da Il Sussidiario.net
SCUOLA/ Il punto sui primi cento giorni del ministro Gelmini
Fabrizio Foschi
A quali criteri si ispira l’azione politica del ministro dell’istruzione Gelmini, alla luce dei primi 100 giorni del governo di cui fa parte?
La prima considerazione è relativa alla praticità dimostrata dalla giovane titolare del dicastero di viale Trastevere. Nessuna nuova riforma, ha tenuto subito a precisare, ma applicazione del meglio esistente sul campo (il riferimento è alla riforma Moratti, ma anche a taluni provvedimenti del predecessore Fioroni) e semmai completamento dei segmenti mancanti (l’attenzione non può che concentrarsi a questo proposito sulla necessità di nuovi ordinamenti della scuola secondaria di secondo grado).
Il ministro Gelmini ha inteso inscrivere la propria attività all’insegna del “buon senso”, da tempo auspicato da varie espressioni culturali di diversa estrazione (un gruppo di personalità così denominato aveva dato precisi segnali nella fase pre-elettorale), ma difficilmente attuato all’epoca degli scontri frontali tra maggioranza e opposizione e che ora sembrano (solo in parte) scongiurati, complice anche la solidità della attuale maggioranza.
La seconda considerazione riguarda alcune piste di lavoro intraprese che attengono all’idea di restituire al complesso meccanismo della istruzione pubblica italiana un minimo di aderenza alla realtà. Ne prendiamo in considerazione tre.
Sul versante degli studenti, il ministro Gelmini ha confermato l’ordinanza Fioroni che prevede che i ragazzi recuperino i debiti scolastici entro l’anno scolastico in cui sono stati loro assegnati (da qui i corsi di recupero che si stanno svolgendo nelle scuole superiori e le verifiche legittimamente previste per i primi di settembre); ha inoltre ripristinato la valutazione del comportamento degli alunni sia del primo che del secondo ciclo; ha ribadito, infine, il valore dello studio della Costituzione (che, non dimentichiamolo, è stata riformata nel 2001 anche se quasi nessuno sembra accorgersene). In tutti i casi è concessa alle scuole e agli insegnanti ampia autonomia. Sul fronte dei docenti, le novità concernono anzitutto la soppressione delle SSIS (Scuole di specializzazione per l’insegnamento secondario) che da una decina d’anni fungevano da canale di abilitazione e di avvio alle graduatorie permanenti per l’assunzione dei medesimi. Essendo state trasformate queste ultime, dalla Finanziaria 2007, in graduatorie ad esaurimento (lo svuotamento sarà in ogni caso lento), le SSIS hanno perso di significato. Urge un nuovo sistema di formazione e di reclutamento del nuovo docente. Il ministro ha promesso di volersi mettere al lavoro in questa direzione, sulla quale già si è collocata la proposta di legge dell’on. Aprea. Che fare a breve? Probabilmente, a quanto è dato di capire, le “vecchie” SSIS biennali saranno sostituite da un anno di tirocinio (o praticantato) che il neolaureato con laurea specialistica/magistrale dovrà sostenere prima di conseguire l’abilitazione. Poi si andrà alla fase dell’assunzione che dovrebbe coinvolgere in maniera più attiva la scuola autonoma. Il ministro Gelmini ha più volte ribadito di vedere con favore un sistema di reclutamento diretto da parte delle scuole (è previsto del progetto Aprea). Si vedrà. Nel frattempo nel suo disegno di legge, licenziato dal Consiglio dei ministri il 1° agosto, la Gelmini assegna ai dirigenti scolastici il compito di reclutare docenti a tempo determinato e di poterli riconfermare sulla cattedra loro assegnata per l’anno successivo: una sorta di prova generale della chiamata diretta.
Quanto alle grandi strategie, terzo punto, sono da segnalare due aspetti: l’obbligo scolastico che si potrà assolvere anche nei percorsi di istruzione professionale regionali (e non è poco!) e la riconferma della commissione istituita da Fioroni per il riordino dell’intero assetto della istruzione tecnica e professionale. Come si vede, fin qui il percorso seguito è all’insegna della concretezza e del merito.
Ma veniamo alle note dolenti della razionalizzazione e dei tagli agli organici: circa 100 mila docenti nell’arco dei prossimi tre anni. La misura, imposta dalla manovra economico-finanziaria prevista dal duo Tremonti-Brunetta, è accolta con grande cautela dal ministro mentre giungono le prime bordate reattive dei sindacati che minacciano azioni di forte contrasto.
Riteniamo che se ne debba venir fuori in modo che gli inevitabili sacrifici siano contemperati da una nuova sistemazione dello stato giuridico della professione docente. Nella prospettiva dello statalismo assistenzialista nuove immissioni di personale scolastico e riduzione dell’organico sono due leve incompatibili: non così, probabilmente, per chi si colloca dal punto di vista della scuola che lavora e che deve essere premiata per il valore aggiunto che immette nel percorso dell’allievo, mentre la scuola che funziona meno dovrà essere sollecitata a recuperare determinati livelli standard stabiliti in modo uniforme (altre nazioni europee insegnano che la valutazione esterna è un buon incentivo per la qualità dell’offerta formativa).
La razionalizzazione della rete scolastica dovrà insomma misurarsi con l’autonomia delle scuole e non essere calata dall’alto in modo drastico. Si apre qui un campo di lavoro e di attenta elaborazione di alternative, che possono fondarsi non sull’astratto di programmazioni ideologiche, ma su esperienze che già esistono.