da Repubblica
Il trucco del look
Il bisogno della ministra Gelmini di costringere gli studenti italiani a indossare un grembiule disegnato da uno stilista di Stato ricorda molto quelle donne che pensano di eliminare il cattivo odore con gli spruzzi di Chanel invece che lavandosi le ascelle.
E tuttavia siamo pronti ad incoraggiare Nostra Signora dei Grembiuli se non altro per vedere la reazione dei giovani che, dinanzi a questa smania di falso decoro e di ipocrisia, a questo gratuito bullismo di Stato, potrebbero presentarsi in classe, che so?, le ragazze in lungo e in nero, e i ragazzi con i bastoncini di giunco, il monocolo, i colletti rotondi, lo smoking. Insomma, per come conosciamo la scuola italiana, siamo sicuri che i grembiuli e la buona condotta introdotti dalla ministra Gelmini funzioneranno da scintilla. E che la prateria si incendierà subito.
Gli studenti italiani vorranno sapere, per esempio, se il figlio di Bossi è stato bocciato perché non indossava il grembiule o perché non sapeva con quante "t" si scrive Cattaneo del quale ancora si proclama esperto. E poi domanderanno alla ministra se l´educazione civica, vale a dire il rispetto dei simboli istituzionali e del bene pubblico, non andrebbe impartita al Bossi del dito medio e al Berlusconi del conflitto di interessi. E ancora se la buona condotta italiana va misurata nelle aule scolastiche o nelle alcove ministeriali.
Attenzione, qui non si tratta di preferire i giovani trasandati ma di sostanza o di denunziare nel grembiule e nel sette in condotta una nuova barriera contro i talenti che non si lasciano irreggimentare. Magari fossimo all´introduzione di un nuovo sistema di controllo e di riproduzione del sapere e del potere. Magari fossimo al dibattito che c´è, per esempio, in Francia e in Inghilterra tra permissivi e rigorosi o alla pratica inglese della divisa che è l´orgoglio di un´eccellenza scolastica che in Italia non è neppure tentata. Gli inglesi per tutta la vita si identificano con i colori della scuola che hanno frequentato. E non parliamo solo di quelli che conservano nell´armadio il "tail coat" di Eton magari contrapposto alla marsina di Harrow o ai blazers a righe di Dulwich College, nel cui atrio sta spiegato quanto sia essenziale l´abito: «Uno studente senza la sua divisa sarebbe come un medico senza lo stetoscopio, un cuoco senza cucchiaio, un giardiniere senza le cesoie». Tutto vero, certo. Ma in Inghilterra.
In Italia solo ad un ministro della scuola che non sa nulla della scuola può venire in mente di surrogare Dulwich College con una giacca a righe. Insomma si capisce bene che da noi il dibattito sul look scolastico non è solo fatuo, è anche un alibi. Qui siamo al trucco, al parlare d´altro e quindi alla colpevolezza. In Italia infatti non ci vogliono grembiuli ma edifici, aule, strumenti di didattica, un nuovo sistema di stipendi, di aggiornamenti e di incentivi, nuove strategie formative… cioè soldi, competenze e credibilità che spingano le fantasie degli adolescenti ad aggrapparsi ai rami della mitologia e ai misteri delle lingue, ai paradossi matematici, alla filosofia, alla musica della versificazione, alla magia della chimica. O dai a uno studente il piacere di infilarsi nella storia con la capacità del professore e con la ricchezza delle tecniche audiovisive, oppure lo ecciti soltanto come si eccita un toro con il drappo rosso.
Siamo i primi a credere alla ricchezza formativa e anche contagiosa dell´eleganza e della cura di sé, al narcisismo consapevole come devozione al valore del rispetto, alla disciplina e alle buone maniere come conseguenze, come punti di arrivo di una scuola ricostruita. Ma davvero questa riforma Gelmini è solo un teatrino che scambia l´ombra con la realtà. Il giovanotto italiano inventato dalla Gelmini è infatti una patacca che semplicemente non esiste, è un pariniano con le mani pulite, il naso pulito e il sederino pulito che imparerebbe a scuola tanto ad offrire il braccio alla vecchietta che attraversa la strada quanto a far di conto e ad usare il computer: è la piccola vedetta berlusconiana di un borgo felice e premoderno di cui c´è traccia solo negli orribili depliant di Milanodue con i laghetti artificiali e le paperelle che hanno la stessa funzione dei grembiuli sul corpo degli studenti e del capellume posticcio sulla testa del premier.
La buona condotta, l´educazione civica e la divisa qui sono soltanto vacuità, espedienti distintivi di una inadeguatezza e di un´estraneità alla scuola che è un luogo da investimenti, da risorse primarie senza logiche contabili. E infatti la prima verità da rinfacciare alla Gelmini è che la scuola italiana è malvestita o peggio "pervestita" perché è ospitata in edifici cadenti, squallidi e malsani. E sia gli insegnanti e sia gli studenti indossano gli stessi jeans sporchi e bucati: i primi per povertà e i secondi per insolenza. E difatti tutti sanno che il malmesso professore italiano va a lezione con l´abito del poveraccio perché guadagna meno di una cameriera, mentre il giovane scolaro semplicemente non sa di seguire la moda che impone di far finta di non curarsi delle mode perché sempre si crede che il mondo sia nuovo quando si è nuovi al mondo.
E pure gli edifici, gli uffici, le aule, i laboratori e le palestre sono in perfetta sintonia con i jeans bucati e macchiati di vernice che anzi spesso hanno più dignità di ambienti comunque dominati dal cattivo gusto burocratico, sbrigativo e vago come sono sbrigative e vaghe le cose che ormai vengono insegnate e che dunque producono un´estetica sbrigativa e vaga.
Perciò è addirittura patetico tutto questo straparlare di decoro: Berlusconi e la Gelmini la mettono già dura con la società delle immagini e dell´apparenza scatenando sui giornali compiacenti il sostegno dei jeansologhi delle varie scuole, tradizionalisti contro futuristi, gli esperti del look contro quelli di latino…
Ma sino a quando il salario degli insegnanti italiani sarà pari, nel migliore dei casi, alla metà di quello dei loro colleghi europei qualsiasi riforma della scuola sarà velleitaria.
Pensate, infine, ai ragazzi "schierati" in divisa gelminesca e agli insegnanti che per darsi un tono usano un telefonino marocchino, vestono in similpelle, calzano polacchine "quattro stagioni", sfoggiano i maglioni dell´Oviesse. Ma davvero la ministra crede che un giovane in grembiulino possa farsi mettere in castigo dietro la lavagna e accettare ammaestramenti e moniti di educazione civica da chi nella vita non è riuscito a guadagnare più di un portiere? Forse penserà invece, lo studente in divisa, che quel poveraccio del professore non ha capito nulla del mondo e che magari una lezione bisognerebbe darla proprio a lui. È sempre così che succede: un Paese che non rispetta la scuola crea una scuola che non rispetta il Paese.
Attenti dunque alla vacuità di questa Gelmini con i suoi tailleur gonna-pantaloni blu vagamente poliziotteschi: è l´altra faccia della scuola degli studenti bulli e dei professori straccioni, è la scuola maltratta nella sostanza e "ingrembiulata" nella forma.
FRANCESCO MERLO
Il bisogno della ministra Gelmini di costringere gli studenti italiani a indossare un grembiule disegnato da uno stilista di Stato ricorda molto quelle donne che pensano di eliminare il cattivo odore con gli spruzzi di Chanel invece che lavandosi le ascelle