I punti fermi di Emma

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I punti fermi di Emma

Messaggiodi edscuola » 28 maggio 2008, 13:20

da Tecnica della Scuola

I punti fermi di Emma
di Diesse

Emma Marcegaglia ha inaugurato la sua presidenza alla guida di Confindustria con una relazione nella quale ha toccato anche il tema della scuola e della educazione.
Questi, in sintesi, i principali concetti espressi: Un Paese che voglia crescere deve investire nella formazione. Va cambiata la cultura che ha indebolito la scuola e l’università per un malinteso e dannoso egualitarismo. Invece di spingere i ragazzi a studiare di più, è prevalsa l’idea di promuoverli più facilmente. Si è pensato che il titolo di studio, e non la qualità dell’istruzione, fosse la chiave della promozione sociale.
La selezione dei docenti è spesso degenerata: autogestione sindacale nella scuola, cooptazione baronale nell’università. E’ essenziale che la qualità dei docenti sia ricompensata con incentivi di carriera e premi economici. Va promossa l’emulazione tra le scuole. Vanno rivalutati gli istituti tecnici e professionali, devono moltiplicarsi le sinergie tra aziende e atenei per la ricerca applicata. Dobbiamo investire sulla qualità, valutando a livello nazionale l’apprendimento nelle materie chiave. In conclusione: i nostri figli rispetto a noi avranno sfide molto più difficili. Dobbiamo dar loro una scuola esigente, selettiva, di eccellenza, che consenta di affrontare la competizione con le carte migliori. Si tratta, come si vede, non di semplici esortazioni, ma di una piattaforma per un’azione di lunga gittata che intende rompere con una certa tendenza italica alla navigazione a vista, nonché gettare le basi per il sistema formativo del futuro. Se è vero che la relazione ha ottenuto consensi dalle principali forze politiche in campo (Berlusconi ha detto: la relazione di Emma è il mio programma; Veltroni ha detto: bene Emma su merito e scuola) e perfino dai sindacati (Cgil a parte), si prospetta una situazione di consenso bipartisan su vari aspetti del manifesto confindustriale, tra i quali anche quello scolastico.
È evidente, anche alla luce dei punti che abbiamo riassunto, che si sta consolidando in Italia un filone pedagogico-programmatico che insiste sul binomio “merito & innovazione”. Già il “Gruppo di Firenze” rappresentato da intellettuali di ogni provenienza culturale era sceso in campo poco prima dell’ultima tornata elettorale per auspicare la fine della scuola del buonismo e dell’autoritarismo.
La stessa proposta di legge presentata nel febbraio scorso da Mariastella Gelmini, ora Ministro dell’Istruzione, Università e Ricerca, insisteva sul merito come “conseguimento di risultati individuali o collettivi superiori a quelli mediamente conseguiti nei rispettivi ambiti di attività, tenuto conto dei compiti assegnati e delle capacità possedute”. Inoltre Veltroni, in campagna elettorale, ha più volte affermato che “è sul talento e sul merito che la società italiana dovrà contare”. Infine, come non ricordare che merito e responsabilità erano già insiti nella Legge 53/2003 del Ministro Moratti, che all’art. 3 prevedeva un sistema nazionale di valutazione della qualità delle scuole? In concreto, dove passa la linea di separazione tra merito ed egualitarismo? Si ricava, da una lettura comparata dei documenti citati, che questo tipo di orientamento punta ad una scuola più selettiva (ma non classista), più competitiva (in un quadro di raggiunta parità tra statale e non statale), più valutata dall’esterno (senza perdere con questo la sua autonomia).
La strategia disegnata necessita ovviamente di una serie di passi per essere attuata e da questo punto di vista è fondamentale il confronto con la scuola reale, e soprattutto con le esperienze educative di docenti profondamente coinvolti nel lavoro con la classe. E proprio il nodo dei docenti diventa fondamentale, stante il fatto che da più parti si riconosce l’opportunità di una carriera del docente.
L’eredità statalista che ci portiamo appresso ha purtroppo inciso sulla mentalità di molti insegnanti che tutto sommato si accontentano dello status da impiegati che è loro riconosciuto.
Un nuovo percorso di valorizzazione della professione è invece inseparabile dalla valutazione della qualità dell’offerta formativa e culturale. Ai docenti insomma è chiesto di ricominciare a giudicare il lavoro che fanno: un’altra bella sfida alla quale non ci vogliamo sottrarre.

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