figli e alle figlie, e fare in modo che la cultura diventi merce di scambio.
Anche la mortalità infantile è molto legata all’istruzione. Ho visto madri che per colpa dell’ignoranza restavano impotenti di fronte al figlio malato. Una madre istruita invece può aiutare il suo bambino, è in grado di conoscere le medicine, leggere i foglietti e usarle nel modo giusto, informarsi. L’ignoranza può esser pericolosa».
Con la sua musica, hanno detto, lei getta un’ancora ai più deboli...
«Questo fatto di essere circondata da persone comuni mi ha dato la necessità di credere nell’uomo. Perché non ci sono alternative. Da quando ho cominciato a fare musica i miei ispiratori sono stati uomini, donne e bambini. Ci troviamo in un periodo di totale destabilizzazione. Perché? Perché ci siamo allontanati gli uni dagli altri. Noi stessi abbiamo infilato il lupo nell’ovile. Noi abbiamo creato i soldi per poter scambiare le merci, per mangiare. E questo lupo, il denaro, lo abbiamo fatto crescere fino a distruggerci. Madri, padri e figli. Finché non sarà nella giusta prospettiva l’idolo denaro non troveremo soluzione e sacrificheremo molte generazioni. Oggi, con la crisi, se non riusciamo a capovolgere il concetto che non è il denaro che crea l’uomo, ma è l’uomo che crea la ricchezza, non avremo nessuna chances.
Per decenni i paesi ricchi hanno destabilizzato i paesi poveri. Difficilmente con questo passato è possibile cambiare. E abbiamo destabilizzato su false credenze: che i poveri restassero a casa loro. Ma purtroppo per loro, il povero si muove.
Quando le persone venivano ridotte in schiavitù, con un lavaggio del cervello si cancellavano i ricordi delle origini. Ma la musica opera come un’impronta genetica, la musica è uno specchio fedele del Dna, perché i ricordi non si cancellano. Sta a noi prendere in mano la sfida e i problemi dell’umanità, della quale siamo causa e soluzione. La soluzione per salvarci è dentro di noi».
Per questo la sua ricerca artistica l’ha portata nei paesi mete della rotta degli schiavi, per contaminarla con ritmi afroamericani?
«Esatto. I vecchi musicisti tradizionali mi hanno insegnato che la musica non ha colori, non ha lingua, perché il cuore dell’uomo non ha colore. Lo vedo ogni volta, mi vengono a vedere gruppi sociali diversi, con background diversi. Ma con la musica si riesce ad affratellare persone così diverse. La musica non uccide ma riunisce, salva e può far arrivare a liberare qualcuno come Nelson Mandela. Sono questi i motivi della bellezza della musica. E per questo l’amerò fino alla fine dei miei giorni».
Lei ha dichiarato che «i Paesi forti devono rispettare i popoli. Altrimenti la globalizzazione diventerà la più forte alleata del terrorismo». E ha aggiunto che la musica serve anche a chiedersi come possiamo fermarla, tutta questa violenza. Quella dei ricchi verso i poveri e quella di chi ha fame e vuole cibo. In che modo?
«Questo è già vero: non si vincerà la guerra al terrorismo se non si accorcerà il gap tra ricchi e poveri. Chi ha le fonti di reddito che permettono di fare delle cose non vorrà mai che qualcuno gliele tolga. Mentre qualcuno che cerca di riuscire nella vita, e non ci riesce, pensa che la risposta sia nella violenza, nel terrorismo. I paesi ricchi non si chiedono perché certa gente lascia il proprio paese per andare all’estero? Se avessero potuto non l’avrebbero lasciato mai. Se fossi stato uomo, avrei potuto magari avere un mercato nel mio paese, ma essendo donna non ho potuto, sono dovuta andare via. In Africa tanti ragazzi sono così, maschi e femmine, che vogliono studiare, farsi una cultura e non se ne andrebbero mai. E quando faccio sessioni musicali, e gli dico che c’è la miseria anche in Europa, e non mi credono. Guardano la tv e pensano a un mondo diverso. Inutile porre i problemi, vedono solo l’aspetto positivo.
La risposta sta dentro di noi. Se prendiamo in mano questa risposta, possiamo cambiare. Appena ho cominciato a fare musica, i musicisti tradizionali mi dicevano sempre che dovevo amare me stessa, e rispettarmi, e potevo così fare questo agli altri, perché tutti hanno bisogno di amore e rispetto. Amore e rispetto. Con cultura ed educazione servono a cambiare la propria vita e la vita degli altri. E a risolvere i problemi».
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