La Scuola del Grande Fratello

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La Scuola del Grande Fratello

Messaggiodi edscuola » 18 luglio 2008, 6:51

da ScuolaOggi

La Scuola del Grande Fratello
di Osvaldo Roman

Si è concluso presso le Commissioni della Camera l’iter del D.L. n. 112/2008 (Tremonti) che è destinato a ridimensionare e a rideterminare, unitamente al PDL n.935(Aprea) l’intero assesto del sistema scolastico del nostro paese. Mancano le modifiche che potrebbero essere ulteriormente inserite nel testo destinato al voto di fiducia ma sono già presenti alcune certezze su cui poter esprimere una valutazione affidabile.
Innanzitutto quelle di carattere politico. Nonostante il profluvio di invocazioni al dialogo e all’incontro bipartisan, provenienti soprattutto da settori della maggioranza, oggi possiamo elencare tre fondamentali circostanze che negano nei fatti ogni disponibilità della maggioranza di destra che governa il paese a trovare punti di convergenza con l’opposizione:
1. Sui temi della scuola, ma anche su tutto il resto, sono state concesse solo poche ore di discussione; la Commissione Istruzione nonostante l’autorevole Presidenza è stata di fatto espropriata della possibilità di pronunciarsi con il proprio voto sulle scelte riguardanti la scuola contenute nel decreto e sulle proposte per la loro modifica. Il Parere di maggioranza non ha avuto alcun riscontro nel testo uscito dalle Commissioni Finanze e Bilancio. Solo per il Piano programmatico, da presentare alle Regioni entro 45 giorni, sarà accolta la proposta della Commissione e dell’Opposizione di passare a 60 giorni.
2. Il Piano che deve definire le scelte fondamentali per l’incremento di un punto del rapporto studenti /docenti potrà comunque fondarsi solo sulle norme vigenti e sarà interessante verificare come se la caveranno gli uffici ministeriali predisposti alla sua stesura. I Regolamenti di delegificazione sottratti al Parere delle Camere sono di fatto incostituzionali, perché, come rilevato anche dai Presidenti delle Regioni, il decreto legge non determina le norme generali regolatrici della materia e non dispone l’eliminazione delle norme vigenti con effetto dall’entrata in vigore delle medesime.
3. Nessun significativo e autonomo emendamento della maggioranza è stato accolto neppure quello che nel passato era stato sempre concesso all’on. Aprea e che garantiva il parere della Commissione Istruzione sui Regolamenti di delegificazione che affrontano decisive questioni dell’ordinamento scolastico.
Per quanto concerne il contenuto dei tagli c’é da ribadire che, nonostante i tentativi di mistificazione operati da varie agenzie filogovernative, la riduzione del numero dei docenti operata partendo dall’incremento di un punto del rapporto studenti/docenti determina, con i richiamati Regolamenti, effetti molto più devastanti sull’insieme dell’ordinamento scolastico di quanto altrimenti nel passato disposto con l’incremento del numero di alunni per classe. Con riferimento all’organico si tratta della riduzione di 87.341 posti che, considerando i 20.000 derivati dalle precedenti leggi finanziarie del governo Prodi, ai fini dei nuovi tagli al bilancio diventano 67.341.
Anche per il personale ATA il taglio è brutale e sbrigativo, da macelleria appunto, non si guarda dove e come, si taglia: meno 17% sul totale dei posti e così se ne individuano 42.500 da ridurre nel triennio 2009- 2011.
Si tratta complessivamente a regime nel 2012 di 3,188 miliardi di euro. Di questi il 30% all’anno, a decorrere dal 2010, dovrebbe essere destinato al personale: circa 410 milioni di euro per il 2010, 664 per il 2011 e 956 per il 2012.
Per comprendere il livello di blindatura che hanno avuto le norme formulate da Tremonti basta considerare le condizioni formulate nel parere in Commissione istruzione dalla stessa maggioranza e che praticamente non hanno trovato alcun accoglimento.
Non è un caso che contemporaneamente all’esame del decreto Tremonti si sia avviata in VII Commissione la discussione del PDL n. 935 presentato dall’on. Aprea.In questo modo si è, di fatto, squadernato l’intero armamentario che la destra vuole mettere in campo per sovvertire e cambiare la scuola prevista dall’ordinamento costituzionale. La Costituzione materiale si realizza con la legislazione ordinaria: è una vecchia pratica già sperimentata nel passato.
Si tratta sicuramente del più massiccio e organico attacco alla scuola pubblica mai tentato nella storia dello Stato repubblicano. Sorprende che si siano invocate collaborazioni bipartisan e sorprende ancor più che qualcuno all’opposizione vi abbia prestato attenzione.
L’avvio del dibattito in Commissione ha avuto un andamento surreale. L’on. Aprea, presidente, relatrice nonché presentatrice unica del PDL ha sostenuto che con quella proposta si porterebbe a compimento il progetto concepito, ma non realizzato dal centro-sinistra nella predente legislatura. L’on Aprea ha affermato è bene averlo presente per comprendere la spregiudicatezza dell’attuale maggioranza, che:
“la combinazione di tutti gli aspetti indicati del sistema che si intende riformare ha origine nella XV Legislatura allorquando il Ministro Fioroni da Caserta, dove il Governo Prodi era riunito per rilanciare la propria azione programmatica, nel febbraio 2007, annunciò che avrebbe proposto, di lì a breve, l'introduzione negli istituti scolastici dei Consigli di Amministrazione aperti alle imprese; la possibilità per le scuole di trasformarsi in Fondazioni; la modifica del sistema di finanziamento alle scuole attraverso le erogazioni liberali; modalità di coinvolgimento degli istituti nel reclutamento dei docenti, lo sviluppo professionale, ovvero le carriere, per i docenti in servizio.
Ricorda peraltro che chi ha avuto modo di seguire i lavori parlamentari fino alla fine della XV legislatura sa che poco di ciò che era stato in quell'occasione avanzato come ipotesi di riforma del sistema educativo è divenuto poi legge. Ecco perché nell'attuale legislatura, la XVI, la proposta di legge n. 953 può rappresentare lo strumento legislativo per riprendere il cammino di quelle riforme rimaste soltanto buone intenzioni senza mai arrivare a prendere forma di norme. D'altra parte, a fare la proposta in Parlamento è il gruppo del Popolo della Libertà, divenuto forza di maggioranza, rispetto alla scorsa legislatura che vedeva il Partito democratico al Governo".
Ora è evidente che l’Aprea non ignora che le Fondazioni hanno riguardato, con apposita legge, solo le scuole polo dell’istruzione tecnica e che nessuno ha mai proposto di affidare alle scuole il reclutamento dei docenti ciò nonostante ella forse confonde private conversazioni con democratici e volonterosi bipartisan, che pur sussistono, con le posizioni ufficiali di questo partito. In ogni caso se per avventura queste fantasie dell' on. Presidente avessero un minimo di fondamento molti come me non avrebbero, dolorosamente, più niente da spartire con questo Partito.
Ora poiché purtroppo non sono pochi e neppure tutti in buona fede, coloro che confondono i tagli dell’organico e la politica per il precariato del Governo Prodi con quelli realizzati da Tremonti e l’obbligo di istruzione di Fioroni con quello della Gelmini, almeno come configurato nel parere approvato in Commissione Cultura, sarà sicuramente opportuna una più netta e circostanziata presa di distanza da parte di chi veniva chiamato in causa così provocatoriamente. Ciò sarà possibile anche nel corso del dibattito in Aula ma sicuramente in qualche sede ufficiale del PD in cui di discuterà e si deciderà, speriamo, della politica scolastica di questo Partito.
Prima di sviluppare una riflessione critica complessiva sul testo del PDL n.935 ne analizzo sinteticamente l’articolato.
La possibilità di trasformare le istituzioni scolastiche in Fondazioni (art.2)riguarda sulla base di quanto indicato all’art.1 comma 7 anche le scuole paritarie.
Pertanto il Regolamento governativo, su cui è previsto il parere del Consiglio di Stato, mentre per le scuole statali rappresenta uno strumento per la loro privatizzazione, per quelle paritarie rappresenta la strada per una loro totale omologazione al “pubblico privatizzato”. Infatti, con le trasformazioni regolamentari si possono cambiare la natura e le finalità delle scuole a seconda delle decisioni proposte dalle medesime. Non è peraltro precisato il rapporto tra la proposta di regolamento formulata dalle scuole e i poteri Ministeriali.
Di fatto però l’istituto della Fondazione può essere uno strumento di privatizzazione della scuola statale che lo adotta in quanto:
a) ne cambia finalità formative e i relativi contenuti;
b)muta il rapporto con gli insegnanti dal metodo di reclutamento al trattamento giuridico ed economico;
c) muta il rapporto con l’utenza anche rispetto ai costi di funzionamento da essa sostenuti.
Non sono precisate le modalità di approvazione da parte del Consiglio di Amministrazione della scuola della proposta di trasformazione in Fondazione. Ogni scuola decide per conto suo o decide per tutte le scuole il Ministro? Non sono previste maggioranze qualificate. Di fatto la norma prevista apre una guerriglia per la privatizzazione delle scuole destinata ad essere combattuta in tutte le 10 mila istituzioni del nostro paese. Una vera e propria guerra civile permanente. Eppure costoro si presentono come il “governo dell’armonia” che pone fine alla guerra ideologica che da oltre un secolo, e oltre il Sillabo, ha infestato la scuola.
Per quanto riguarda gli organi collegiali: la prima elezione del nuovo Consiglio dovrebbe essere effettuata sulla base delle modalità decise da un Regolamento appositamente approvato dal vecchio Consiglio(art.5 c.3) Il meccanismo è destinato da incepparsi dando luogo all’effettiva regolazione delle elezioni da parte di un Regolamento tipo ministeriale che sarà sicuramente formulato al riguardo. La conseguenza è che le modalità di elezione torneranno di nuovo ad essere definite su scala nazionale.
Per quanto concerne la composizione del Consiglio di Amministrazione ( art.6)si deve notare che:
a) Il D.S. è membro di diritto ed anche Presidente.
b) I rappresentanti ( sembra più di uno) degli enti locali e gli esperti esterni sono membri di diritto a tutti gli effetti. Non è chiaro se siano da considerarsi fra gli undici componenti o oltre. In ogni caso tale presenza, già sperimentata nel passato, è totalmente inefficace e fittizia dando luogo nel migliore dei casi ad una sorta di minilottizzazione politica.
La presidenza del Collegio dei docenti ( art.7) non è stabilita e di fatto se non viene attribuita al D.S. viene rinviata al Regolamento. E’ inopportuno definire obbligatoria solo la seduta di inizio anno.
Relativamente agli organi di valutazione collegiale degli alunni (Art.8): Le modalità della valutazione sono recepite dal Regolamento, ai sensi dell’art. 7 c.2, oppure no?
I diritti di riunione e di associazione degli studenti e dei genitori (Art.9) non dipendono più dall’ esplicita previsione di una legge dello Stato ma sono fatti derivare da quanto previsto dal Regolamento delle singole scuole e quindi con modalità di realizzazione di tali diritti diverse da scuola a scuola e variabili nel tempo.
Del Regolamento degli studenti si ignorano le successive integrazioni previste dal DPR 21/11/07 n.235. Anche il Ministro Gelmini peraltro, in una recente intervista, ha dimostrato di ignorare che tale DPR ha apportato modifiche all'articolo 4 del decreto del Presidente della Repubblica 24 giugno 1998, n. 249 che incidono sulle modalità di valutazione finale degli studenti.

L’articolo 11 propone la privatizzazione del sistema scolastico. Anche con le Fondazioni, come si è visto, si persegue tale obiettivo prefigurando in tal modo una sorta di guerra dei trenta anni per la trasformazione e la conquista di ogni singola scuola.
Le risorse finanziarie, umane e strumentali attualmente presenti nel Bilancio dello Stato (circa 50 MLD di euro)sarebbero trasferite alle Regioni ai Comuni e alle Province. Di fatto nel Bilancio dello Stato dovrebbero restare solo le spese riguardanti il funzionamento e le competenze dell’amministrazione centrale.
Ogni scuola statale o paritaria anche di nuova istituzione riceve una quota del bilancio statale e della più generale spesa pubblica per l’istruzione, comprendente le retribuzioni dei docenti e del personale, corrispondente alla quota capitaria. Le scuole di fatto si istituiscono o cessano di funzionare per decisione delle famiglie. Cessa così il compito costituzionale della Repubblica di istituire scuole statali di ogni ordine e grado (art 33 c.2 della Costituzione).
All’art 12 non è chiaro cosa mai possano essere “le libere associazioni”? E quelle non libere cosa sono? Appare di fatto all’orizzonte il concetto di Associazioni ministeriali.
Nel delineare la funzione docente l’educazione precede l’istruzione nel classico schema clerico-conservatore.
Per quanto riguarda la formazione iniziale dei docenti l’art.13 recupera buona parte del D.L.vo Moratti sulla formazione. Non sembra però recuperata, nonostante che lo si affermi altrove, la norma sul valore abilitante degli esami universitari e di conseguenza vengono a cadere i successivi riferimenti e tale titolo.
L’Art.14 prevede gli albi regionali dei docenti e stabilisce che chi ha conseguito il titolo abilitante vi si deve poter iscrivere sulla base del voto conseguito. Nel testo forse per una svista non viene negata la possibilità di iscrizione in qualsivoglia albo regionale. A meno che una legge (regionale?) non limiti poi tale accesso. La Gelmini in una recente intervista ha precisato il suo pensiero, forse memore delle strapazzate subite da Bossi, valutando che almeno il 60 % dei docenti dovrebbe essere “legato al territorio”. Che cosa significa ciò .Obbligo di nascita e da quante generazioni? O di residenza e per quanti anni? Sicuramente arriveranno anche le impronte digitali! Il testo in realtà sembra prefigurare una limitazione alla regione dove si è conseguito il titolo.
Con il contratto di inserimento di cui tratta l’art 15 inizia il vero e proprio processo di privatizzazione del reclutamento.
Innanzitutto non è chiaro, e non è cosa di poco conto, se tutti coloro che hanno conseguito l’abilitazione abbiano il diritto al contratto di inserimento. Non è chiaro poi se si procede o no alla nomina solo per coloro che sono prescelti secondo l’ordine di graduatoria.
Quello che è chiaro è che tale ordine non è rispettato dalle scuole che possono scegliere i docenti. Qui, di fatto, si realizza il principio della chiamata diretta perché il successivo concorso è rivolto solo ai suddetti soggetti così arbitrariamente selezionati. Se andiamo a riconsiderare come si svolge il concorso dei docenti di religione cattolica troviamo che anche lì prima c’è idoneità e l’incarico discrezionale da parte delle Curie. Poi c’è il concorso ma la graduatoria di merito non è vincolante per le nomine in ruolo e per l’assegnazione delle sedi su cui dispone sempre l’autorità religiosa. Per questo motivo il reclutamento proposto dall’on. Aprea può essere definito “ di tipo curiale”.
La chiamata diretta accompagna e sostiene il progetto di privatizzazione che assume così connotati regionali e ideologici.
E molto importante mettere in evidenza che il PDL in discussione fa riferimento ai nuovi corsi di formazione dei docenti definiti dall’articolo 13 e quindi esclude la partecipazione ai concorsi indetti dalle scuole di tutti i vecchi abilitati ma anche di coloro che hanno fatto in precedenza le SISS o le lauree magistrali. Non a caso il governo in questi giorni ha presentato un emendamento al DL 112 per bloccare le SISS e ogni tipo di formazione universitaria. Non è chiaro nel testo se possano partecipare ai concorsi indetti dalle singole scuole tutti gli aventi titolo su scala nazionale. In questo caso l’ingorgo del concorso nazionale che si vuole evitare si moltiplicherebbe per 10 mila! Infatti, non é specificato se ai concorsi di istituto possono partecipare tutti coloro che sono in possesso dei requisiti richiesti o solo quelli della regione o solo quelli che hanno svolto l’anno di inserimento presso la scuola. Forse si intende lasciare la definizione di tale materia al bando di concorso emanato dalla scuola e alla valanga di ricorsi che ne seguirebbe.
L’Art. 17 provvede all’articolazione in tre distinti livelli della professione docente. Finalmente si realizza anche il portfolio per i docenti se ne sentiva sicuramente il bisogno!
La definizione dei contingenti di ciascun livello dovrebbe essere materia di contrattazione sindacale ma ciò non è stato precisato perché in tutto il PDL si omette di stabilire quali siano le materie residuali destinate alla contrattazione sindacale. Eppure sarebbe bastato individuarle come tutte quelle non trattate nel provvedimento. Se non lo si è fatto è perché ci si attende e si auspica che altri atti legislativi da altri prodotti (Brunetta o Tremonti) provvedano allo scopo.
La vice dirigenza recupera la condizione di sovra-ordinamento gerarchico dei dirigenti rispetto ai docenti, persa nei tempi dell’egualitarismo ma sicuramente in grado di riportare serietà e ordine in tutte le scuole. Peccato però che per il Dirigente tale condizione non sia prevista dall’articolo 25 del T.U. Ma si può rimediare attribuendola al vice che la esercita per delega da chi, non possedendola, ne viene investito indirettamente. In effetti, sarebbe un’ omissione e una menomazione per il nuovo Dirigente che convoca e presiede tutti gli organismi della scuola.
La relazione dell’on. Aprea sui Dirigenti è veramente divertente e fantasiosa. Essa asserisce che il suo PDL:
“ prevede l'istituzione di una dirigenza scolastica di tipo amministrativo, anche come leadership educativa. La stessa definizione della dirigenza scolastica è avvenuta concretamente, agli articoli 25-bis e 25-ter del decreto legislativo n. 29 del 1993, introdotti dal decreto legislativo n. 59 del 1998, oggi articolo 25 del decreto legislativo n. 165 del 2001, in mancanza di un coerente sviluppo della carriera, in polemica con la funzione docente e non come naturale sviluppo della carriera, per cui oggi il dirigente scolastico appartiene per profilo, per trattamento economico, per modalità di reclutamento e per funzioni più alla carriera burocratico-amministrativa che non a quella di tipo educativo e didattico. La conseguenza è che le scuole sono oggi prive di una vera e propria leadership, (sic!)un vuoto che non può essere riempito né dalle «funzioni obiettivo», tutte elettive e provvisorie, né tanto meno dai collaboratori del dirigente - compreso il vice - scelti dal dirigente stesso senza criteri di competenza e di merito professionali".
Non è dato finora conoscere come abbiano valutato questo trattamento di riguardo i dirigenti delle numerose e qualificate associazioni di categoria.
Il PDL a queste confuse e inesatte affermazioni non fornisce peraltro alcuna risposta o tentativo di soluzione se non con la previsione del vice dirigente. Che rappresenti la tanto attesa colmatura del vuoto di una vera e propria leadership?
L’Art. 19 si occupa del nuovo associazionismo professionale di regime. Si deve notare che la normativa vigente non prevede l’accreditamento delle Associazioni professionali in quanto tali. Semmai accredita quelle che svolgono determinate attività di formazione e solo a tal fine.
All’art. 20 è molto evidente che il principio del riconoscimento governativo sostituisce quello della rappresentatività che regola la partecipazione dei sindacati alle trattative e la partecipazione al CNPI.
Non è specificata la natura dei nuovi organismi regionali e nazionale che risultano rappresentativi solo a parole ma non nei fatti. Non si dice neppure se siano o no organismi Ministeriali incardinati presso gli Uffici regionali e il Ministero oppure organismi autonomi e gestiti dalle rappresentanza (comunque designate o elette dei docenti)? Ignote pure le modalità del loro funzionamento e del loro finanziamento. Tutta la norma in materia risulta quindi generica e puramente declamatoria.
Le formule dell’”adeguata rappresentanza” e “della designazione da parte delle associazioni” senza alcun riferimento al principio di rappresentatività scoprono in definitiva una maldestra operazione di regime.
Non sono definiti i compiti di tali organismi non è definita l’allocazione del contenzioso amministrativo e disciplinare. Se si lasciano questi compiti all’Amministrazione abolendo le attuali competenze del CNPI va detto esplicitamente. Il comma 4 dell’art.21 ripropone comunque la natura paraministeriale di tali organismi.
L’art.22 sistema infine le vituperate e invadenti organizzazioni sindacali. Non è chiaro dove e come devono essere individuate le materie riservate alla contrattazione nazionale regionale e di istituto e chi ne siano i titolari dato che a livello di istituto ad esempio si vogliono abrogare le RSU. Dà evidentemente troppo fastidio il voto garantito a tutti i dipendenti liberamente espresso scuola per scuola.
Non è indicata la normativa abrogata o modificata.
Si intende eleggere le rappresentanze a livello regionale. Si intravvede, pur nella vaghezza del testo, la linea espressa dal Ministro Brunetta: contratto nazionale snello con l’individuazione dei minimi retributivi dei tre livelli in cui si dovrebbe articolare la docenza; una contrattazione regionale in cui riconoscere gli incentivi alla funzione docente e una di istituto in cui, in assenza di rappresentanze sindacali, sarebbe solo possibile la sottoscrizione del contratto individuale. La linea provocatoriamente espressa dalla Confindustria sul “contratto personale” troverebbe cosi pieno accoglimento per i docenti nella scuola. Troverebbe anche accoglimento la richiesta di chi pensa di mettere in campo,prima o poi, lo strumento del contratto regionale.
Vale pertanto la pena di riferirsi ampiamente alla relazione dove si afferma che “l'insegnante - caso unico in tutto il pubblico impiego (sic!) - si trova ancora accomunato con tutto il personale dipendente della scuola compresi gli ausiliari. Tale scelta politica ha avuto come conseguenza quella vera e propria «anomalia» organizzativa costituita dall'istituzione della rappresentanza sindacale unitaria (RSU) eletta in ogni istituzione scolastica, nella quale l'insegnante può essere rappresentato da operatori e da lavoratori che nulla hanno a che fare con la sua professione e che sono chiamati a definire per via pattizia aspetti specifici dell'attività professionale docente dei quali non hanno conoscenza e competenza alcune.”
Evidentemente nessuno ha spiegato alla Presidente che tale contrattazione non riguarda gli aspetti inerenti alla professionalità docente e che anche l’insegnante può a volte rappresentare i famigerati ATA.
E’ assai singolare la ricostruzione storica dello stato giuridico dei docenti in quanto la relatrice ritiene che “sino ad oggi il Parlamento, fin dalle origini del sistema scolastico nazionale, si è occupato dell'insegnante essenzialmente come dipendente pubblico, alla stregua di tutti gli altri impiegati dello Stato; basti pensare alle norme sullo stato giuridico del 1906, 1923, 1957 e 1974. A partire dagli anni Ottanta, ad esso sono state assicurate, come agli altri impiegati pubblici, la contrattazione e tutte le libertà sindacali, accentuando la sua dipendenza piuttosto che la sua autonomia e responsabilità professionali”.
In realtà fino al 1974 non è esistito un autonomo stato giuridico dei docenti e le norme che ne regolavano in precedenza il rapporto di lavoro avevano sempre fatto riferimento agli impiegati civili dello stato o a leggine di carattere settoriale e clientelare.
La proposta di legge in quanto tale non prova neppure ad individuare e a distinguere le materie di stato giuridico che dovrebbero essere definite per legge e quelle da assegnare alla contrattazione sindacale. Solo nella relazione si indica che “ il concetto di «stato giuridico» include, tra l'altro, l'identificazione, ovvero in che cosa consiste, e la configurazione, identica o differenziata, della funzione docente; i contenuti e i limiti della libertà di insegnamento; le procedure di reclutamento e la «carriera»; le cause e le modalità di cessazione del rapporto di lavoro; le relazioni con l'istituto scolastico, con gli organi collegiali, con il dirigente scolastico, con gli organi ministeriali e degli altri enti pubblici; gli organismi rappresentativi della funzione docente; le modalità e le procedure per la valutazione e il controllo dell'attività dei docenti. Anche le modalità e le procedure per la valutazione e il controllo dell'attività dei docenti rientrano nella nozione di «stato giuridico» e, dunque, nell'ambito riservato al legislatore statale. In tale contesto, il Parlamento potrebbe introdurre, andando a colmare un vuoto attualmente esistente nell'ordinamento, forme di valutazione e di responsabilità del docente, che dovrebbero essere improntate alla predeterminazione dei criteri della valutazione medesima, quale, ad esempio, il raggiungimento di obiettivi formativi predefiniti”.
Ovviamente tale auspicio non trova riscontro nel testo presentato alla Camera. Evidentemente di tale materia, concernente, nel quadro istituzionale sopraindicato, la definitiva cancellazione della libertà di insegnamento dei docenti e la loro completa sottomissione al regime, si potrà tranquillamente trattare in un secondo tempo.
Per quanto riguarda le materie residuali da lasciare alla contrattazione sindacale (un sindacato da mezzo servizio) la relatrice ha sostenuto la necessità di prevedere: “un contratto snello, che intervenga sulle materie che gli sono proprie e quindi sui punti che non incidono sulle competenze professionali e sull'organizzazione della carriera, in particolare, orario, retribuzione, mobilità, nonché riconoscimento dell'autonomia contrattuale di una categoria di professionisti, area autonoma, di cui all'articolo 22”.
Mancano infine le norme transitorie e finali e soprattutto quelle abrogative. Si tratta complessivamente più di un manifesto sull’autoritarismo di questa destra di governo che un' effettiva normativa di carattere legislativo. Forse per questo molti lo hanno finora sottovalutato o letto con distrazione.
In realtà c’è poco da distrarsi. Credo che anche i più benevoli e bendisposti riformisti bipartisan qualche problema se lo dovranno porre. E’ necessario che costoro facciano lo sforzo di immaginare come sarebbe ridotta la nostra scuola pubblica tra una dozzina di anni se queste norme entrassero in vigore in tempi brevi. Per il DL 112 basta attendere la fine di agosto.
Innanzitutto ci si deve domandare se la privatizzazione del sistema di istruzione, realizzata affidando alle famiglie il bilancio dell’istruzione pubblica, (superando di slancio ogni previsione costituzionale) sia la medicina necessaria per sanare i malanni oggi esistenti. Nessuno può sottovalutare che, qualora l’ordinamento lo consentisse, tutti i gruppi di cittadini in condizioni di farlo, per omogeneità etnica, politica o religiosa o anche per autodifesa o per esclusione da tali aggregazioni, sarebbero incoraggiati o costretti a istituire la propria scuola,. Le Fondazioni spingono in questa direzione partendo dalle scuole statali esistenti. In questa nobile gara e facile immaginare la fine dei meno abbienti.
Non solo il carattere laico della nostra Repubblica ma la stessa convivenza civile ne risulterebbero gravemente compromessi.
Siamo sicuri che in Italia, come certamente non avviene in Finlandia, (De Mauro ama dire che in Italia non c’é la Finlandia) il Reclutamento realizzato scuola per scuola non rappresenti, prima che uno strumento di carattere clientelare gestito da mafie, massonerie e opusdei, un formidabile strumento di controllo culturale, sociale e politico dei docenti che si vedrebbero espropriata ogni libertà di insegnamento?
Ciò soprattutto in un nuovo ordinamento in cui il reclutamento, la carriera e il suo sviluppo sarebbero decisi in sede locale anche con l’intervento di commissari di un ordine professionale paragovernativo.
Si può infine sottovalutare il fatto che l’attacco al sindacato e ai diritti di contrattazione presenti nella proposta di legge siano parte di un più generale attacco al sindacato, ai diritti e alle libertà dei lavoratori ormai in atto in tutto il paese?
Come si fa ad ignorare che la mobilitazione che è necessario realizzare oggi scuola per scuola, lungi dall’essere un ritorno condizionato ad un vecchio modo di fare politica, rappresenti l’unico modo esistente e concreto per proteggere le ancorchè deficitarie istituzioni scolastiche da un attacco che le vuole liquidare prima di tutto in quanto espressioni del pubblico?
Ed infine mi sia concessa una proposta provocatoria ma non troppo. Se c’é qualcuno fra i democratici e i riformisti bipartisan che può vantare una frequentazione con l’on. Aprea perché non le propone di applicare integralmente, magari in via sperimentale per una decina di anni, le principali proposte presenti nel suo progetto di legge, al sistema delle scuole paritarie. Se funzionasse ne potremmo riparlare!
Ovviamente si tratta di una proposta che possono rivolgere tutti coloro che hanno a cuore la sopravvivenza del sistema pubblico di istruzione, non necessariamente amici della suddetta.
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