Trentesimo anniversario rapimento Aldo Moro
Fioroni ai docenti: scuola aiuti studenti a conoscere e non dimenticare
Roma, 14 marzo 2008
Sono passati trent’anni dal rapimento di Aldo Moro: non dimentichiamolo e aiutiamo i ragazzi a ricordarlo. Così il Ministro della Pubblica Istruzione Giuseppe Fioroni si rivolge ai docenti e ai dirigenti scolastici in una lettera aperta inviata a tutte le scuole italiane.
“Ricordare Moro nella condanna incondizionata ad ogni forma di terrorismo – scrive Fioroni - è un’occasione per far sentire ai ragazzi il legame che unisce la loro vita alla vita degli altri, la loro vicenda alle vicende di tutti. Di renderli partecipi della serietà delle cose, le pubbliche e le private e il loro intreccio. Di sentire la responsabilità alla quale siamo tutti chiamati quando si tratta di capire, trovare il senso, collaborare per il bene”.
Riportiamo di seguito il testo della lettera.
Cari Dirigenti scolastici e cari Docenti,
trenta anni fa, il 16 marzo 1978, ad opera di un gruppo di brigatisti, fu rapito Aldo Moro e barbaramente uccisi i cinque uomini della sua scorta. Lo ricordiamo come un giorno di grande dolore, una data dopo la quale l’Italia non è più stata la stessa.
Per questo Vi scrivo, perchè spero che vogliate accogliere il mio invito ad approfondire insieme ai Vostri studenti la storia degli anni Settanta e degli uomini che hanno segnato quegli anni: politici, magistrati, avvocati, poliziotti, medici, persone comuni vittime del terrorismo.
Credo che le nuove generazioni debbano essere consapevoli che c’è stato in Italia un periodo ricco di spunti, di innovazioni, di nuove mode e nuovi stili di vita, di partecipazione civile e allo stesso tempo di violenza e di dolore. E Moro fu uno dei personaggi più importanti di quel periodo, anzi il grande artefice e il garante dei nuovi equilibri politici.
E sarebbe significativo se anche la scuola aiutasse i nostri giovani a non dimenticare questa straordinaria figura della politica italiana attraverso dibattiti, incontri e approfondimenti storici.
“Devo riconoscere che qualche cosa da anni è guasto – disse Moro all’assemblea dei gruppi parlamentari della Dc del 28 febbraio 1978 – , è arrugginito nel normale meccanismo della vita politica italiana. C’è una crisi dell’ordine democratico. Temo il dato serpeggiante del rifiuto dell’autorità, della deformazione della libertà che non sappia accettare né vincoli né solidarietà”.
Possiamo dire che Moro pagò con la vita questa “crisi dell’ordine democratico”. Proprio lui che fondava la sua azione politica sul dialogo fu vittima della sorda violenza di chi non aveva orecchie se non per ascoltare le ragioni di sé stesso, mirando a fare del terrorismo lo strumento per la conquista del potere.
Il 16 marzo è una giornata difficile da affrontare nelle classi, trattando un evento la cui logica e la cui spiegazione non si esauriscono nella narrazione dei semplici fatti.
Quando a scuola ci confrontiamo con i ragazzi su temi complessi di storia recente o di attualità lo facciamo con la coscienza di non possedere una verità e dunque consapevoli della necessità di esercitare gli strumenti dell’analisi storica nella direzione della ricerca; è in questo prezioso cammino e grazie ad esso che svolgiamo un servizio al Paese, educando le nuove generazioni al senso critico e alla profondità.
L’eccidio della scorta, il rapimento, i cinquantacinque giorni di detenzione e l’assassinio di Moro, quella serie di fatti concitati e devastanti, richiedono prima di tutto uno sguardo dall’alto e insieme l’attenzione al dettaglio; richiedono l’umiltà di chi studia (il docente come lo studente) senza la quale ogni commemorazione, e questa in massimo grado, si risolve nel rito; quasi in una formalità.
Ricordare Moro, nella condanna incondizionata ad ogni forma di terrorismo è un’occasione per far sentire ai ragazzi il legame che unisce la loro vita alla vita degli altri, la loro vicenda alle vicende di tutti. Di renderli partecipi della serietà delle cose, sia pubbliche che le private, e del loro intreccio. Di sentire la responsabilità alla quale siamo tutti chiamati quando si tratta di capire, trovare il senso e cooperare alla realizzazione del bene comune.
La nostra battaglia contro la violenza, contro il terrorismo e per l’affermazione della democrazia può cominciare anche da questa cooperazione.
In sostanza, la difesa dei valori della nostra Costituzione non può prescindere dal rifiuto netto della violenza e quindi dal ricordo di personalità emblematiche per la nostra democrazia; che mediante l’esempio e il sacrificio, anche della propria vita, hanno segnato uno spartiacque tra visioni e prassi democratiche, da un lato, e arbitrio eversivo dall’altro.
Vi ringrazio per il vostro lavoro e la vostra passione.
Giuseppe Fioroni