da Corriere
Dieci prof, zero alunni E arriva anche il supplente
Gian Antonio Stella
Scuola Ritiro totale di una classe delle serali. Ma l'insegnante incinta viene sostituita
Al Pacinotti di Mestre lezioni deserte da febbraio
All'inizio dell'anno scolastico gli allievi della «1ª A» erano 18, poi sono calati fino a estinguersi. Ma la burocrazia chiede il «rapporto finale» su ogni materia
assente, assente... Nella «1ª A» di una scuola di Mestre i professori non fanno più l'appello da febbraio: tutti assenti. Tutti.
Dieci insegnanti, zero alunni. Appena una docente è andata in maternità, però, non c'è stato verso di rinunciare al supplente: «Sennò il rapporto finale su quella materia chi lo fa?» E così, da un mesetto, i «prof.» sono diventati undici. La scuola in questione è l'«Antonio Pacinotti», un istituto tecnico aziendale nato negli anni Quaranta per «preparare periti, tecnici e dirigenti per le industrie che si andavano sviluppando nel territorio», in particolare a Marghera. Il progetto ministeriale è il «Sirio», che il Ministero della Pubblica Istruzione, per bocca della dirigente Elisabetta Davoli, descrive come la risposta alla «necessità, ormai largamente condivisa, di realizzare più agili e nuove forme di qualificazione di giovani ed adulti privi di una professionalità aggiornata, per i quali il possesso del diploma di licenza media non costituisce più una garanzia dall'emarginazione culturale e/o lavorativa».
Traduzione: sono corsi serali esattamente uguali a quelli normali del mattino, sono destinati a quanti durante il giorno lavorano, cominciano poco dopo le sei di sera, finiscono alle undici per un totale di 25 ore la settimana e consentono di prendere un diploma identico a quello degli altri allievi. Tanto che gli stessi professori, a volte, fanno sia qualche ora la mattina, sia qualche ora la sera.
L'iscrizione costa cento euro e in larga parte gli studenti sono stranieri di buona volontà che desiderano migliorare la loro condizione. Persone che spesso, mosse da grandi speranze, si presentano in classe dopo aver cominciato a faticare nei cantieri o nelle fabbriche nelle prime ore dell'alba. E che, per quanto motivate, dopo qualche mese si rendono conto di non farcela. Troppo pesante, tenere insieme lo studio e il lavoro. E scelgono, ovvio, il lavoro. Insomma: che ci fosse una emorragia fisiologica degli iscritti era stato messo nel conto. Non c'è classe che parta e arrivi a destinazione con lo stesso numero di allievi. E nessuno può onestamente contestare al ministero la scelta di tenere aperte certe classi anche se falciate dagli abbandoni pur di rispettare il patto firmato con chi si è iscritto. Perfino se le classi, come capita non solo al «Pacinotti» ma un po' in tutti gli istituti italiani coinvolti nel «Progetto Sirio», dalle Alpi alla Sicilia, si riducono via via alla presenza di sette, sei, cinque studenti.
Ma è lecito o no pretendere un minimo di buon senso? Al «Pacinotti», regole alla mano, non c'è stato. E così, via via che i diciotto allievi iniziali della «1ª A» sono scesi nel corso dell'anno scolastico a dodici, dieci, otto, sei, quattro, tre, due, uno fino allo «zero carbonella» di fine febbraio, tutto è andato come niente fosse. La burocrazia, come ha scritto sul Gazzettino Maurizio Dianese, «non contempla sbavature: se la classe è formata è formata». Sempre lì torniamo: qual è l'obiettivo della scuola? Essere al servizio dei cittadini (cioè degli studenti e dei genitori che su di loro hanno investito) o distribuire posti di lavoro, a volte superflui se non addirittura insensati? La risposta è nella storia della «1ª A» mestrina. Dove, appena una dei dieci docenti è andata in maternità, un mese fa, la direzione non ha neppure ipotizzato di rinunciare a sostituirla. Nonostante il registro di classe fosse da settimane riempito da una sola scritta: «Tutti assenti ». E così, nell'aula desolatamente vuota è arrivato anche un supplente. Meno male: almeno questo non aveva il pancione. Sennò ne sarebbe nata una spirale ancora più perversa. Come quella vissuta in una scuola di Latina dove, per sostituire una maestra in maternità, sono arrivati a fare 103 telefonate e telegrammi prima di trovare infine chi era disponibile: «Accetto». «Bene, venga domattina». «Non posso, sono incinta anch'io». Ed ecco che lo Stato si è ritrovato a pagare per una sola cattedra la titolare incinta, una prima supplente incinta (che solo per aver detto «accetto» aveva diritto al posto pur non potendo insegnare) e una terza supplente della supplente incinta della titolare incinta. Evviva la maternità, evviva le donne incinte, evviva il sindacato che le protegge: ma in quali altri Paesi del pianeta capita una cosa simile?
Difficile non sorriderne. Com'è difficile non sorridere di un'altra storia successa al «Pacinotti», cioè nel cuore non del Mezzogiorno ma del ricco e produttivo Nordest. È la storia di una docente di diritto, che chiameremo professoressa Alfa, così interessata a crescere professionalmente da chiedere un lungo congedo per un dottorato di ricerca. Concesso. Ma come sostituirla? Faceva quattro ore all'istituto tecnico nei corsi tradizionali della mattina, otto in quelli serali e altre sei alle «serali» dello «Zuccante», altro istituto mestrino per periti elettronici e informatici.
È finita in un delirio. Con l'assunzione part-time prima di una supplente Beta che aveva accettato di subentrare al «Pacinotti» ma era incinta e quindi non è subentrata affatto, poi di un secondo supplente subentrato alla supplente incinta per le ore del mattino, poi di un terzo supplente subentrato alla supplente incinta per le ore serali e infine di un quarto supplente per le sei ore allo «Zuccante».
Finché, il primo giorno lavorativo dopo la scadenza fissata dalle norme per il 30 aprile, si è rifatta viva la professoressa Alfa: «Eccomi, sono tornata ». La risposta la conosceva già: «Grazie, ma sono appena scaduti i termini. Per non turbare i ragazzi alla conclusione dell'anno scolastico, le regole dicono che bisogna chiudere coi supplenti. Quindi lei resti pure a disposizione». E a quel punto, per un solo posto di lavoro sia pure «sparpagliato» in scuole e turni diversi, lo Stato si è trovato a pagare (con salari e forme diversi, si capisce) cinque persone: la titolare, la supplente incinta, i due supplenti mattutino e serale della supplente incinta e un quinto supplente per le ore allo «Zuccante ». Per carità, tutto corretto. Tutto in regola. Tutto legale. Ma onestamente: vi pare normale?