Erasmus, non è più boom Gli italiani in Spagna e Francia

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Erasmus, non è più boom Gli italiani in Spagna e Francia

Messaggiodi edscuola » 15 maggio 2008, 19:08

da Repubblica.it

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Erasmus, non è più boom
Gli italiani in Spagna e Francia

La Commissione Ue: "Bisogna fare di più". E Zapatero stanzia 30 milioni di euro

di FEDERICO PACE

L'OBIETTIVO dell'Unione europea era di arrivare a tre milioni di studenti Erasmus entro il 2012. Il sogno però rischia di rimanere tale. Quest'anno i giovani che hanno deciso di andare con il programma Erasmus a studiare per qualche mese al di là dei confini nazionali sono stati in tutto poco meno di 160 mila. Tanti quanti una cittadina. Una cittadina però che ha smesso di crescere ai ritmi vorticosi a cui aveva abituato tutti e che ciascuno si aspettava. Per la prima volta i ragazzi tedeschi, le ragazze francesi, i giovani olandesi e gli universitari greci e irlandesi si direbbero non essere più presi dalla stessa voglia contagiosa di partire. Almeno con l'Erasmus.

Quest'anno, secondo i dati resi noti dalla Commissione europea, il tasso di crescita degli universitari che hanno valicato i confini per motivi di studio si è fermato al 3,2 per cento. Un incremento inferiore alla metà di quello che si era registrato l'anno scorso (vedi tabella). Un anno particolare visto che era stato celebrato il ventennale dell'Erasmus ma in linea con i precedenti quanto a ritmi di espansione. Alcuni paesi hanno visto addirittura decrescere in termini assoluti il numero dei ragazzi. E' il caso di spagnoli, greci, irlandesi, norvegesi, danesi, finlandesi e islandesi. Pressoché fermi anche tedeschi (che rimangono ad ogni modo il paese che fa partire il maggior numero di studenti universitari), olandesi e svedesi.

A questo punto il testimone sembra passare agli universitari dei paesi dell'Est e del Centro Europa che sono entrati nell'Unione all'alba del 2004. Tutti con tassi di crescita superiori al dieci per cento. Soprattutto ragazzi con in tasca un passaporto polacco e ceco. E anche i turchi. Numeri che però complessivamente non sembrano sufficienti da soli ad arrivare alla cifra indicata dall'Unione europea da qui a quattro anni.

Le riforme e la difficoltà a partire. Le ragioni sono diverse. Per Renato Girelli, dell'unità politiche universitarie e programma Erasmus della Commissione Europea, le cause vanno rintracciate nelle riforme che hanno interessato il sistema formativo universitario, nella stagnazione economica e in una crescente offerta di strumenti di mobilità indirizzati ai giovani. "Noi per primi - spiega Girelli - abbiamo detto che l'avvio del Processo di Bologna e del sistema del 3+2 avrebbero fatto sì che i dati di mobilità sarebbero diminuiti per un po'".
I ragazzi infatti all'interno del nuovo quadro formativo non possono partire il primo anno e l'ultimo anno tendono a impegnarlo per ottenere il diploma e provare ad entrare in un mercato del lavoro quasi inaccessibile. "Prima c'erano forse maggiori probabilità di avere una mobilità che si integrava e non ti faceva "perdere tempo" in termini di raggiungimento dell'obiettivo diploma".

I problemi economici e l'aumento della borsa. A spiegare il fenomeno in parte può essere lo scenario economico continentale non certo dei più rosei. Per Consuelo Corradi, docente della Lumsa e autrice un paio di anni fa di un'indagine sui giovani che partivano con Erasmus, "il rallentamento può essere collegato a una situazione economica non favorevole. Le borse di studio non sono quasi mai sufficienti e le famiglie in tutta Europa ora fanno più fatica ed è comprensibile che esitino un po' prima di partecipare a una scelta di questo tipo."

In questo senso è ragionevole aumentare il sostegno che viene dato ai ragazzi e l'Unione europea sta cercando di fare qualcosa. Per di più ora che la borsa ha perso di potere d'acquisto in termini reali. "Adesso il Parlamento europeo - racconta Girelli - ci ha chiesto di rinforzare la borsa e renderla armonica tra i vari paesi. L'obiettivo è di avere almeno 200 euro al mese di borsa comunitaria che si aggiunge a quelle nazionali e agli altri contributi. Non sarà un granché ma è un primo passo".

Un'indagine della Commissione europea che ha analizzato il background socio-economico degli "erasmini" ha scoperto che un quinto di loro, durante il periodo di studio fuori dal paese d'origine, si è ritrovato in condizioni economiche precarie. Tra quelli con maggiori difficoltà ci sono gli spagnoli, gli ungheresi, gli italiani, gli irlandesi e gli slovacchi. Proprio quelli che hanno avuto accesso alla borsa di studio sono stati quelli con le maggiori difficoltà economiche. Al contrario, quelli senza borsa se la sono cavata meglio. Il fenomeno si spiega con il fatto che molti di questi ultimi provengono da famiglie agiate.

Le facoltà più richieste. Tra le mete quella che viene preferita da tutti è la Spagna. Quest'anno sono stati in quasi 30 mila a scegliere le facoltà universitarie spagnole. Tra le prime dieci università per numero di studenti accolti, otto hanno sede nel paese guidato da Zapatero (vedi la TOP 20). Le altre due sono italiane: Bologna e Firenze. La seconda meta più ambita è la Francia. Qui però arrivano un numero significativamente inferiore di studenti (quasi due terzi di quelli che vanno in Spagna). Segue la Germania. Solo quarto il Regno Unito.

La trasformazione dell'offerta di mobilità giovanile. Questa flessione degli studenti Erasmus va spiegata anche con la crescita delle opportunità che hanno le nuove generazioni di muoversi per il pianeta. "La mobilità - dice Girelli - è uscita dal limite europeo o dei paesi partecipanti. Ci sono studenti che vanno in Australia o negli Stati Uniti anche con borse comunitarie. Mentre dal 1987 al 1997 Erasmus ha avuto praticamente la leadership della mobilità degli studenti, adesso ci sono molte più possibilità. Prima c'era solo l'Inter-rail, adesso ci sono le linee low-cost e i corsi di lingua a costi bassissimi. Un tempo c'era il sacco a pelo e l'autostop, ora con cinquanta euro fai il giro di Europa in aereo".

Gli strumenti di rilancio. Le leve su cui intende agire l'Unione europea, per ridare slancio a un programma così importante, non sono solo di natura economica. Girelli spiega che "con le nuove mobilità più brevi, i diversi tipi di mobilità incrociata, le opportunità presso le imprese che possono essere integrate nei curriuculum e i nuovi master comuni si dovrebbe permettere agli studenti di trovare la nicchia dove avere la loro esperienza all'estero".

Il commissario per l'istruzione, formazione, cultura e gioventù, lo slovacco Ján Figel', vorrebbe che si arrivasse a un punto in cui tutti gli universitari potessero accedere a un periodo di studi all'estero. Ma non sembra facile. Ad oggi, gli "erasmini" hanno toccato la rispettabile cifra di un milione e settecentomila. In leggera maggioranza a partire sono state le donne più degli uomini, mostrando ancora una volta una propensione maggiore, rispetto ai loro coetanei, all'indipendenza dalla famiglia di origine. Ma sembra difficile pure l'obiettivo dei tre milioni entro il 2012. "La Commissione - ammette Girelli - dovrebbe essere esortata a fare un po' più campagna di informazione intelligente. La volgarizzazione del programma Erasmus ha fatto sì che quasi tutti sanno cosa sia, ma non tutti sanno come funziona, non tutti ne conoscono i vincoli e gli obblighi. Forse già questo rinforzerebbe l'interesse dello studente. Anche perché rimane che Erasmus viene riconosciuto al cento per cento e viene capitalizzato nel proprio cv. Non dico che il nostro programma permetta una mobilità più importante, ma è sicuramente è iscritta in un percorso più completo".

Intanto sul piano nazionale c'è chi fa molto per rilanciare il programma. Il governo Zapatero ha stanziato 35 milioni di euro per aumentare la borsa base comunitaria per gli studenti Erasmus. "Questo è un segnale forte - conclude Girelli - vuol dire che loro si impegnano a promuovere la mobilità. Il timore è che in Italia non ci sia la stessa intenzione visto l'accorpamento dei ministeri scelto dal nuovo governo con il conseguente carico di lavoro molto maggiore su poche spalle. Il segnale degli spagnoli invece è molto importante, che ci pensino anche tutti gli altri governi nazionali".
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